d'un dito. Lei si ritrasse da me, chiudendo il pugno.

– Non fate cosi – comando, aspramente.

– Perche? Lo facevo alle ragazzine, quando andavo a scuola.

– Lo so. – Le si era accelerato un po' il respiro. – E io mi sento giovane, e innocente, e come se stessi facendo qualcosa che non devo. E ormai ne e passato, del tempo, da quando ero giovane e innocente.

– Allora voi non sapete proprio niente, di Steelgrave?

– Vorrei che vi metteste un po' d'ordine in testa e decideste se mi state facendo la corte o un interrogatorio di terzo grado.

– La mia testa non ha niente a che vedere, in tutto questo.

Ci fu una pausa di silenzio. Poi lei disse:

– Devo mangiare qualcosa, sul serio, Marlowe. Lavoro, nel pomeriggio. Non vorreste che io svenissi sul set vero?

– Solo le dive lo fanno. – Mi alzai. – E va bene, me ne vado. Non vi dimenticate che lavoro per voi. Non avrei accettato l'incarico, se fossi stato convinto che avevate ucciso qualcuno. Pero eravate la, e avete corso un grosso rischio. C'era qualcosa che volevate assolutamente.

Lei prese la foto, e di nuovo la fisso, mordendosi un labbro. Poi alzo gli occhi, senza sollevare il capo.

– Ben difficilmente poteva essere questa…

– Era l'unica cosa tanto ben nascosta che nessuno e riuscito a trovare.

Ma che senso ha? Ci siete voi e un certo Steelgrave, seduti in un separe di Alle Danze. Non c'e nulla di male.

– Assolutamente nulla – convenne lei.

– Quindi deve trattarsi di qualcosa che riguarda Steelgrave… oppure la data.

Abbasso gli occhi di scatto, e torno a studiare la foto.

– Non c'e niente, qui, che indichi la data – disse rapidamente. – Sempre che significhi qualcosa. A meno che il pezzo tagliato…

– Ecco qua. – Le porsi il ritaglio. – Ma vi occorrera una lente. Mostratela a Steelgrave. Chiedetelo a lui se significa qualcosa. O chiedetelo a Ballou.

Mi incamminai verso la porta.

– Non vi fate illusioni, la data si puo stabilire molto facilmente – dissi, senza voltarmi. E Steelgrave lo sa benissimo.

– State costruendo un castello di sabbia, Marlowe.

– Davvero? – mi voltai a guardarla, senza sorridere. – Credete proprio? No, non e possibile. Voi siete andata ed eravate armata la. L'uomo era morto, assassinato. Ed era un noto malvivente. E io ho trovato una cosa che la polizia sarebbe felice di sapere che le ho nascosto. Perche dev'essere piena di moventi come l'oceano e pieno di sale. Finche la polizia non la scopre io conservo la mia licenza. E finche non la scopre qualcun altro io non mi trovo uno scalpello da ghiaccio infilato nel collo. Vi pare che la mia professione sia esageratamente redditizia?

Lei rimase seduta, a guardarmi, stringendosi una mano su un ginocchio.

L'altra mano si moveva, ininterrottamente sul bracciolo della poltrona, un dito dopo l'altro.

Tutto quel che mi restava da fare era girare la maniglia e uscire. Non so perche dovesse essere tanto faticoso.

CAPITOLO XIX

Nel corridoio, davanti al mio ufficio, c'era il solito andirivieni, e quando apersi la porta ed entrai nel silenzio ammuffito della piccola sala d'aspetto provai la consueta sensazione d'esser stato gettato in un pozzo prosciugato vent'anni prima, un pozzo al quale nessuno mai sarebbe piu tornato. Un odore di vecchia polvere incombeva nell'aria, greve e raffermo come un'intervista con un calciatore.

Apersi la porta interna e nel mio studio trovai la stessa aria morta, la stessa polvere nelle imbottiture dei mobili, la stessa promessa mancata di una vita di agi. Apersi le finestre e accesi la radio. Quando si riscaldo si mise a urlare troppo forte, e appena ebbi regolato il volume sentii suonare il telefono, come se stesse suonando da un po'. Mi tolsi il cappello e presi il ricevitore.

Era ora di avere sue notizie. La sua vocetta fredda e contenuta annunzio:

– Questa volta parlo sul serio.

– Avanti.

– Prima ho mentito. Ma ora non mentisco. Ho avuto davvero notizie di Orrin.

– Avanti.

– Voi non mi credete. Lo capisco dalla voce.

– Dalla mia voce non potete capire niente. Sono un investigatore. Avete avuto sue notizie… Come?

– Per telefono, da Bay City.

– Aspettate un momento. – Deposi il ricevitore sulla cartella di cuoio marrone, costellata di macchie e accesi la pipa. Con comodo. Le bugie sono sempre pazienti. Poi ripresi il ricevitore.

– Questa commedia l'abbiamo gia recitata tutta – dissi. – Avete poca memoria, per la vostra eta. Non credo che il dottor Zugsmith approverebbe.

– Vi prego, non mi punzecchiate. E una cosa molto seria. Orrin ha ricevuto la mia lettera. E andato all'ufficio postale e ha chiesto la sua corrispondenza. Sapeva dove avrei alloggiato, e pressappoco l'epoca in cui sarei stata qui. Cosi mi ha telefonato. Abita con un dottore che ha conosciuto a Bay City. Fa del lavoro per lui. Ve l'ho detto che aveva frequentato due anni di medicina.

– Questo dottore ha un nome?

– Si. Un nome strano. Dottor Vincent Lagardie.

– Un momento, per cortesia. C'e qualcuno alla porta.

Misi giu il ricevitore con infinita precauzione. Come se fosse fragile.

Trassi un fazzoletto di tasca e mi asciugai il palmo della mano, quella che aveva tenuto il ricevitore. Mi alzai, andai all'armadio a muro e mi guardai nello specchio macchiato. Ero proprio io. Avevo una espressione ansiosa, tirata. Vivevo troppo intensamente.

Dottor Vincent Lagardie, Wyoming Street 965. A due passi dalla Casa della Pace Garland. Una palazzina di legno, sull'angolo. Tranquilla. Paraggi distinti. Amico del defunto Clausen. Forse. Non a sentir lui. Ma, ugualmente, forse.

Tornai al telefono e mi costrinsi a parlare con calma.

– Come si scrive? – domandai.

Lei compito il nome. Con facilita e precisione.

– Non c'e altro da fare, allora, no? – dissi. – Tutto e bello per gli angeli… o come diavolo si dice a Manhattan, Kansas.

– Smettetela di trattarmi cosi. Orrin e in un guaio serio. Certi… – La voce le tremo lievemente, e il suo respiro mi giunse un po' affannoso. – Certi gangsters gli danno la caccia.

– Non fate la sciocca, Orfamay. Non ci sono gangsters a Bay City. Lavorano tutti nel cinema. Qual e il numero di telefono del dottor Lagardie?

Mi diede il numero. Era esatto. Non voglio dire che i pezzi del rompicapo cominciassero a combaciare, ma per lo meno cominciavano ad aver l'aria di far parte dello stesso rompicapo. Il che e tutto quello che ottengo, di solito, o quel che chiedo.

– Vi prego, andate laggiu a parlargli, e aiutatelo. Ha paura a uscire di casa. Dopo tutto vi ho pagato.

– Vi ho dato indietro i soldi.

– Be', ve li ho offerti di nuovo.

– Voi mi avete piu o meno offerto altre cose, che son molto piu di quanto possa accettare.

Vi fu di nuovo silenzio.

– D'accordo – dissi. – D'accordo. Ci andro, se riusciro a rimanere in liberta per tanto tempo. Sono in un mare di guai anch'io.

– Perche?

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