L’ascensore si fermo senza sobbalzi.

Le porte si aprirono.

Dietro, l’oscurita.

L’indicatore acceso sopra la porta dell’ascensore diceva S.

Questo e il sotterraneo. Qualcuno ha spento la luce, ecco tutto.

Stranamente, il braccio amputato con il coltello che girava nella mano non preoccupava Pen piu del buio fuori dall’ascensore.

Il sotterraneo. Era li che conservavano i cadaveri. I pazienti che non ce l’avevano fatta. Sistemati nei cassetti.

Lei si sposto evitando il braccio e si fermo al bordo del pavimento dell’ascensore. Sbircio nel buio totale.

Non voleva uscire la fuori.

Il cuore le martellava per il terrore, faceva fatica a respirare.

«Ehi!» grido. «C’e qualcuno?»

Nessuna risposta.

Naturale. I morti non parlano.

Chiamo di nuovo: «Ehi!»

«Aiutami!» imploro la voce distante e soffocata di suo padre.

«Vengo subito!»

Se potessi trovare un interruttore… Allungo il braccio fuori dall’ascensore, tasto la parete e una mano gelida le afferro il polso.

«Ahhhhh!»

Pen si sveglio con un sobbalzo e senti l’ultima parte del proprio grido nella camera buia. Balzo a sedere ansando.

«Dio Santissimo!» mormoro.

Si tiro una manica sulla faccia per asciugare il sudore. Il pigiama era incollato alla pelle.

Che incubo. Cerco di ricordarlo, ricordo di aver allungato un braccio per cercare l’interruttore. Qualcuno le aveva afferrato la mano.

Doveva esserci dell’altro nel sogno, ma il resto era svanito.

Aveva sentito dire che bisognava aspettare svegli tre o quattro minuti; se uno si riaddormentava troppo presto, poteva ricadere nello stesso incubo.

No grazie.

Inoltre aveva la bocca arida, un leggero mal di testa e doveva far pipi.

Si alzo, stacco il pigiama dalla schiena e dalle natiche e apri la porta. Il corridoio era buio. Uno degli interruttori si trovava proprio fuori dalla porta. Stava quasi per toccarlo, ma il ricordo dell’incubo la fece rabbrividire. Sentiva la pelle d’oca sulle cosce e sulle braccia, sulla nuca e sulla fronte. La pelle sui capezzoli era tesa e rigida.

E stato solo un maledetto incubo, si disse.

Non riusciva neppure ad allungare il braccio per accendere l’interruttore.

Accese la lampada in camera da letto. Gettava una piccola luce nel corridoio. Non c’era nessuno pronto ad afferrarla. Naturalmente.

Tranquillizzata, si avvio silenziosamente verso il bagno. Uso la toilette. Nell’armadietto dei medicinali trovo una boccetta di Tylenol e ne inghiotti un paio. Mentre tornava nella sua camera, si fermo davanti alla porta di Melanie. La lama di luce sotto l’uscio era sparita. Dentro, nessun rumore. Prosegui verso la sua camera, entro e si fermo di botto.

Bodie, avvolto in un accappatoio spiegazzato, stava in piedi davanti alla finestra. «Sei abbastanza coperta?» chiese sottovoce senza guardarsi attorno.

Pen chiuse la porta e tiro un sospiro. «Si, lo sono», rispose. «Che cosa fai qui?»

Lui si volto. Teneva le mani strette alla vita. I suoi occhi avevano uno sguardo nervoso. Cerco di sorridere, il sorriso svani rapidamente. «Ho bisogno di parlarti per un paio di minuti. Mi dispiace di essere piombato in camera tua.»

«Non ti preoccupare», disse lei. La sua voce risuonava stranamente soffocata e roca.

Cristo, pensava Pen. E venuto nella mia camera. Che cos’e questa storia?

Lei sedette sul bordo del letto e strinse le mani tremanti. Poi respiro profondamente. Abbasso lo sguardo, vide che il primo bottone era slacciato, lo allaccio e torno a stringersi le mani.

Bodie si avvicino a una sedia con lo schienale alto accanto al cassettone. I suoi capelli castano chiaro erano arruffati.

L’accappatoio era chiuso con un cordone stretto in vita. Quando sedette, lui tiro i lembi sulle cosce.

«Hai gridato», disse Bodie.

«Si. Un incubo. Tremendo.»

«Stai bene?»

Pen annui.

«Non avevo intenzione di venire, ma ho sentito il grido e poi sei passata davanti alla nostra porta. Io ero sveglio e pensavo…» Bodie s’interruppe, esitando.

«Che cosa?»

«Di dirtelo.»

«Dirmi che cosa?» si stupi lei. Le batteva il cuore.

«Bodie», sussurro. «Non saresti dovuto venire qui.»

«Lo so, lo so. Melanie mi ucciderebbe…»

«Potresti biasimarla?»

«Non riesco a tenere questa cosa per me.»

«Mi conosci appena.»

«So di potermi fidare di te. Credo che ci saranno guai seri.»

Pen corrugo la fronte sollevata, ma anche un po’ delusa.

«Di che cosa stai parlando?»

«Ti ricordi che cosa e successo in ospedale? Ti ricordi come si e sentita male Melanie?»

«Se mi ricordo? Scherzi?»

«Lei ha detto di non sapere che cos’era la sua visione, ma non era vero. Ricordava tutto. E me ne ha parlato in camera, stanotte.»

Prima o dopo aver fatto l’amore? Si domando Pen, e subito si senti furibonda con se stessa per averlo pensato. «Che cosa ha detto?»

«Un altro incidente. Ha visto l’auto accelerare verso di lei, come prima, solo che stavolta ha potuto vedere il conducente. Ha detto che era Harrison Donner.»

«Oh, Dio!» mormoro Pen. «E sicura?»

«Sembrava sicurissima.»

«Harrison ha investito papa?»

«Melanie pensa che sia stato un complotto, che Harrison e Joyce l’abbiano ideato insieme.»

«C’era anche questo nella visione?»

«E una sua teoria. Da come l’ha spiegata, Joyce sapeva in anticipo del programma di cenare da Gerard’s, probabilmente aveva fatto lei stessa la prenotazione. Sapeva anche che tuo padre lasciava sempre la macchina nel parcheggio della banca, percio avrebbe dovuto attraversare Canon per entrare nel ristorante. Aveva riferito ogni cosa a Harrison e lui aspettava, forse fermo al marciapiede. Quando tuo padre ha fatto per attraversare…» Bodie sollevo le mani dalle ginocchia, le lascio ricadere dopo un momento.

«Stai dicendo… che Melanie crede che abbiano complottato per uccidere papa?»

«E cosi… Non sono del tutto convinto che Melanie abbia ragione, ma potrebbe essere andata in questo modo. Non vedo lacune nel ragionamento, e tu?»

«Harrison non poteva essere sicuro che non ci fossero testimoni.»

«Se il momento non era quello adatto, poteva sempre lasciar perdere. Per quello che ne sappiamo, potrebbero aver fatto le prove una mezza dozzina di volte prima di quella sera, e ogni volta avere desistito per un

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