George Wilson verra a prendervi.

– Grazie – risposi. – Questo vetro e a prova di proiettile?

– Sicuro, perche?

– Ero curioso di saperlo. Non ho ancora sentito che qualcuno si e fatto strada nel cinema a revolverate.

Alle mie spalle, risono una risatina soffocata. Mi voltai e vidi una ragazza in pantaloni, con un garofano rosso dietro l'orecchio. Mi sorrideva.

– Oh, fratello, se bastasse una pistola!

Mi diressi a una porta verde-oliva completamente sprovvista di maniglie. Quando le fui vicino la porta emise una specie di ronzio e mi permise di aprire il battente con una spinta. Al di la c'era un corridoio verde-oliva, coi muri nudi e un'altra porta in fondo. Una trappola da topi. Se entravate in quel corridoio e qualcosa non andava facevano ancora in tempo a fermarvi. L'uscio di fondo emise lo stesso ronzio e lo stesso scatto. Mi domandai come facesse, il poliziotto, a sapere che ero arrivato a destinazione.

Cosi alzai lo sguardo, e vidi i suoi occhi che mi fissavano da uno specchio inclinato. Come toccai il battente lo specchio si oscuro. Pensavano proprio a tutto.

Fuori, nel sole ardente di mezzogiorno i fiori spiccavano in maniera aggressiva nel piccolo patio dai vialetti di mattoni, con uno stagno e una panchina di marmo nel mezzo. La fontanella era vicino alla panca di marmo.

Un uomo anziano, superbamente abbigliato, riposava placido sul sedile di marmo e osservava tre boxers fulvi che sterravano delle begonie color te. Il suo viso aveva un'espressione di appagamento intenso, ma sereno. Non mi guardo, mentre mi avvicinavo. Uno dei boxers, il piu grosso, gli si accosto, e bagno il marmo della panchina, vicino ai suoi calzoni. L'uomo si chino in avanti e carezzo la grossa testa ispida dell'animale.

– Il signor Wilson? – domandai.

L'uomo alzo gli occhi su di me, con aria vaga. Il boxer medio arrivo trotterellando, fiuto la panchina e bagno dove aveva bagnato l'altro.

– Wilson? – L'uomo aveva una voce pigra, con un'ombra di cantilena.

– Oh, no. Non mi chiamo Wilson. Perche? Dovrei?

– Scusate.

Andai alla fontanella e mi spruzzai violentemente il viso con uno zampillo. Mentre mi stavo asciugando il boxer piu piccolo fece quel che doveva contro la panchina di marmo.

L'uomo che non si chiamava Wilson osservo, in tono adorante:

– La fan sempre nello stesso ordine. E meraviglioso.

– Che cosa? – domandai.

– Pipi – rispose l'uomo. – E una questione d'anzianita, a quanto sembra. Sono molto ordinati. Prima Maisie. E la mamma. Poi Mac. Ha un anno piu di Jock, il pupo. Sempre cosi. Anche nel mio ufficio.

– Nel vostro ufficio? – chiesi, e mai nessuno ebbe un'aria piu stupida, facendo una domanda.

L'uomo mi guardo, inarcando le sopracciglia biancastre, si tolse di bocca un sigaro scuro, ordinario, ne stacco un'estremita coi denti e la sputo nello stagno.

– Non fara molto bene ai pesci – osservai.

Il mio compagno mi guardo, dal sotto in su.

– Io allevo boxers. Al diavolo i pesci.

Pensai che era l'aria di Hollywood. Accesi una sigaretta e mi accomodai sulla panchina.

– Nel vostro ufficio… – ripetei. – Be', ogni giorno una nuova idea, no?

– Contro l'angolo della mia scrivania. La fanno continuamente. Le mie segretarie diventano matte. Rovina il tappeto, dicono. Ma che cos'hanno addosso le donne, al giorno d'oggi? A me non da nessun fastidio. In un certo senso mi piace. Quando ci si affeziona ai cani fa piacere guardarli anche quando fanno Un cane trascino una pianta di begonia in piena fioritura lungo il vialetto di mattoni, e la depose ai piedi del padrone. Lui la raccatto e la getto nello stagno.

– I giardinieri si seccheranno, immagino – osservo, mentre tornava a sedersi. – Oh, al diavolo, se non sono contenti possono sempre… – Si interruppe di colpo, e osservo una snella portaordini in calzoni gialli compiere una deliberata deviazione, allo scopo di attraversare il patio. La ragazza gli diede una rapida occhiata e si allontano, movendo i fianchi con un'armonia quasi musicale.

– Sapete qual e il malanno del cinema? – mi chiese l'uomo.

– Nessuno lo sa.

– Troppo sesso – affermo lui. – Il sesso e un'ottima cosa, a tempo e a luogo. Ma qui ce lo scaraventano addosso a vagoni. Ci nuotiamo in mezzo.

Ne abbiamo fin sopra i capelli. Finisce col diventare una specie di carta moschicida. – Si alzo. – E abbiamo troppe mosche, per soprammercato.

Be', piacere di avervi conosciuto signor…

– Marlowe – dissi. – Temo che non mi conosciate.

– Non conosco nessuno – dichiaro lui. – La memoria se ne va. Mi presentano troppa gente. Mi chiamo Oppenheimer.

– Jules Oppenheimer?

L'uomo annui.

– Precisamente. Prendete su un sigaro – e me ne porse uno. Gli mostrai la mia sigaretta. Lui getto il sigaro nello stagno, poi si acciglio. – La memoria se ne va – ripete tristemente. – Ho sprecato cinquanta centesimi. Non avrei dovuto.

– Siete il padrone dello studio.

Oppenheimer annui, con aria assente.

– Avrei dovuto risparmiare il sigaro. Risparmiate cinquanta centesimi e che cosa avete?

– Cinquanta centesimi – risposi, domandandomi di che cosa diavolo stesse parlando.

– Non nel cinema. Risparmiate cinquanta centesimi, nel cinema e tutto quel che ottenete sono cinque dollari di spese di ragioneria. – Tacque e fece un cenno ai tre boxers. I cani smisero di sradicare quel che stavano sradicando e lo guardarono. – Conviene occuparsi della parte finanziaria – riprese. – Io mi occupo solo della parte finanziaria. Non e difficile.

Andiamo, bambini. Torniamo al vecchio bordello. – Trasse un sospiro. – Millecinquecento teatri di posa – soggiunse.

Dovevo avere di nuovo una faccia da stupido. Oppenheimer agito una mano, in un gesto largo e m'informo.

– Millecinquecento teatri son tutto quel che ci vuole. E infinitamente piu facile che allevare boxers di razza pura. L'industria cinematografica e l'unica industria del mondo in cui si possono commettere tutti gli errori possibili e guadagnare ancora danaro.

– Dev'essere l'unica industria del mondo in cui si possono tenere tre cani che fan pipi contro la scrivania.

– Bisogna avere millecinquecento teatri di posa.

– Questo rende un po' difficili gli inizi – osservai.

Oppenheimer parve compiaciuto.

– Si, questa e la parte difficile. – Guardo oltre il prato verde, a un edificio a quattro piani, che delimitava un lato della piazza. – Ci son tutti gli uffici, la dentro – spiego. – Non ci vado mai. Non fanno altro che cambiare decorazioni. Mi fa venir male guardare la roba che qualcuno di quei signori si fa mettere nelle sue stanze. I piu costosi talenti del mondo. Date loro tutto quel che desiderano, tutti i quattrini che vi chiedono. Perche?

Non c'e ragione. Solo abitudine. Non me ne importa un corno di quel che fanno e non fanno. A me basta avere millecinquecento teatri.

– Volete che questa vostra dichiarazione sia citata, signor Oppenheimer?

– Siete un giornalista?

– No.

– Peccato. Solo per il gusto di vedere quel che accadrebbe, vorrei che qualcuno cercasse di far stampare sui giornali queste semplici ed elementari verita della vita. – Fece una pausa e sbuffo. – Non le pubblicherebbe nessuno. Avrebbero paura. Su, andiamo, bambini?

Il cane piu grosso, Maisie si avvicino e ando a fermarsi accanto a lui. Il cane medio si soffermo a rovinare un'altra begonia, poi trotterello accanto a Maisie. Il piccolo, Jock, si allineo secondo l'ordine, poi, colto da un'ispirazione improvvisa alzo una gamba contro il risvolto dei calzoni del padrone. Maisie lo scosto, con aria

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