Erano tre settimane che deceleravano.
Javelin aveva avuto ragione; li c’era qualcosa. Sullo schermo radar appariva una forma delle dimensioni di un grosso asteroide. Era ancora impossibile osservarla direttamente, poiche la luce del getto della nave interferiva con il telescopio. Javelin si era prudentemente diretta verso un punto a cento chilometri di distanza dall’oggetto.
Ma nessuno l’aveva ancora vista, Javelin. Erano quattro settimane che Cathay, Lilo e Vaffa erano svegli e facevano quotidianamente esercizi per ritornare in forma dopo il lungo sonno; invece Javelin era rimasta nella propria stanza. Potevano parlarle, ma solo attraverso i circuiti interni. Lilo pensava che adesso la donna si rendesse conto ancor meglio della loro presenza sulla nave, e che ne fosse sempre piu contrariata.
Finalmente comparve, dopo aver tagliato una porta dall’interno della stanza. Adesso aveva due braccia e due gambe, e non poteva piu passare attraverso la piccola apertura di cui si era servita. Non poteva aver eseguito da sola quell’intervento chirurgico; Lilo immagino che nella stanza avesse delle protesi meccaniche.
Sembrava che Javelin ne fosse imbarazzata. Lilo stava per fare un commento, ma al vedere la goffaggine con cui si muoveva in un’accelerazione di un gi — tendendo a dimenticarsi della gamba sinistra e del braccio destro — non disse nulla. Lilo era sicura che avesse modificato alcuni circuiti neurali. Era come se si fosse improvvisamente messa un paio di occhiali che invertissero tutto cio che vedeva; avrebbe messo un po’ di tempo prima che il suo cervello accettasse i cambiamenti.
All’inizio Lilo si chiese perche Javelin l’avesse fatto. In passato aveva accettato i brevi periodi di immobilita ai quali era costretta quando la nave era sotto spinta; non duravano mai piu di un mese ed erano un prezzo ben piccolo in cambio di dieci anni di movimenti comodi in caduta libera.
Ma ora ogni giorno li avvicinava all’avamposto degli Ophiuciti. Chissa cosa avrebbero trovato. Poteva essere qualsiasi cosa, dall’assenza di peso a una gravita di molti gi, e Javelin aveva pensato che fosse meglio essere pronti. Ecco spiegato quello che aveva fatto.
La stazione della Linea Calda era un toroide, una grossa ciambella scura con un diametro esterno di settanta chilometri che ruotava lentamente.
«Sembra un pneumatico,» osservo Cathay, guardando lo schermo del telescopio al di sopra della piccola spalla di Javelin. «Vedete come e schiacciato?»
«Cosi puo avere una maggiore superficie piana all’interno,» spiego Javelin. «Schiacciato sul fondo e con un tetto arcuato sopra.» Aziono alcuni interruttori sulla consolle. «All’interno hanno una gravita del 75%. Sapete, e piuttosto grande per una rotazione di quel genere. E la densita ci ha ingannato. E soltanto due volte piu denso dell’acqua. Non ci dev’essere molto metallo.»
Sul bordo interno della ruota si innalzava una torre. Alla base era massiccia, ma si restringeva rapidamente fino a diventare un ago. Al centro di rotazione c’era un nodulo. Javelin effettuo alcuni altri calcoli.
«Dietro dev’esserci qualcosa di pesante, proprio davanti alla base della torre,» disse. «Altrimenti la sua massa sbilancerebbe la rotazione.»
«Ed e li che dobbiamo andare, vero?» chiese Cathay. «In cima alla torre?»
«Non so dove altro potremmo dirigerci,» rispose Javelin. «Il resto si muove troppo velocemente. E meglio che vi leghiate alle poltrone. Dovro compiere alcune manovre.»
«Non dovremmo prima cercare di metterci in contatto con loro?» domando Lilo. «Sapranno quali sono le nostre frequenze. Immagino che siano secoli che ci ascoltano.»
«Hai ragione. Ma cosa dovremmo dirgli?» Dacche Lilo la conosceva, era la prima volta che Javelin sembrava incerta. Si guardarono l’un l’altro, e nessuno si mostrava particolarmente impaziente di effettuare il primo contatto. Javelin giro le manopole del proprio schermo e ingrandi l’immagine del modulo di attracco al centro della ruota. Avevano tutti notato una debole luce su un lato; Javelin la mise a fuoco.
Per un po’ nessuno disse niente. In realta la luce era composta da numerose luci e la cosa cui assomigliava di piu era un’insegna al neon. C’era scritta una parola: BENVENUTI.
«Vi stavamo aspettando,» disse una voce alla radio. «Se vi avvicinate a cinquecento metri vi lanciamo un cavo. Diciamo fra una ventina di minuti?»
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