suo fianco e, tenendo la corda rossa come un guinzaglio, lo guido al grande tavolo ovale.

L’uomo prese allora a recitare, con voce solenne ma con un pesante accento americano, l’antica formula del giuramento: «Ego, Miles de Ordine Templi, promitto Domino Meo Jesu Christo perpetuam obedientiam et fidem servendam in perpetuo…»

Una formula che rimandava a tempi remoti, quando un Ordine di Cavalieri era divenuto una delle piu grandi potenze del Medio Evo.

New York. Ottobre 1980

Magdalene Erriot, ormai chiamata da tutti Maggie, stava ripensando di nuovo alla festa di laurea. Le sembrava di sentire ancora tra le dita il profumo di Pat Silver, il celebre playmaker della squadra di basket.

Fu scossa da un leggero fremito. Com’era stata stupida. Eppure Dio sapeva quanto lo avrebbe voluto. Invece… Un ballo lento, tenendosi stretti, l’uscita sul terrazzo con la vecchia scusa di ammirare le stelle, un bacio appena sfiorato, con le dita tra i capelli di Pat… Ma a quel punto si era materializzato l’onnipresente Derrick Grant. Maledizione!

Si stiracchio nel letto. Finalmente si alzo, apri la porta di casa e, ancora assonnata, rientro con una bottiglia di latte fresco e il giornale.

Basto un’occhiata distratta alla notizia che riempiva la prima pagina per darle un intenso brivido: quella scena l’aveva gia vista alcuni giorni prima che accadesse. Un’autobomba era esplosa di fronte alla sede di un’ambasciata americana in Medio Oriente.

Comincio a leggere avidamente l’articolo, che rimandava a una pagina interna, ma prima di proseguire fu attratta da un trafiletto: «Roma. Solenni celebrazioni per la ricorrenza della morte del cardinale Vittorio Febi. L’indiscusso sovrano delle finanze vaticane degli anni ’70, stroncato da un infarto due anni fa, e stato commemorato…»

Maggie torno alla notizia principale, fermandosi spesso a scrutare le fotografie: le aveva tutte nitide nella mente come un film visto tante volte da conoscerlo ormai a memoria. Era la prima volta che vedeva materialmente quelle immagini, ma sapeva di averle gia viste durante uno di quegli strani attimi di buio in cui non riusciva a controllare la mente.

Situazioni strane, inspiegabili, come quando era caduta in trance nella stanza di Pat e Derrick. Ma ne lei ne gli amici presenti alla seduta spiritica ne avevano piu parlato. Scorse ancora una volta il titolo: «Grave atto terroristico. Dodici cittadini degli Stati Uniti uccisi in un attentato».

Pat Silver si sveglio che era ormai pomeriggio inoltrato. Il suo primo pensiero fu, anche per lui, la bella bocca di Maggie Erriot. Si alzo, massaggiandosi le tempie e faticando un po’ a mantenere l’equilibrio.

Il suo compagno di stanza, Derrick Grant, era davanti al televisore, sul cui schermo scorrevano le drammatiche immagini dell’attentato.

«Che figli di puttana», disse. «E come al solito resteranno impuniti.»

In quel momento suono il telefono.

«Pat», esclamo la voce di Maggie, sensibilmente turbata, «ho visto le immagini dell’attentato.»

«Certo, le stiamo guardando anche noi. Una cosa terribile.»

«No, Pat… volevo dire… non le sto vedendo adesso. Le ho gia viste… prima, almeno… almeno una decina di giorni fa.»

«Maggie, Maggie, sei sicura che non ti abbiano giocato un brutto scherzo i cocktail di ieri sera?»

«Sono sicurissima, Pat», ribatte lei senza un attimo di esitazione. «E continuo a sentirmi… non so come spiegarti… collegata a quell’avvenimento.»

«Collegata? Boh. Comunque, che cosa posso fare per te?»

«Niente, temo, Pat. Ma tu, Derrick e Annie siete i miei amici piu cari. Volevo soltanto comunicarvi una sensazione strana, senza essere presa per visionaria.»

«Anche tu mi sei molto cara, Maggie, e lo sai», rispose Pat d’un fiato. Avrebbe anche voluto aggiungere altre cose, ma si trattenne.

«Che cosa dice la nostra Venere Nera?» chiese Derrick, non appena Silver ebbe posato il ricevitore.

L’altro lo informo rapidamente delle strane visioni premonitrici dell’amica.

«Potremmo chiedere aiuto a mio padre», ribatte prontamente Derrick. «Conosce un sacco di gente importante.»

«Credo sia meglio lasciar perdere. Se pero queste visioni dovessero ripetersi, sara il caso di pensarci piu a fondo.»

Ekaterinburg. 1980

Quasi due anni in quella maledetta fabbrica, a ripetere movimenti sempre identici. Ai tempi dello zar, Ekaterinburg era la sede della zecca. Prima di vedere la fine dei Romanov, per decenni aveva riprodotto le effigi degli zar su monete e banconote. E la fabbrica dove lavorava Iosif Drostin, ora convertita alla produzione di bulloneria, era proprio l’edificio in cui un tempo venivano coniate le monete.

Appena concluso il turno di lavoro, Drostin torno nella sua stanza, dove cerco di fare un po’ di ordine tra le sue poche cose. Gli vennero tra le mani i suoi vecchi quaderni, quelli su cui nonno Igor gli aveva pazientemente insegnato a leggere e scrivere. Gli aveva raccomandato infinite volte di tenerli sempre con se. «Li dentro c’e il tuo avvenire…» diceva.

Commosso dal ricordo, Iosif prese a leggere per l’ennesima volta cio che gli aveva dettato il nonno tanti anni prima.

«Lo zar e la zarina giunsero a Ekaterinburg il 30 aprile 1918. Io facevo parte del servizio d’ordine alla stazione. Si viveva in un clima di profonda inquietudine: in gennaio il Soviet degli Urali aveva addirittura condannato a morte un cugino di Lenin, Viktor Ardasev. Quando in maggio fui comandato come sottufficiale addetto alla sorveglianza della famiglia imperiale, mi stupii non poco: gli uomini che sorvegliavano i Romanov erano tutti legati alla Ceka, il servizio segreto, con cui non avevo mai avuto rapporti. Per loro non avevo nemmeno alcuna simpatia.

«I motivi della scelta risiedevano sicuramente nel fatto che nessuno di loro conosceva l’inglese, mentre io ne avevo qualche nozione a causa di un mio passato impiego. Era infatti in quella lingua che comunicavano abitualmente tra loro lo zar e la sua famiglia. Fui subito molto colpito dall’atteggiamento dei miei commilitoni nei confronti della famiglia imperiale. Ero un rivoluzionario come loro, ma mai mi avrebbe sfiorato l’idea di schernire i prigionieri o disegnare sulle pareti frasi oscene circa la zarina e i suoi presunti rapporti carnali con il monaco Rasputin. Quanto allo zar, era un uomo mite e molto attaccato alla famiglia. Nei miei confronti ha sempre manifestato rispetto e umanita.

«Quando Jurovskij venne a sostituire Avdeev al comando di Casa Ipat’ev, si porto dietro un drappello di fedelissimi, tra cui diversi lettoni. Come il loro comandante erano uomini integerrimi, ma spietati. Con il suo arrivo, comunque, molti dei miei compagni furono allontanati, e i prigionieri cominciarono a essere trattati con maggiore rispetto.

«Io invece rimasi, credo per lo stesso motivo che aveva indotto i miei superiori a mandarmi li: allo zar e ai suoi era vietato esprimersi in una lingua diversa dal russo, ma nessuno sarebbe stato in grado di capirli se si fossero parlati in inglese. Non posso negare che mi affezionai a quelle giovani donne e allo zarevic Alessio, cosi indifeso, sempre a letto per la grave malattia che lo minava.»

New York. 1980

La sensazione. Ormai Maggie Erriot chiamava cosi il misto di eccitazione e paura che accompagnava le sue visioni. Non riusciva a dominarlo, era un fenomeno troppo nuovo e inspiegabile, ma a questo punto aveva capito che doveva imparare a conviverci. Quando la sensazione s’impadroni ancora una volta di lei, la giovane era perfettamente sveglia e cosciente.

La finestra che vide era al terzo piano di un malandato stabile di periferia, affacciato su un incrocio. A destra un caffe con un’insegna rossa, a sinistra un negozio di toeletta per animali.

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