«Conosco i rischi», rispose Ingold. «Pero siete entrambi giovani e forti, e il Passaggio non dovrebbe arrecarvi dei danni permanenti. Considerate d’altronde le alternative: di giorno, a Karst siete relativamente al sicuro, e sembra quasi che Alwir abbia ragione, dato che il Buio non si e ancora avvicinato a queste colline. Pero non posso assicurarvi nulla per la notte. I nostri mondi sono abbastanza vicini: il Buio mi ha gia seguito una volta attraverso il Vuoto e, per quelle creature, ora sarebbe molto facile ripetere lo stesso viaggio. Dissi una volta che ero il solo a comprendere la natura del Vuoto, e come tale ho anche una certa responsabilita: non posso permettere che quegli esseri immondi arrivino a contaminare altri mondi, certamente non uno tanto popolato e indifeso come il vostro! Un’altra notte, potrebbe intrappolarci qui,» termino bruscamente, «perche, se i Guerrieri del Buio saranno nei pressi, io non vi potro rimandare indietro!»

«Allora tu non credi a cio che ha detto Alwir!», esclamo Rudy, incrociando le braccia e cominciando a passeggiare vicino ad una delle grandi colonne di sostegno.

«No. E solamente una questione di tempo, poi i Guerrieri del Buio giungeranno fino a Karst, ed io voglio che voi non siate qui quando accadra, perche accadra di sicuro!»

«D’accordo, se va bene per te! Quando tornerai in citta, saro qui ad aspettarti su queste scale.»

Ingold sorrise.

«Sei diventato saggio Rudy,» disse. «Soltanto voi due avete la possibilita di lasciare questo mondo. E, considerato quello che accadra su questa terra, siete veramente da invidiare.»

Poi il vecchio Stregone si allontano senza dire altro, salendo le lunghe scale con abilita, quasi non fosse stato sveglio per due notti, quindi scomparve tra le ombre in alto, la dove la scalinata sembrava toccare il soffitto.

CAPITOLO QUINTO

La prima sensazione che provo Gil, non appena si alzo dal posto oscuro della porta di servizio dove aveva passato la notte, per entrare nella soffice luce del giorno e nel freddo mattutino che gelava le ossa, fu di sollievo. Non riusciva a ricordare, per quanto si sforzasse, di aver provato tanto piacere nel vedere la semplice luce del giorno: durante la notte non aveva fatto altro che sperare di vedere ancora l’alba.

La seconda sensazione fu di sgomento. Appena usci sul gradino, fu accolta dal rumore e dal fetore della sala, che la colpirono come un muro di mattoni. La gente intorno stava discutendo, litigando, urlando a squarciagola, cercando di mangiare, disputandosi il possesso di animali scarni e impauriti, ed intanto si raggruppava, agitando le mani e le braccia, verso le uscite degli edifici gia gremiti fino al tetto, dove altri profughi chiedevano di entrare.

Altra gente stava attingendo acqua alla fontana semiasciutta della citta, litigando anche qui sulla quantita di acqua con voci che la paura ed il panico rendevano stridule e piene di rabbia. La luce che saliva mostro a Gil un mare di visi atterriti, pallidi, tesi; occhi spaventati che si guardavano intorno con movimenti simili a quelli dei topi in trappola.

Tutti stavano cercando, fisicamente e mentalmente, di trovare un appiglio al quale afferrarsi in quel mondo gelido. Il vento freddo delle montagne intanto portava con se il suo soffio raggelante spazzando via con folate violente il tanfo persistente dell’immondizia buttata qua e la.

Gesu, penso Gil spaventata, qui c’e pericolo di colera, di peste… quante di queste persone possono disporre di servizi igienici? Quanti sanno in quale pericolo potrebbero gettarli le malattie?

La sua terza sensazione, non appena si trovo in cima alle scale, esposta al morso del freddo, fu quella della fame. Ci penso un poco: il Comandante delle Guardie sembrava essere alleato di Ingold e, probabilmente, lo Stregone poteva avergli detto di badare ai suoi amici.

Scese le scale. Nel farlo dovette scansare un vecchio avvolto in un sudicio straccio nero, che sembrava aver piantato il campo sul gradino piu basso con tutte le intenzioni di rimanerci. Si diresse subito verso un gruppo di uomini e donne, in uniformi nere da Guardie, che si stavano preparando a guidare i carri che avrebbero composto il convoglio per Gae. Li comandava un giovane alto, con lunghe trecce che gli arrivavano fino alla cintola, che in quel momento era impegnato in una accesa discussione con un gruppo di civili. Il capo di questi ultimi stava scuotendo enfaticamente la testa mentre la Guardia gesticolava verso la folla nella piazza.

Non appena Gil gli si avvicino, l’uomo licenzio con un gesto disgustato coloro che lo attorniavano e si volto verso di lei fissandola da sotto le sopracciglia biancastre con occhi luminosi e freddi come il ghiaccio polare.

«Sai guidare?», chiese.

«Un cavallo?», rispose Gil, spaventata, mentre pensava ad un’automobile.

«Non sto certo parlando di oche. Se non sai guidare, verrai a piedi o cavalcherai qualche maledetta cosa… non mi interessa!»

«So cavalcare,» rispose prontamente Gil che aveva di colpo compreso cosa le avesse chiesto quell’uomo dai lunghi capelli chiari. «E non ho paura del Buio.»

«Sei pazza allora.» Il Capitano la fisso e le sue sopracciglia si aggrottarono quando si rese conto dei suoi strani abiti. Non disse nulla, pero si giro e chiamo una donna dai capelli brizzolati in una logora uniforme scura.

«Seya! Pensa tu a questo carro.» Quindi si rivolse di nuovo verso Gil. «Ci pensera lei a te.» Poi, quasi ricordandosene all’improvviso, mentre Gil si allontanava con Seya, chiese: «Sai combattere?»

Gil si fermo.

«Non ho mai maneggiato una spada.»

«Allora, se saremo attaccati, stai lontana da chi sa maneggiarla, per l’amor di Dio.»

Poi il Capitano si giro seccamente, e diede ordini con voce tagliente ad un altro gruppo di Guardie.

Seya si avvicino a Gil: il suo viso esprimeva un divertimento represso che traspariva tra le rughe che lo segnavano, ed intanto tormentava l’elsa di una spada la cui punta urtava di continuo contro i suoi stivali.

«Non farti irritare da lui», disse la Guardia, fissando la figura del Capitano che si allontanava. «Se fossimo stati pochi, avrebbe messo lo stesso Re a guidare un carro, magari dicendogli «Con il vostro permesso». Guarda la!»

Gil segui il gesto della mano della donna, e scorse Janus ed Ingold in mezzo alla folla ai piedi delle scale, circondati da conducenti che litigavano, Guardie che gesticolavano, e carri traballanti. Il Capitano stava parlando con loro e Janus appariva quasi spaventato dalle sue parole, mentre Ingold sembrava godersela un mondo. Lo Stregone sali sul carro piu vicino, si sedette al posto di guida, ed afferro abilmente le redini neanche avesse fatto il cocchiere per tutta la vita.

Il sole illumino le vette ad est non appena lasciarono le ultime case di Karst alle loro spalle: la scena si schiari, ma il sole era ancora troppo debole per far fuggire la nebbia biancastra che si annidava fitta nell’intrico del bosco. Gil si era seduta su una stretta sella, scomoda come nessun’altra, di un grosso roano, e guidava uno dei primi carri del convoglio.

La maggior parte dei veicoli presenti in citta erano stati requisiti, e molti di questi non avevano qualcuno che li conducesse, o perlomeno che si sentisse disposto a far ritorno a Gae, la citta infestata dalle Creature del Buio. Molti erano guidati da Guardie e, ai loro lati, due sottili file di Guardie li accompagnavano. Gil scorse soprattutto dei giovani, anche se molti erano precocemente incanutiti. Camminavano senza fermarsi, e la ragazza pote scorgere su molti di quei visi i chiari segni della tensione e dell’esaurimento: erano loro i combattenti che avevano partecipato allo scontro per la difesa di Gae.

Quando la luce del giorno si fece piu intensa, Gil riusci a distinguere dei piccoli campi di profughi che avevano cercato un disordinato rifugio dietro il nascondiglio dei folti alberi del bosco. Altri profughi se ne stavano invece sulla strada: erano uomini e donne coperti di abiti sporchi e cenciosi che si trascinavano dietro fagotti informi di coperte e stoviglie spingendo a volte improvvisate carriole o trascinando delle rozze slitte fatte di rami.

Di quando in quando si incontrava anche qualcuno che guidava un mulo o trascinava qualche vacca restia con una fune.

La maggior parte di quella gente non si fermava, e prestava poca attenzione alla lunga fila di carri ed alla sua scorta improvvisata. Erano troppo affaticati per il cammino percorso e per la paura che li spingeva a non avere

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