distratta.

– Visto? – esclamo Oppenheimer, radioso. – Jock ha cercato di saltare un turno. Maisie non ha potuto tollerarlo. – Si chino e carezzo la testa di Maisie. La grossa cagna lo fisso con aria adorante.

– Gli occhi del vostro cane – osservo il vecchio, meditabondo. – Gli occhi che non dimenticherete mai.

Si allontano pigramente, lungo il vialetto di mattoni, coi tre cani che gli trotterellavano quietamente alle calcagna.

– Il signor Marlowe?

Mi voltai e scopersi che un giovanotto alto, coi capelli rossastri, e un naso che pareva una prua era spuntato al mio fianco.

– Sono George Wilson. Piacere di conoscervi. Vedo che siete amico del signor Oppenheimer.

– Ho fatto quattro chiacchiere con lui. Mi ha insegnato come si fa a dirigere l'industria cinematografica. A quanto pare basta possedere millecinquecento teatri di posa.

– Lavoro qui da cinque anni. Non son mai riuscito a rivolgergli la parola.

– E che non vi fate fare pipi addosso dai cani influenti.

– Forse avete ragione. Che cosa posso fare per voi, signor Marlowe?

– Vorrei parlare con Mavis Weld.

– E sul set. Sta girando.

– Posso vederla sul set, per qualche minuto?

Wilson mi parve in dubbio.

– Che tipo di lasciapassare vi hanno dato?

– Un lasciapassare ordinario, credo. – E glielo porsi. Lui lo studio.

– Vi manda Ballou. E il suo agente. Credo che possiamo farcela. Teatro dodici. Volete che ci andiamo ora?

– Se avete tempo.

– Sono l'incaricato dei rapporti dello studio col pubblico. Il mio tempo e destinato ai visitatori, come voi.

Percorremmo il vialetto di mattoni, diretti verso due edifici gemelli. Da li partiva un viale piu largo, di cemento, che correva fra i teatri di posa e le aree per le costruzioni provvisorie.

– Lavorate nell'ufficio di Ballou?

– Sono uscito di li mezz'ora fa.

– Un'organizzazione notevole, m'han detto. Ho pensato varie volte di tentare anch'io un lavoro del genere. Qui piu che seccature non si ottengono.

Passammo davanti a due poliziotti in uniforme, poi imboccammo uno stretto vicolo, fra due teatri. Una bandierina meccanica rossa oscillava in mezzo alla via, sulla porta contrassegnata col numero dodici c'era una fanale rosso acceso, e, sopra di esso, un campanello squillava ininterrottamente. Wilson si fermo accanto alla porta. Un altro agente, seduto su una sedia inclinata contro il muro lo saluto con un cenno e mi guardo da capo a piedi, con quell'espressione grigia, morta, che si forma sui poliziotti come la melma sull'acqua di un serbatoio.

Il campanello e la bandierina smisero di funzionare e il fanale rosso si spense. Wilson spinse una grossa porta ed io passai, prima di lui. Nell'interno c'era un altro uscio. Varcammo anche quello, e dopo la luce del sole mi parve di essere piombato nell'oscurita piu completa. Poi notai una concentrazione di luci nell'angolo piu lontano. Il resto dell'enorme teatro pareva completamente vuoto.

Ci dirigemmo verso le luci dei riflettori. Man mano che ci avvicinavamo il pavimento era sempre piu ingombro di grossi cavi neri. Incontrammo una fila di sedie pieghevoli e un gruppo di camerini mobili, coi nomi sulle porte. Eravamo sul retro del set e io vedevo soltanto l'impalcatura di legno e due grandi schermi ai lati. Due macchine per la proiezione in 'trasparente' ronzavano, a poca distanza.

Una voce urlo: – Si gira! – Una campana suono chiassosamente. I due schermi si animarono di onde marine in movimento. Un'altra voce, piu calma, disse:

– Badate alla vostra posizione, prego. Dovremmo finire pressappoco come si vede in questo schizzo. Avanti, azione.

Wilson si fermo di botto e mi poso una mano su un braccio. Le voci degli attori sorsero dal nulla, ne forti ne chiare, un mormorio senza importanza e senza significato.

Improvvisamente uno degli schermi del trasparente si spense. La voce tranquilla senza cambiar tono ordino:

– Alt.

La campana suono, e si udi un brusio generale. Wilson ed io riprendemmo il cammino. Il mio compagno mi sussurro in un orecchio.

– Se Ned Gammon non termina questa ripresa prima di colazione finisce col dare un pugno sul naso a Torrance.

– Oh, c'e Torrance in questo film?

Dick Torrance, a quell'epoca, era un divo di second'ordine e di ordinaria amministrazione. Il tipo piuttosto comune, ad Hollywood, dell'attore che nessuno desidera, in modo particolare, ma che alla fine, molti devono scritturare per mancanza di meglio.

– Ti spiace ripetere la scena, Dick? – chiese la voce tranquilla, mentre giravamo l'angolo del set, e vedevamo la scena… il ponte di un panfilo da diporto, vicino a poppa.

C'erano due ragazze e tre uomini, in azione. Uno era un signore di mezz'eta in abiti sportivi mollemente adagiato su una poltrona a sdraio. Uno portava una divisa bianca, aveva i capelli rossi e aveva l'aria d'essere il capitano della nave. Il terzo era il navigatore dilettante, col berretto all'ultima moda, la giacca blu dai bottoni d'oro, le scarpe e i calzoni candidi e il fascino altero. Quello era Torrance. Delle ragazze una era una bellezza bruna che aveva visto giorni migliori: Susan Crawley. L'altra era Mavis Weld.

Portava un costume da bagno bianco di rayon lucido, ed era evidentemente appena salita a bordo. Un truccatore le stava spruzzando acqua sulla faccia e sulle punte dei capelli biondi.

Torrance non aveva risposto. A un tratto si volto e fisso la macchina da presa.

– Credi che non sappia le mie battute?

Un uomo dai capelli grigi, e dall'abito grigio avanzo, dall'ombra del teatro, nel cerchio di luce dei riflettori. I suoi occhi bruciavano ma la voce era priva di calore.

– A meno che non le cambi di proposito – rispose, con gli occhi fissi in quelli di Torrance.

– Puo darsi che io non sia abituato a recitare davanti a un trasparente che ha l'abitudine di esaurire il film a meta ripresa.

– E giusto – dichiaro Ned Gammon. – Il guaio e che nella macchina ci son solo centocinquanta metri di pellicola, e la colpa e mia. Se tu potessi accelerare un po' i tempi…

– Uh! – sbuffo Torrance… – Se io potessi accelerare un po'! Forse, se si potesse convincere la signorina Weld a salire a bordo impiegando un po' meno tempo di quel che ci e voluto per costruire la maledettissima nave…

Mavis Weld gli lancio un rapido sguardo, greve di disprezzo.

– Il 'tempo' dtlla Weld e esatto – dichiaro Gammon. – E anche la sua interpretazione va bene.

Susan Crawley si strinse elegantemente nelle spalle.

– Io ho l'impressione che potrebbe metterci un po' piu di vita. Va bene, ma potrebbe andar meglio.

– Se andassi meglio, carissima – le disse Mavis Weld con pericolosa dolcezza – qualcuno potrebbe dire che recito. E tu non vorresti mai che succedesse una cosa simile, in un tuo film, vero?

Torrance scoppio in una risata. Susan Crawley si volto e lo fulmino con gli occhi.

– Che cosa c'e da ridere, signor Tredici?

Il viso di Torrance si trasformo in una maschera di ghiaccio.

– Ancora quel nome? – sibilo.

– Oh, santo cielo, vuoi dire che non lo sai? – mormoro Susan Crawley, con aria sognante. – Ti chiamano signor Tredici perche ogni volta che fai una parte vuol dire che dodici attori prima di te, l'hanno rifiutata.

– Vedo – fece Torrance, freddamente, poi scoppio di nuovo a ridere, e si rivolse a Ned Gammon. – E va bene, Ned. Adesso che tutti hanno sputato fuori il loro veleno forse potremo recitare come desideri.

Il regista annui.

– Non c'e come una piccola pagliacciata per schiarire l'atmosfera. Benissimo, ricominciamo.

Torno dietro la macchina da presa. Il suo vice grido 'si gira' e la scena ando liscia come l'olio.

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