– Accomodatevi, signor Marlowe.

Il medico ando a sedersi dietro la scrivania e comincio a giocherellare con un tagliacarte lungo e sottile. Poi mi guardo, dritto in faccia, coi suoi occhi dolorosi.

– No, non conosco nessuno che si chiami Orrin Quest, signor Marlowe.

Non riesco a immaginare una sola ragione per cui una persona di questo nome debba dire che si trova in casa mia.

– Si nasconde – affermai.

Lagardie alzo le sopracciglia:

– Da che cosa?

– Da alcuni individui che potrebbero decidere di punto in bianco di piantargli uno scalpello da ghiaccio nella nuca. Per il fatto che lui e un po' troppo svelto, con la Leica. E scatta foto alla gente che vorrebbe mantenere l'incognito. O forse si tratta di qualcos'altro. Ad esempio il giovane puo essersi accorto che qualcuno traffica in 'paglia'. O parlo per enigmi?

– Siete stato voi a mandar qui la polizia – disse il medico freddamente.

Non apersi bocca.

– Siete stato voi a denunziare la morte di Clausen.

Io dissi esattamente quel che avevo detto prima.

– Siete stato voi a telefonarmi, per sapere se conoscevo Clausen. E io vi ho risposto di no.

– Ma non era vero.

– Non ero tenuto a darvi informazioni, signor Marlowe.

Accennai di si, trassi di tasca una sigaretta e l'accesi. Il dottor Lagardie diede un'occhiata all'orologio, si volto, sulla poltrona, e spense la sterilizzatrice. Guardai gli aghi. Un mucchio di aghi. Gia una volta, a Bay City, avevo avuto dei guai con un tale che bolliva troppi aghi.

– Da dove viene? – gli chiesi. – Dal porto?

Lui riprese tra le dita il suo tagliacarte, dall'aria malvagia. L'impugnatura d'argento, rappresentava una donna nuda. Lagardie si punse il polpastrello del pollice. Sulla puntura si formo una perla scura di sangue. Lui porto il dito alla bocca e lo lambi.

– Mi piace il sapore del sangue – disse sottovoce.

Si udi un cigolio lontano, come se la porta d'ingresso si aprisse e si richiudesse. Entrambi ascoltammo, con attenzione. Ascoltammo l'eco dei passi che scendevano i gradini esterni. Ascoltammo con le orecchie tese.

– La signorina Watson e andata a casa – annunzio il dottore. – Siamo in casa soli. – Medito un poco sul fatto e torno a lambirsi il pollice. Depose il tagliacarte con cura, sulla cartella portassorbenti. – Ah, la domanda del porto – riprese. – Pensavate alla vicinanza del Messico, senza dubbio. La facilita con cui la marijuana…

– Non ci pensavo quasi piu alla marijuana, ormai – tornai a fissare gli aghi. Lui segui il mio sguardo e si strinse nelle spalle. – Perche tanti aghi? – domandai.

– E affar vostro?

– Niente e affar mio.

– Pero sembra che aspettiate una risposta alle vostre domande.

– Parlo per parlare – affermai. – Mentre aspetto che accada qualcosa.

Sta per accadere qualcosa, in questa casa. Lo sento nell'aria.

Il dottor Lagardie lecco via un'altra perla di sangue dal pollice.

Lo fissai intensamente. Questo non mi aperse una via nei suoi pensieri.

Era nero, chiuso e tranquillo e nei suoi occhi c'era tutta l'infelicita della vita. Ma continuava ad esser gentile.

– Lasciate che vi parli degli aghi – dissi.

– Fate pure.

Riprese in mano la lunga lama sottile.

– Basta – ordinai duramente. – Mi date i brividi. Come veder accarezzare i serpenti.

Lui mise giu di nuovo il tagliacarte, con delicatezza, e sorrise.

– Mi pare che non veniamo mai al punto – osservo.

– Ci arriveremo. Ma torniamo agli aghi. Un paio d'anni fa mi e capitato un 'caso' che mi ha portato da queste parti e mi ha fatto conoscere un certo dottor Almore. Abitava in Altair Street. Lavorava in maniera strana. Usciva la notte, con una gran borsa piena di siringhe… tutte pronte per l'uso.

Cariche di 'medicina'. Una clientela curiosa, la sua. Ubriachi, ricchi tossicomani, e ce n'e piu di quanti la gente non creda, persone sovreccitate che si erano ridotte al punto di non riuscir piu a riposare… Sofferenti d'insonnia, tutti i tipi di nevrotici che non sapevano affrontare la vita a freddo.

Gente che doveva avere la sua pilloletta o la sua punturina nel braccio.

Gente che doveva farsi dare una mano, per superare le difficolta. E tutto diventa difficile, dopo un certo tempo. Buoni affari, per il medico. E Almore era appunto il medico di quella gente. Lo si puo dire ormai. E morto un anno fa. Della sua stessa medicina.

– E voi pensate che io abbia ereditato la sua clientela?

– Qualcuno deve pur averla ereditata. Fin che ci saranno pazienti ci saranno medici.

Lagardie pareva piu esausto di prima.

– Per me, voi siete un asino, amico mio. Non conoscevo il dottor Almore. Non faccio il lavoro di cui l'accusate. Quanto agli aghi… tanto per spiegare questa sciocchezza… una volta per tutte, i medici li usano continuamente, oggigiorno, nell'esercizio della loro professione, e a volte per medicine innocentissime, come le iniezioni di vitamina. E gli aghi si spuntano. E quando son spuntati fanno male. Percio, nel corso di una giornata puo capitare di usarne una dozzina, e anche di piu. Senza che una sola siringa contenga narcotici.

Alzo lentamente il capo e mi fisso, con disprezzo.

– Posso sbagliarmi – affermai. – Ma dopo aver sentito odore di marijuana in casa di Clausen, ieri, e averlo visto comporre il vostro numero al telefono… poi averlo sentito che vi chiamava per nome… e probabile che tutto questo mi abbia fatto arrivare a una conclusione errata.

– Ho avuto a che fare coi tossicomani – disse Lagardie. – Quale medico non ne ha avuti in cura? Ma e una completa perdita di tempo.

– A volte riescono a guarire.

– Possono venir privati dello stupefacente. Alla fine, dopo infinite sofferenze, arrivano a farne a meno. Ma questo non significa guarirli, amico mio. Non significa rimuovere la causa, la tara nervosa o sentimentale che ha fatto di loro dei tossicomani. Significa ridurli a creature inerti, negative, che se ne stanno sedute al sole a far girare i pollici e muoiono di noia e di inanizione.

– E una teoria piuttosto semplicistica, dottore.

– Voi avete sollevato la questione. Io l'ho risolta. Ora sollevero io un'altra questione. Forse avrete notato una certa atmosfera di tensione, in questa casa. L'avrete notata, nonostante quegli stupidi occhiali di specchio.

Che ora potete togliervi. Non vi aiutano affatto a somigliare a Gary Grant.

Levai gli occhiali. Me ne ero completamente dimenticato.

– E stata qui la polizia, signor Marlowe. Un certo tenente Maglashan, che sta svolgendo indagini sulla morte di Clausen. Gli farebbe piacere conoscervi. Devo chiamarlo? Sono certo che ritornerebbe volentieri.

– Avanti, chiamatelo – invitai. – Mi sono soffermato qui un istante, mentre stavo andando a impiccarmi.

La sua mano si mosse verso il telefono, ma fu attratta, da un lato, dai poteri magnetici del tagliacarte. Fini col prenderlo di nuovo… Non riusciva a lasciarlo stare, a quanto sembrava.

– Potreste uccidere un uomo, con quell'arnese – osservai.

– Molto facilmente – convenne, con un mezzo sorriso.

– Affondandolo tre centimetri, nella nuca, proprio in centro, sotto l'occipite.

– Uno scalpello da ghiaccio andrebbe meglio – affermo Lagardie. – Soprattutto uno corto, e molto affilato. Non si piegherebbe. Ma se si manca il midollo spinale non si fa gran danno.

– Allora ci vuole un minimo di preparazione medica, no? – Trassi di tasca un pacchetto di Camel, misero e vecchio, e districai una sigaretta dal cellophane.

Il medico continuo a sorridere. Un sorriso molto vago, piuttosto triste.

Non il sorriso di un uomo che ha paura.

– Potrebbe tornar utile – convenne. – Ma chiunque sia dotato di una certa destrezza potrebbe impadronirsi

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