rimozione.»

«E Ramon? Che cosa hai mostrato a Ramon? La moglie felice…»

«Credo che sia stato Raul a dargli quei filmetti come regalo di nozze. Gli sposi felici, Ramon e Carmen. Hai ascoltato i nastri?»

Javier annui.

«Ce n'era un altro, l'ho portato via io. Carmen alla fine cantava, la voce non era eccezionale, ma cantava per Ramon… una canzone d'amore. Ramon, alla fine, applaudiva e io ho colto la sua emozione. Ho cambiato un poco la registrazione, ho eliminato gli applausi… solo quei tre urli disperati: 'Ramon! Ramon! Ramon!'»

Javier rabbrividi al pensiero della raffinatezza di quella tortura. Al pensiero di quei due uomini che avevano dovuto affrontare il doppio orrore del taglio chirurgico e degli ultimi momenti di vera felicita crudelmente sfigurati dal montaggio sonoro.

«E a me? Che cosa mi farai vedere?» domando. La paura stava scatenando la rabbia di Javier, che si sforzava di ricordare l'ultima volta in cui era stato felice. «Quale felicita ho abbandonato io?»

«Ti bendero per qualche momento», disse la voce. «Quando ti togliero la mascherina, vedrai.»

Un elastico sulla nuca, poi la morbida oscurita ovattata. Era piacevole quel buio vellutato, trapuntato. Javier penso che non avrebbe mai piu dovuto uscire da quella tenebra. Qualcosa venne posato sulla scrivania, la sedia fu spostata in avanti, l'adrenalina comincio a fluire nel suo organismo. Il panico assoluto dentro di lui si assottiglio, gli scorse nel sangue, raffreddandolo, sangue simile a etere ora. Javier era gelato e tremante. Delle dita gli sfilarono la maschera ma Falcon tenne gli occhi chiusi.

«Apri gli occhi, Javier», disse la voce. «Tu, meglio degli altri, sai che cosa succedera se non li aprirai. Davvero, non e niente di terribile.»

«Li apriro. Concedimi solo un po' di tempo.»

«E una cosa che vedi tutti i giorni.»

«Lo sai che non e per la cosa sulla scrivania, e per la cosa nella mia testa», ribatte Javier.

«Apri gli occhi.»

«Si.»

«Il tempo si sta esaurendo.»

«Li apriro.»

«Ti costringero ad aprirli. Lo sai come te li faro aprire, lo sai come faccio.»

Javier si senti stringere e piegare all'indietro la testa nella morsa di un gomito piegato, il collo teso al punto da non riuscire a gridare. Avverti il tocco della lama. Era come ghiaccio. La bruciatura fredda di un metallo insensibile. Qualcosa di caldo gli gocciolo sulla guancia, piu denso del sudore o delle lacrime. Spalanco gli occhi mentre la sua testa si piegava in avanti.

Sul tavolo era posato un bicchiere di latte. Si ritrasse immediatamente, ma troppo tardi, l'immagine gli si era infilata nel cervello come una scheggia di vetro. Non aveva idea del perche fosse cosi spaventato, non vi era nessuna logica nei lampi di paura che pulsavano da sinapsi a sinapsi, da nervo a nervo, finche tutto il suo corpo fu scosso da spasmi tali da far traballare la sedia.

La benda gli ricadde sugli occhi, chiudendo fuori la ridicola realta di un bicchiere di latte. Una mano gli sfioro i capelli mentre un corpo si sporgeva sopra di lui.

«Fiutalo.»

Javier inspiro una boccata di un odore nauseabondo, greve, dolciastro, mentre un sapore di uova marce gli impregnava la saliva e il sudore freddo lo bagnava in tutto il corpo. Vomito.

L'odore fu allontanato, il bicchiere di nuovo posato sulla scrivania. L'uomo riprese la posizione alle sue spalle.

«Sapevo che saresti stato coraggioso», disse la voce.

«Non mi sento coraggioso», balbetto Javier, tossendo e ansimando.

«Quale odore hai sentito?» domando la voce.

«Mandorle e latte. Come fai a sapere che odio le mandorle e il latte?»

«Chi era abituato a bere latte di mandorle tutte le sere prima di dormire?»

«Mia madre, credo.»

«Tu sai che era tua madre», disse la voce. «Chi le portava il bicchiere di latte di mandorle tutte le sere?»

«La sua cameriera…»

«No, lei lo preparava. Chi lo portava a tua madre?»

«Io no», disse Javier in fretta, al modo di un bambino. La bugia istintiva. «Non ero io. Era Manuela.»

«Sai perche tuo padre ti odiava?»

Al colmo dell'infelicita, Javier lascio ciondolare la testa, la scosse di qua e di la, negando, negando tutto cio che affiorava nella mente.

«Perche tuo padre ha fatto in modo che tu lo amassi?»

«Non capisco, non ti capisco piu.»

«Calmati ora, Javier. Ti leggero una storia, proprio come faceva tuo padre per farti addormentare. Che storia abbiamo stasera? Si, stasera sara questa: 'Una piccola storia di dolore che diverra il tuo'.»

3 gennaio 1961, Tangeri

Per sei giorni, sedendomi di fronte a P. ho osservato il suo viso farsi terreo. Solo i bambini riescono a ridarle un po' di vita. Le chiedo che cosa abbia e lei mi risponde sempre nello stesso modo: «Nada, nada». Passo davanti al laboratorio di T.C. I muri sono intatti, la porta e bruciata e il tetto e crollato. Sento dire al caffe frequentato da T.C. che non ci sara un'inchiesta. E stato un tragico incidente. P. ha cominciato ad andare a messa regolarmente. Io guardo il mare con il binocolo. E piatto e grigio come l'acciaio. La spiaggia e vuota. Osservo i gabbiani tuffarsi.

12 gennaio 1961, Tangeri

Javier compie cinque anni e diamo una festicciola per lui. P. e piena di vitalita per tutto il tempo del ricevimento e io sono stupefatto dalla sua bravura. Sono la stella del pomeriggio come mostro degli abissi marini. Sciami di bambini scappano via da me strillando, ogni tanto ne acchiappo uno e divoro con gran gusto quel boccone di marmocchio che ride e si divincola… finche una bambina non si fa la pipi addosso. Fine del mostro. I bambini vanno a letto presto e P. e io ceniamo da soli nel nostro silenzio abituale. Perfino la servitu e come se camminasse sulle uova vicino a noi. Il pasto finisce, i domestici se ne vanno, rimaniamo soli. Sorseggio brandy e fumo. Faccio le mie solite osservazioni sul suo comportamento negli ultimi tempi e questa volta P. batte entrambi i pugni sul tavolo. Sembra una fucilata. Mi scruta in faccia, sporgendosi verso di me.

P.: So che sei stato tu.

Io: Come?

P.: So che sei tu il responsabile.

Io: Di che?

P.: Della sua morte.

Io: Morte di chi?

P.: Sei freddo come i paesaggi che dipingevi una volta, quelle distese desolate. Tu non hai cuore, Francisco Falcon. Sei vuoto, sei freddo e sei un assassino.

Io: Ti ho gia confessato il mio passato.

P.: Oh, che Dio mi perdoni, avrei dovuto ascoltarti piu attentamente, avrei dovuto dare retta a mio padre, non avrei mai dovuto lasciarmi toccare da quelle tue mani di ghiaccio. Sei un essere brutale, sei veramente un mostro. Oggi mi si e gelato il sangue nelle vene nel vederti con i bambini, perche tu sei davvero cosi, tu sei…

Io: Di che stai parlando, Pilar?

P.: Te lo diro in faccia, se vuoi.

Io: Voglio.

P.: Tu hai assassinato Tariq Chefchaouni.

lo: Chi?

La stanza quasi non riesce a contenere il suo disprezzo.

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