Ebbe il tempo di compiere un futile, disperato tentativo di comprendere per quale motivo, addentrandosi nella foresta, fosse giunto su quell’orlo oscuro.
Delle aperture indistinte passarono accanto a lui, quasi a sfiorarlo. Poi si trovo all’interno di qualcosa d’intricato che impedi la sua caduta… dapprima lentamente, poi rapidamente, tanto che la sua caduta fu convertita con rapidita addirittura fastidiosa in un’ascesa. Fu attirato verso l’alto, poi compi una brusca capriola, e tocco il suolo in maniera alquanto rude.
Si trovo immerso fino alle ginocchia nella sostanza che aveva interrotto la sua caduta. Essa emise uno strano rumore frusciante, mentre lui se ne liberava.
Avanzo a tentoni, girando intorno a quello che poteva essere un angolo dell’edificio oscuro dal cui tetto era caduto. Le grida che giungevano dall’alto non si udirono piu.
Si diresse con la mente intorpidita verso una delle luci bluastre che aveva visto. Queste luci lasciavano intravedere debolmente alberi scheletrici e terreno arido nello spazio che lo separava dalla loro sorgente.
Si rese conto che nel suo corpo c’era qualcosa di strano. Attraverso la nube di stordimento e di dolore provocata dalla caduta, questa sensazione si fece strada… un senso di malessere diffuso, e nello stesso tempo la consapevolezza di una forza muscolare tutt’altro che elastica e perfetta… e si trattava di una cosa nuova, e sgradevole.
Si apri la strada in mezzo ai rifiuti e agli sterpi, e riusci a salire, uscendo finalmente in cima a una terrazza. La luce bluastra era molto forte, ora. Giungeva dalla piu vicina di una serie di lampade poste in cime a dei pali, ai fianchi di un ampio viale che si trovava ai piedi della terrazza. Una folla di persone si muoveva lungo il viale, ma una barriera irregolare gli impediva la vista.
Fece per scendere, poi esito. La sostanza intricata era ancora attaccata al suo corpo. Automaticamente, comincio a sbarazzarsene, e noto che essa era costituita di sottilissime spirali di plastica e metallo… identiche ai trucioli di un antiquato iper-tornio pre-subtronico. Presumibilmente, un’enorme quantita di quella sostanza era stata emessa dalle aperture che aveva visto durante la caduta, sfiatatoi, senza dubbio; ma Thorn fu sbalordito al pensiero del numero di quelle macchine utensili che doveva trovarsi all’interno del grande edificio, per produrre tanti rifiuti. Gli iper-torni erano antiquati, costituivano ormai una curiosita. E radunare tante macchine, di qualsiasi tipo, in un edificio, era un pensiero addirittura assurdo.
Questo problema gli usci di mente, quando vide le sue mani e gli abiti che stava indossando. Sembravano strani… le mani erano pallide, sottili, snodate, sembravano quasi artigli.
Vivide, ma remote, come attraverso uno specchio deformante, giunsero alla mente di Thorn le prime immagini degli avvenimenti della serata. Clawly, la sincromia, il vecchio vestito di nero, la conferenza nella Sala del Cielo, la corsa nella foresta.
La sua mano sinistra stringeva qualcosa… con tanta forza che le dita si aprirono con difficolta. Era la piccola sfera grigia che aveva rubato all’Yggdrasil. Thorn la osservo, con la mente in subbuglio. Certo, se aveva ancora quell’oggetto con se, voleva dire che lui non era cambiato. Eppure… La sua mente si riempi di un presentimento senza forma ma incalzante.
Sotto la spinta di quel presentimento, infilo la sfera in tasca… una tasca che non si trovava al posto giusto e che conteneva un cilindro metallico, che gli provoco un brivido di stupore. Poi scese di corsa dalla terrazza, attraverso la barriera irregolare, e si mescolo alla folla che risaliva il viale immerso nella luce bluastra.
Il presentimento divenne una pesante bolla di paura, che esplose nella comprensione.
Quell’altro Thorn aveva preso il suo posto. Lui indossava gli abiti dell’altro Thorn… logori, servili, da lavoro. Abitava nel corpo dell’altro Thorn… che era il suo, ma stranamente alterato e trascurato, sconvolto da tensioni ed emozioni che non gli appartenevano.
Era nel mondo dei suoi incubi. Si fermo di colpo, e la folla flui accanto a lui, sfiorandolo.
La sua prima reazione, dopo un’ondata di stupore e di incredulita che lo lascio debole e sconvolto, fu di soddisfazione morale e profonda. L’equilibrio era stato ristabilito. Ora l’altro Thorn avrebe potuto godere la vita magnifica dell’utopia, mentre lui avrebbe sopportato la cupa esistenza dell’altro Thorn. Non c’era piu la sensazione opprimente di essere dominato da un’altra personalita, frustrata da sventure e sofferenze.
Fu pervaso da un’esaltazione quasi demoniaca… il desiderio di esplorare e di conoscere quel mondo che aveva studiato tanto a lungo servendosi dei vaghi indizi offerti dagli incubi, di strappare alla folla che scorreva come una fiumana accanto a lui la risposta a tutti i suoi perche e a tutti i suoi dubbi.
Ma questo non sarebbe stato facile.
Un’atmosfera di vigile segretezza e di sospetto pervadeva il viale. Le voci delle persone che passavano accanto a lui erano sommessi mugolii attutiti. Tutti giravano a capo chino, non fissavano direttamente… ma gli occhi erano vigili e penetranti.
Si lascio portare dalla folla, e nel frattempo cerco di studiare con maggiore attenzione gli individui che lo circondavano.
La miseria e la noia e la ricerca cupa e disperata di una via di scampo erano dipinte su tutti i volti illuminati delle luci azzurre, o perlomeno, sulla maggioranza di essi; e somigliavano alle espressioni che aveva visto nei suoi incubi che, con un lieve sforzo di fantasia, avrebbe potuto fingere di sognare… ma avrebbe potuto soltanto fingerlo.
Su alcuni di quei volti c’era qualcosa di familiare, ma cosi assurdamente distorto, che la semplice visione basto a provocare in lui lunghi brividi di orrore. Dovevano essere individui i cui duplicati nel suo mondo d’origine erano da lui conosciuti alla lontana, o magari erano stati visti in circostanze diverse.
Era come se tutti gli abitanti del suo mondo d’origine fossero intenti a interpretare qualche strana commedia… magari una rappresentazione simbolica dedicata a tutte le vie anonime, monotone e futili dell’abisso della storia.
Uomini e donne, indifferentemente, portavano tuniche e pantaloni di un colore sbiadito, che la luce azzurra rendeva impossibile definire. Non esisteva individualita… i vestiti erano tutti uguali, sebbene alcuni somigliassero maggiormente ad abiti da lavoro e altri a uniformi militari.
Alcuni sembravano sorvegliare gli altri. Costoro erano trattati con un misto di deferenza e di ostilita… avevano la precedenza, ma nessuno parlava loro. E anch’essi erano spiati… in effetti, Thorn ricevette l’impressione di essere circondato da un complesso quasi intollerabile di spionaggio e controspionaggio.
Alcuni individui, che si vedevano di quando in quando, ed erano vestiti di nero, ricevevano manifestazioni di deferenza ancora maggiori, ma per un certo tempo Thorn non riusci a vedere chiaramente uno di questi privilegiati.
Tutti sembravano in guardia, pieni di apprensione e pronti a tutto.
Ovunque si riceveva l’impressione di essere al centro di una complicata gerarchia di autorita.
Si udiva il ronzio costante, dovuto a conversazioni fatte di mormoni e di brontolii.
Dopo qualche tempo, Thorn fu certo di una cosa. Quella gente non stava andando da nessuna parte. Tutto quel movimento incessante aveva il solo scopo di riempire un periodo vuoto, tra il lavoro e il sonno… un periodo durante il quale qualche autorita invisibile e molto piu importante degli individui vestiti di nero concedeva loro la liberta, ma proibiva loro di servirsene in alcun modo.
Proseguendo nel suo girovagare, Thorn fu assimilato dalla folla, e cesso di suscitare sospetti particolari. Comincio a udire delle parole, delle frasi, poi degli interi frammenti di dialogo, al di sopra del costante brusio. Tutte le frasi avevano una cosa in comune: un riferimento, o un’allusione, alle attivita di certi “loro”. Qualunque fosse l’argomento della conversazione, vi entrava quel pronome. A esso veniva data una serie di differenti inflessioni, nelle quali era sempre riconoscibile un miscuglio di ansia, di minaccia e di risentimento velato. Nella mente di Thorn si formo l’immagine di un’autorita che era nello stesso tempo tirannica, paterna, arbitraria, austera, ricca di prestigio illimitato, eppure cosi familiare che nessuno si riferiva a essa in maniera determinata.
—
Colui che parlava doveva essere un meccanico. In ogni modo, aveva dei trucioli di iper-tornio sugli abiti spiegazzati. Il suo compagno annui.
— Mi chiedo a che cosa servono le nuove parti che vengono prodotte.
— A qualche faccenda grossa.
— Forse. Mi chiedo quali sono i loro progetti.
— Qualcosa di grosso.
— Penso di si. Ma vorrei conoscere perlomeno il nome di quello che stiamo costruendo.