Le guance e gli occhi di mamma, stanotte, sembrano anche piu infossati, senza dubbio a causa della disidratazione; Katya ha detto che ha vomitato la cena e che non ha voluto altro, nemmeno l’acqua. Si e lamentata per il dolore — dannati tumori! — cosi le ho fatto un’iniezione di morfina e ora dorme in pace (prenderei anch’io la droga se non temessi il suo potere di indurre dipendenza o la confusione mentale che causa; devo sempre restare all’erta per quanto possibile. Per quanto riguarda mamma, a lei non la posso negare. Che importanza ha se muore dipendente dalla droga, purche non senta dolore?).
Io stesso desidero ardentemente un sonno pacifico; di recente, il mio e stato agitato e pieno di sogni che mi hanno turbato. Sono convinto che questi sogni contengano qualche messaggio criptico che potrei decifrare, e cosi ho portato il mio diario nella stanza di mamma per scrivere, mentre siedo nella vecchia sedia a dondolo dove lei mi ha tanto spesso consolato durante la mia infanzia.
Ecco il sogno: sto correndo con piacere infantile attraverso una grande foresta di sempreverdi. L’aria e fresca, e sa di pino e di pioggia recente; i rami e gli aghi degli alti alberi luccicano a causa delle goccioline di umidita. Continuo a correre, affannato e ridendo, tendendo in alto il braccio in modo che i rami piu bassi non mi colpiscano sul viso.
Ma ben presto la mia contentezza diventa panico, poiche odo dei passi dietro di me. Qualcuno mi insegue: getto un’occhiata alle mie spalle e vedo, attraverso i rami luccicanti, Gerda, mia moglie. Ma e una Gerda mostruosamente
Io grido e corro sempre piu veloce, poiche so che vuole uccidermi.
All’improvviso inciampo in un tronco d’albero caduto… lentamente, sempre piu lentamente, con quella grande ricchezza di particolari di cui si fa esperienza solo nei sogni. Il piede che ho avanti rimane intrappolato tra la terra umida e il pesante ramo; e le mie braccia si protendono descrivendo un arco in aria mentre scendono. L’altra gamba vola anch’essa per aria, descrivendo un arco mentre cado, cado, poi, alla fine, i palmi delle mani atterrano in un fitto tappeto di ramoscelli umidi e aghi di pino.
Il mio viso colpisce la terra fragrante. Quando infine lo sollevo, puntellandomi con le braccia contro il terreno molle, vedo… (perche questa immagine mi disturba tanto? Perche le mie pulsazioni accelerano anche ora che ne scrivo?).
Vedo una creatura scura… scura nel senso di buio pesto, di un’assenza di luce cosi intensa che sembra come se qualcuno avesse preso le forbici e tagliato via quella piccola porzione di mondo. Un lupo, penso, preso dalla paura: ma no, non e un lupo. Un orso? No.
E, a una certa distanza, il mio mentore angelico, Arminius, guarda impassibile, tanto lucente e bianco quanto l’orrenda creatura e nera. Il suo volto e rosa e senza rughe sotto la barba candida, simile a quello di un bambino, e le sue vesti pure e immacolate splendono accecanti nel sole. Come Mose ha in mano un alto bastone di legno e, accanto a lui, c’e il suo amico Archangel, il bianco lupo addomesticato.
«Arminius, aiutami!», grido, e continuo a gridare finche divento rauco. Ma lui non da segno di riconoscermi o di accorgersi di me, ne lo fa Archangel; lui e il lupo rimangono degli osservatori distaccati.
Indifeso, pieno d’orrore, rimango a guardare mentre la nera figura si trasforma da predatore animale in essere umano, dapprima rimpicciolendosi fino a diventare un bambino, poi ingrandendosi fino ad assumere la forma di un Uomo.
«Chi sei?», domando, tremando; nonostante il mio sfoggio di coraggio, le mie guance sono bagnate di lacrime.
Nessuna risposta. Segue un lasso interminabile di tempo, durante il quale il contorno della creatura piano piano aumenta. So che vuole circondarmi e assorbirmi — divorarmi completamente — e ho paura.
«Chi sei?», domando ancora e, dopo una pausa, odo la risposta bisbigliata nella mia stessa mente, con la voce della mia Gerda:
«
Ne sono inghiottito e svengo per il puro terrore notturno. Quindi mi sveglio improvvisamente, con il cuore che mi palpita contro le costole come un prigioniero che chiede liberta.
Le mie ricerche dell’Occulto mi hanno provato al di la di ogni dubbio che tali sogni sono delle premonizioni. Ma, per quanto cerchi, non riesco ad accertarne il significato. E lo stesso Demonio che mi si avvicina? Non credo nemmeno, nel senso piu stretto del termine, in quel concetto, sebbene sappia che c’e una moltitudine di entita in questo mondo e altrove che non sono umane, ma che possiedono un’eguale o piu grande intelligenza.
Desidero il conforto e l’aiuto della presenza di Arkady, sebbene sappia che e morto e non puo aiutarmi. Ma c’e qualcuno che puo.
Arminius! Arminius, mio amico e maestro, tu che mi hai guidato nei momenti piu difficili nel mio passato, tu che mi hai addestrato all’uccisione dei Morti Viventi. Mi abbandonasti talmente tanti anni fa, e io non so nemmeno come chiamarti. Tu che sei immortale, devi essere, di certo, ancora vivo.
Arminius, aiutami…
E piu di quanto possa sopportare, in parte a causa della mia impotenza e di quella di Vlad. Siamo arrivati a odiarci l’un l’altro in ragione del nostro tormento… e la colpa e tutta di quel bastardo di Stefan! (Lo devo chiamare bastardo, sebbene sia l’erede legittimo del mio defunto fratello, Arkady: si merita di essere chiamato con parole ancora piu oscene di questa!). O lo devo chiamare con il suo pseudonimo, Van Helsing? In qualche modo ho scoperto che il Patto funziona in due modi: ogni volta che distrugge la progenie di Vlad — quei pochi di cui non riusciamo a liberarci nel modo giusto (non ci piace creare dei concorrenti) e tutta la
Ieri sera Vlad e venuto da me: la sua pelle era grigia come quella di un cadavere, gli occhi infossati e rossi, i capelli e le sopracciglia completamente bianchi e crespi. Ma le labbra pallide erano curve in un sorriso e la sua voce era stranamente eccitata mentre diceva:
«Zsuzsanna, se non agiamo, saremo ben presto cosi deboli che Van Helsing potra venire e distruggerci facilmente. Ma no… non piangere, perche ho buone notizie!».
Infatti, ero scoppiata in singhiozzi, tanto grande era la mia sofferenza al pensiero che io, che ero stata piena di tutto quel potere, di quella felicita, di quella speranza, non potessi far altro che attendere impotente il finale ed eterno oblio…
Ma lui mi fece un cenno con la mano e disse con veemenza:
«Non piangere a causa
«Elisabeth?». Quel nome non l’avevo mai udito pronunciare e, in ogni caso, non capivo perche avrebbe dovuto essere una cosa favolosa, dato che la sua voce si era alzata esultante, come se avesse annunciato la nostra liberazione.
«E un’immortale come noi. E potente e abile, abbastanza astuta per sconfiggere il figlio di tuo fratello. E lo fara ma, prima, verra qui da Vienna e ci rimettera in forze».
«Com’e possibile?», chiesi e, immediatamente, compresi che la mia domanda era sciocca.
Era ovvio che questa Elisabeth sarebbe stata in grado di portarci una quantita ancora piu grande di fresco sangue vitale di quanto un solo uomo potesse fornire. Cio avrebbe almeno alleviato la debolezza che aveva origine