«No.»

«Posso avvisare in anticipo. Ci sono persone che non hanno mai smesso di amarvi, Dick. Verranno certamente, se glielo chiedero.»

«Avete i muscoli contratti, Charles» disse Muller. «La mia vicinanza vi sconvolge. Vi sentite pulsare il cervello, il petto, le viscere. Siete bianco come un lenzuolo e le guance sono flaccide, cascanti. Lo so che restereste seduto li anche se doveste crepare, perche e nel vostro stile, ma e un inferno per voi. Se sulla Terra c’e davvero qualcuno che non ha mai smesso di amarmi, il meno che possa fare per lui e di risparmiargli questa tortura. Non voglio vedere nessuno, incontrare nessuno, parlare con nessuno.»

«Come volete» disse Boardman, mentre gocce di sudore gli colavano lungo le guance. «Forse cambierete idea quando sarete vicino alla Terra.»

«Io non saro mai piu vicino alla Terra» disse Muller.

25

Muller trascorse tre settimane ad assimilare tutto quello che c’era da sapere sui giganteschi esseri extra- galattici. L’avevano alloggiato in un fortino sulla Luna, vicino a Copernico, e lui ci viveva tranquillamente, muovendosi come un robot lungo interminabili corridoi di acciaio grigio, illuminati da forti lampade. Gli mostrarono tutti i cibi disponibili e gli fecero sperimentare ricostruzioni sensorie di ogni genere. Muller ascoltava e non diceva niente.

Tutti si tenevano il piu possibile lontani da lui, come avevano fatto durante il viaggio di ritorno da Lemnos. Passavano giornate intere senza che Muller vedesse anima viva. E quando dovevano comunicargli qualcosa, si tenevano a una distanza di dieci metri e piu.

Boardman, pero, andava da lui puntualmente tre volte alla settimana, e si faceva un dovere di rimanere sempre entro la portata delle radiazioni. Muller trovava quel comportamento assurdo e condannabile. Sembrava che Charles volesse trattarlo con superiorita, sottoponendosi volontariamente e senza alcuna necessita a quella sofferenza. «Se ve ne state lontano mi fate un vero piacere» gli disse alla quinta visita. «Possiamo comunicare per mezzo dello schermo, oppure potreste starvene vicino alla porta.»

«Non m’importa di starvi vicino.»

«Importa a me, pero» disse Muller. «Non vi siete mai accorto che il genere umano mi e diventato odioso quanto io sono odioso a lui? Il fetore del vostro corpo grasso, Charles, mi ferisce le narici. Non soltanto voi, Charles, ma anche tutti gli altri. Siete nauseanti. Disgustosi. Non posso neanche guardarvi in faccia. Quei pori, e quelle bocche semiaperte. E le orecchie! Avete mai visto niente di piu ripugnante di quella cavita rosea e piena di pieghe? Siete tutti disgustosi!»

«Mi dispiace che la pensiate cosi.»

Le istruzioni continuarono. Dopo una settimana, Muller era gia pronto per partire, ma prima vollero che considerasse tutti i dati immagazzinati nel cervello elettronico. Lui ascoltava, impaziente. Una sfumatura della sua antica personalita era ancora viva, e Muller riusciva a provare per quel viaggio il gusto di un’avventura affascinante.

Voleva andare. Voleva sentirsi utile come un tempo. Voleva farsi onore.

Finalmente gli diedero il permesso di partire.

Dalla Luna lo trasportarono, con una navetta a propulsione ionica, fino a un punto esterno all’orbita di Marte, dove lo trasbordarono su una nave gia programmata per lanciarlo al limite della galassia. Solo. Assolutamente solo.

Dalla cabina della sua nave, vide i tecnici fluttuare nello spazio e prepararsi a recidere i cavi. Poi tornarono alla loro nave, e senti la voce di Boardman che inviava l’ultimo messaggio, un discorso nobile e ispirato, che lo esortava a compiere coraggiosamente il suo dovere per il bene dell’umanita, eccetera, eccetera.

Muller ringrazio urbanamente, poi la linea di comunicazione fu interrotta.

Pochi minuti dopo, Muller entro in iperpropulsione.

Le creature sconosciute si erano impossessate di tre sistemi solari alla periferia della galassia, e in ciascuno di questi c’erano due pianeti che erano stati colonizzati dai Terrestri.

La nave di Muller era diretta verso una stella verde-oro i cui mondi erano colonizzati da soli quarant’anni. Il quinto pianeta, secco come un blocco di ferro, apparteneva a una societa colonizzatrice asiatica, che stava cercando d’instaurarvi una civilta di pastori nomadi. Il sesto, che offriva una varieta climatica e ambientale simile a quella terrestre, era occupato da una mezza dozzina di rappresentanti di societa colonizzatrici, dislocati sui vari continenti. Ma i rapporti tra i diversi gruppi, spesso complessi e molto tesi, da alcuni mesi non preoccupavano piu la Terra, perche entrambi i pianeti erano ormai sotto il controllo dei sovrintendenti extra-galattici.

Quando fu a venti secondi-luce dal sesto pianeta, la nave entro in un’orbita di osservazione e gli strumenti di bordo cominciarono a registrare informazioni. Gli schermi mostravano l’immagine della superficie, permettendo a Muller di confrontare la configurazione attuale degli avamposti sottostanti con la carta su cui essi apparivano com’erano prima della conquista straniera. Le immagini ingrandite erano interessantissime. Le colonie originali comparivano sullo schermo colorate in violetto e le estensioni recenti, in rosso. Muller osservo che intorno a quasi tutte le citta si era sviluppata una rete di strade a zig-zag e di viali dal corso tortuoso, ad angoli acuti. Caratteristiche assolutamente non terrestri.

A settemila chilometri sopra il sesto pianeta c’era in orbita una capsula lucente, leggermente allungata a una estremita, e che aveva pressappoco le dimensioni di una grande nave da trasporto infrastellare. Un’altra, identica, orbitava sopra il quinto mondo. La c’erano i sovrintendenti.

Comunicare con quelle capsule o col pianeta sottostante era impossibile. Tutti i canali erano bloccati. Muller manovro convulsamente manopole e leve per oltre un’ora, ignorando i consigli irritati del cervello elettronico della nave, che continuava a ripetergli di rinunciare all’idea.

Infine si decise, e accosto il satellite alieno orbitante piu vicino. Con sua grande sorpresa, non successe proprio niente. Fino a quel momento, tutti i missili, lanciati contro i satelliti dei sovrintendenti, erano stati neutralizzati, ma la sua astronave rispondeva perfettamente ai comandi. Era un buon segno? Forse l’essere misterioso stava scrutando, ed era in grado di distinguere una nave da un’arma ostile? Oppure si limitava a ignorarlo?

Quando fu a un milione di chilometri, adeguo la sua velocita a quella del satellite alieno, e si mise in orbita intorno ad esso. Poi entro nella capsula d’atterraggio, che fu proiettata all’esterno, nel buio.

L’alieno l’aveva afferrato. Non c’erano dubbi. La sua capsula di atterraggio era programmata in modo da descrivere un’orbita che nel momento previsto l’avrebbe portata vicinissima al satellite. Ma Muller si accorse che deviava gia da quell’orbita. E le deviazioni non sono mai accidentali. La sua capsula accelerava piu del previsto e questo significava che qualcosa l’aveva afferrata e l’attirava a se. Si rassegno. In fondo, anche questo era previsto. Si sentiva calmissimo. Si aspettava tutto, ed era pronto a tutto. La velocita della capsula, infine, diminui, e lui vide avvicinarsi la sagoma lucente del satellite.

Metallo contro metallo, i due veicoli spaziali si accostarono, si toccarono e si congiunsero.

Si apri un portello e la capsula venne risucchiata in quell’apertura.

Il veicolo spaziale di Muller si fermo su una piattaforma, in un enorme locale buio, lungo, largo e alto centinaia di metri. Muller ne usci chiuso nella sua tuta. Mise in funzione il dispositivo gravitazionale perche immaginava che li dentro la gravita fosse pressoche inesistente. L’immenso locale era rischiarato soltanto da una tenue luce rossastra, e nel silenzio innaturale si udiva una specie di rombo, come un respiro amplificato, che permeava di se le strutture del satellite. Muller provo un senso di vertigine. Il pavimento gli rollava sotto i piedi, e lui avvertiva nella mente una sensazione strana, simile al pulsare di un oceano le cui onde spazzassero le spiagge frastagliate, il suono di una massa d’acqua che si agita e mugghia in una cavita sotterranea, mentre il mondo trema sotto un fardello troppo greve… Un gelo, che nemmeno lo scafandro termico riusciva ad attenuare, lo attanaglio. Era attratto da una forza irresistibile, e si mosse, esitante, sorpreso nell’accorgersi che braccia e gambe gli ubbidivano ancora, anche se non ne era piu completamente padrone. Sentiva di avere vicino, attorno, qualcosa che

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