seduti, o rannicchiati scomodamente sulle loro masserizie, condotti quasi senza accorgersene in quel vortice di volti e di corpi che si era venuto via via creando intorno all’alto, elegante Cancelliere, ed al trasandato pellegrino che sembrava possedere solamente la spada minacciosa che gli pendeva dal fianco. Nelle zone piu lontane della sala si poteva udire — soprattutto sotto l’ombra dei grandi pilastri — un vociare smorzato: vicino alla ragazza, invece, non si sentiva volare una mosca. Quel duello sarebbe stato combattuto per forza di cose alla presenza di una moltitudine di testimoni.
Lo stesso Alwir sembro rendersene conto, e la tensione che traspariva dal suo atteggiamento calo di colpo, mentre la sua voce si ammorbidiva conservando una sfumatura di ironia quando disse:
«Corri troppo signor Mago. Il Buio non e mai venuto a Karst: di tutte le citta di questa parte del Regno, questa e l’unica senza traccia dei loro Nidi. Come ho gia detto, questo stato di cose e temporaneo: ci vuole tempo per sistemarsi ed organizzarsi. Coloro che si sono rifugiati qui non hanno nulla da temere. Noi tutti faremo di Karst il nuovo cuore del Regno, lontano dal pericolo del Buio. E qui che raduneremo un esercito di alleati degli uomini. Abbiamo gia chiesto all’Arcimago di Quo, Lohiro, il suo consiglio ed il suo aiuto, ed inoltre nostri messaggeri sono in viaggio verso Sud per trattare con l’Impero di Alketch.»
«Cosa avete fatto?»
Questa volta la voce di Ingold si alzo alta, ed il Mago apparve stupefatto ed innervosito quanto Gil non lo aveva mai visto.
«Mio caro Ingold», disse subito Alwir in tono diplomatico, «certamente non puoi aspettarti che ci si metta a sedere rimanendo con le mani in mano. Con l’aiuto dell’esercito dell’Impero di Alketch, possiamo portare la guerra fin dentro i Nidi del Buio. Con quell’aiuto, e con quello del Consiglio dei Maghi, possiamo attaccare il Buio nel suo stesso territorio, bruciarlo, e liberare una volta per tutte la Terra da quella immonda pestilenza!»
«Sciocchezze!»
Alwir infilo i pollici nella sua cintura ingioiellata, chiaramente soddisfatto di aver spiazzato lo Stregone.
«E tu cosa proporresti, signor Mago?», chiese dolcemente. «Ritornare a Gae per essere divorati dai Guerrieri del Buio?»
Ingold fece uno sforzo per trattenersi, e vi riusci; ma Gil riusci a vedere, dal suo posto sulle scale, quanto fosse stato scosso delle ultime parole del Cancelliere. Quando parlo, la sua voce fu calma, molto calma.
«Propongo di scendere a valle», disse. «Di andare a Renweth.»
«Renweth?» Alwir si giro di scatto, incerto se esplodere per la rabbia o se sbottare a ridere. «Renweth? Quel freddo buco infernale? E a dieci giorni di viaggio dalla fine del mondo, e sembra il punto d’inizio dell’Inferno. Lo potremmo certamente scavarci la tomba e seppellirci… Renweth! Stai scherzando?»
Il Vescovo, incuriosito, sposto il suo sguardo da rettile verso Ingold, ed intervenne di nuovo nel discorso.
«Il monastero di quella citta e stato chiuso venti anni fa durante l’Inverno Cattivo. Dubito che ci sia ancora un villaggio.» La sua voce risuono come un secco, sottile sussurro, come il vento che sibila attraverso le ossa scolorite di qualche sperduto deserto. «Certamente e troppo lontana dal centro del Regno per stabilirvi la Capitale…»
«Lontana?», grido Alwir. «E come dire che l’Inferno ha un clima temperato. E un luogo maledetto, fuori mano, in mezzo alle montagne!»
«Non mi preoccupo del Regno», disse Ingold, e la sua voce ora era diventata dura, anche se i suoi occhi brillavano nella luce tenebrosa delle torce. «Non esiste piu alcun Regno, ma soltanto persone in pericolo. Tu stai ingannando te stesso se pensi che il potere politico potra proteggerti da tutto, quando il pensiero di ognuno e quello di salvarsi.»
Il Cancelliere non rispose, ma sulle sue guance si dipinse un violento rossore che gli rigo la pelle bianca.
Ingold continuo.
«La Valle di Renweth e il luogo dove sorge il Torrione di Dare. Dal Torrione, qualsiasi cosa decidessimo di fare, possiamo pero tenere lontano il Buio.»
«Oh, suppongo che forse ci riusciremmo se il Torrione esistesse ancora,» ammise bruscamente il Cancelliere. «Potremmo mantenerli a distanza anche se vivessimo nelle foreste come i Doic, che si nascondono nelle caverne e si nutrono di cimici e lumache, senza neanche andare tanto lontano. Ma non possiamo stipare l’intera popolazione del Regno nel Torrione di Dare, neanche con tutta la tua famosa Magia.»
«Ci sono altri Torrioni» si intromise improvvisamente il Vescovo, e Alwir le lancio un’occhiata rabbiosa. Ella pero lo ignoro, strinse le sue lunghe dita, e disse pensierosa, con un filo di voce simile al suono della pergamena stropicciata:
«C’e un Torrione a Gettlesand che viene usato ancora come fortezza contro le incursioni dei Razziatori Bianchi; ce ne sono anche altri nel Nord…»
«Certo, sono gli stessi nei quali siamo andati a rintanarci negli ultimi tremila anni», rispose Alwir con il volto alterato dalla frustrazione. «La Chiesa non soffrirebbe certo molto della disintegrazione della nostra civilta; la vostra organizzazione sopravviverebbe e raggiungerebbe lo scopo per il quale e stata creata: dominare! E tu, signor Mago, pensi che la tua razza non soffrirebbe… siete girovaghi e fratelli degli uccelli… Il viaggio fino a Renweth e lungo, forse troppo lungo…»
Alwir giro quindi la testa verso i volti attenti che costituivano la massa di facce confuse nella nebbia bluastra del fumo. Si erano avvicinati tutti ora: la ragazza con il gatto, il vecchio con le ceste di polli, e la donna grassa con il suo gruppo di bambini addormentati.
«Quanti di questi pensi che sopravviveranno ad una quindicina di notti all’aperto, viaggiando attraverso le valli del fiume dove passa la strada che conduce a Renweth? Qui siamo al sicuro. Piu al sicuro di quanto potremmo esserlo su qualunque strada!»
Un mormorio di assenso e di timore serpeggio tra la folla. Quella gente era gia scappata una volta dalle proprie case confortevoli e dalla vita piacevole e comoda della citta. Ora doveva sopportare la sregolatezza del giorno ed il terrore da incubo della notte… una spaventosa camminata sulle strade fangose con tutto cio che potevano portar via affastellato sulle spalle… No, spaventati e confusi, non avevano alcuna voglia di andar via di nuovo; non c’era uno di essi che, sia pur con le promesse del Paradiso o con.il timore dell’Inferno, si sarebbe lasciato indurre a trascorrere un’altra notte all’aperto!
Alwir continuo, ma la sua voce si abbasso a tal punto da essere udita solamente da coloro che sedevano accanto al luccichio fumoso che circondava la base delle scale.
«Mio Signore Ingold,» disse con calma, «hai avuto molto potere con Re Eldor. Potere basato sulla fiducia che riponeva in te fin da quando eri bambino e ti trovavi sotto la sua tutela. Come hai usato quel potere, e affare tuo e suo: avevate i vostri segreti… Ma Eldor adesso e morto, e la Regina versa in delirio. Qualcuno deve comandare, altrimenti il Regno si sfaldera e cadra nell’Oscurita come un cavallo che corre impazzito verso una scogliera. La tua magia non puo far nulla al Buio… il tuo potere nel Regno e finito…»
Gli sguardi dei due uomini si incontrarono, e si bloccarono come le lame di spade tenute immobili dalla forza contrapposta di coloro che le maneggiano. La tensione tra i due si addenso fino a che non si udi altro che il rumore del loro respiro. Occhi blu fissi in altri occhi blu, incorniciati nell’oscurita dal brillare della luce saltellante delle torce.
Senza distogliere gli occhi da quelli del Cancelliere, Ingold disse:
«Il Re Eldor e morto, ma giuro qui, davanti a tutti, che il suo posto spetta al figlio. E sara un posto sicuro, non certamente Karst!»
Alwir sorrise. Fu solamente una leggera piega delle labbra che non sposto di un millimetro il suo sguardo.
«Cosi dovra essere, non e vero mio signor Mago? Ma il Re ora sono io, e il bambino e sotto la mia protezione, non sotto la tua!» Solo allora i suoi occhi si mossero, l’intero portamento del suo corpo muto, e la sua voce si rischiaro come quella di un attore un attimo prima di «entrare» in un ruolo. Il suo sorriso divenne sincero ed il suo tono di voce assunse una sfumatura di biasimo benevolo. «Su, mio Signore» disse, con sempre quel sorriso stereotipato sulle labbra, «ci sono dei casi nei quali non e necessario rischiare la vita, e sono certo che voi mi capite. Ora…», ed alzo una mano per prevenire la reazione di Ingold, «sono sicuro che ce la caveremo con conseguenze meno drastiche e terribili della dissoluzione della nostra civilta. Ammetto che qui siamo angustiati da non pochi problemi, ed ammetto anche che ci troveremo a dover far fronte all’arrivo di altri profughi da Gae e dalle campagne circostanti. Provvederemo pero a mandare un convoglio di Guardie ai magazzini sotto la Prefettura