del fatto che una volta l’ho amato. Perche lui e dentro di te in questo momento e ti sta obbligando a farmi del male. Non lo so. Cristo, non lo so proprio. Ma perche ti interessa sapere a chi sono fedele? Non ti ho detto ieri notte che non volevo che tornasse? Non mi sono appena offerta di chiamare il Centro Riab?
— Si, si.
— Percio come potrei essere dalla sua parte? Voglio che venga spazzato via. Voglio che sparisca per sempre. Voglio… Oh, Cristo…
Si era fermata d’improvviso. Aveva fatto un balzo sul letto come se fosse stata punta, le braccia e le gambe che si agitavano. Si volto verso di lui. La faccia contorta, gli occhi fuori dalle orbite, la bocca un buco rigido, i muscoli della gola gonfi. Dalle sue labbra uscirono dei suoi bizzarri, confusi, baritonali, come i balbettii di un sordomuto, nessuna parola intelligibile: —
Si mise a correre per la stanza, andando a sbattere contro i mobili, artigliando l’aria. Un caso evidente di possessione demoniaca. Ma cosa la possiede?
—
Macy le si getto addosso, cercando di abbracciarla, di calmarla, di riportarla a letto. Giro su se stessa come un robot e le sue braccia lo colpirono al petto, facendolo piegare in due. Quando la guardo di nuovo, la sua faccia era scarlatta e la bocca spalancata fino alla larghezza massima delle mascelle, e forse oltre. Suoni selvaggi e gorgoglianti le uscivano ancora dalla bocca, gli occhi erano pieni di un orrore e una disperazione totali.
Di nuovo Macy cerco di afferrarla. Questa volta ci riusci. I muscoli si contraevano e guizzavano per tutto il suo corpo ossuto e nudo. La costrinse a stendersi a letto, e la copri con il proprio corpo, le mani che le stringevano i polsi, le ginocchia che le imprigionavano le cosce. Un odore acido di sudore che si alzava da lei: sudore cattivo, sudore di paura.
Un attacco epilettico? L’epilessia era un pensiero ricorrente per lui, quella mattina. Con voce bassa e intensa le parlo, cercando di calmarla, di raggiungerla in qualche maniera. Altri suoni baritonali uscirono dalla bocca di Lissa, in rochi scoppi interrotti. Statiche dell’anima.
— Lissa — disse. — Lissa, mi senti? Cerca di rilassarti. Allenta i muscoli.
Piu facile a dirsi che a farsi. Continuava a contrarsi. Nel mezzo di tutto questo, avverti una sensazione di calore alla base del cranio, come se un succhiello lo penetrasse. Oppure trapanasse verso l’esterno, partendo dal centro morbido del suo cervello. Qualcosa si mise a saltare freneticamente dentro la sua bocca, e gli ci volle un momento prima che si rendesse conto che era la sua lingua, che si protendeva assurdamente verso la gola. —
Mentre giaceva li, congelato e coagulato sopra Lissa, comprese perfettamente quello che stava succedendo. Nat Hamlin, avendo conservato le forze per un paio d’ore, stava cercando di conquistare un nuovo livello del loro comune cervello. Per la precisione: stava cercando di assumere il controllo dei centri vocali.
Macy sapeva che questo avrebbe segnato l’inizio della sua obliterazione; una volta che Hamlin avesse avuto il controllo della voce, sarebbero stati i
Ma come?
Cosi come hai fatto ieri notte, quando ti controllava la meta della faccia. Staccalo da te. Mediante la pura forza di concentrazione, spezza la sua presa.
Macy cerco di visualizzare l’interno del suo cervello. Dicendosi: Qui vive Hamlin, in questa sacca di fanghiglia, e questi sono i percorsi che si sta costruendo per raggiungere le altre parti del mio cervello, e questo e il posto che sta attaccando ora. Era una costruzione puramente immaginaria, ma per il momento sarebbe servita. Adesso cerca di visualizzare i centri della parola. Diciamo: file e file di cordoni rosa, tesi, come in un pianoforte, con una specie di quadro di distribuzione attaccato. Hamlin al quadro, che infila e stacca spinotti, cercando le connessioni giuste; e le corde rosa, che emettono suoni stridenti e bizzarri. Vagli alle spalle. Prendilo per le braccia. Non e piu forte di te. Tiralo indietro, buttalo a terra. Saltagli sopra. Attento a non fracassare qualcosa. Ne avrai bisogno quando sara finita. Non mollarlo. Stagli sopra. Bloccalo! Bene! Sbattigli la testa sul pavimento un paio di volte. D’accordo: il pavimento e elastico, ma serve lo stesso a intontirlo. Bene. Adesso. Trascinalo fuori. Pesa, quel bastardo. Ottantacinque chili, proprio come te. Forza, forza. In questo corridoio ammuffito. Che puzza di umidita. Ci deve essere qualcosa che sta marcendo. Buttiamolo dentro. Via! E adesso chiudiamo la porta. Ecco fatto, piu facile di quanto credevi, eh? Ci vuole solo un po’ di energia mentale. Perseveranza. Puoi rilassarti adesso. Tira il fiato.
Ehi, Cristo, che succede? Deve essere rinvenuto, la dentro. Sta tempestando di pugni la porta. Cerca di aprirla. Ehi, non puoi lasciarlo fare. Tienila chiusa! Spingi… spingi… spingi… Siamo in una situazione di stallo. Lui non riesce ad aprirla di piu, tu non riesci a chiudere l’ultima fessura.
Ma bisogna bloccare la porta. Con cosa? Tira il catenaccio, deficiente. Ma non c’e nessun catenaccio. Sicuro che c’e. Questa e la tua mente, la tua fottutissima mente, non sei capace di usare un po’ di immaginazione? Inventati un catenaccio! Cosi. Bene. Adesso tiralo. Infilalo nel buco. Dentro. Dentro. Bene, un passo indietro. Vediamo se ce la fa a uscire, adesso. Tienti pronto a picchiarlo se ci prova. Sta battendo contro la porta. Ci si butta addosso. Ma il catenaccio tiene. Tiene. Ben fatto. E adesso controlliamo le macchine. Che non le abbia danneggiate. A voce alta e chiara, sentiamo:
— Il mio nome e Paul Macy.
Bravo. Mi fa piacere sentire qualcosa di sensato uscire di nuovo dalla tua bocca.
— Sono nato ad Idaho Falls, il 12 marzo 1972. Mio padre era ingegnere e mia madre insegnante.
L’emissione della voce in generale funziona. Un po’ arrugginita, un po’ sbavata sulle basse frequenze, ma c’era da aspettarselo, visto come ha abusato delle tue corde vocali. Si rimetteranno a posto subito, vedrai.
Hai vinto questo round, Macy.
Lentamente, tremando, si rialzo. Lissa era ancora stesa sul letto, con un’aria sgualcita e appiattita. Non si mosse. La faccia aveva assunto il suo aspetto normale. Aveva gli occhi aperti. Una luce brillava in essi. Un’espressione cupa, assente.
— Stai bene? — chiese.
Non rispose. Era in un’altra galassia, forse.
— Lissa, stai bene?
Fissandolo lei disse: — Te ne frega qualcosa se sto bene? — La voce era roca quanto quella di Macy.
— Che razza di domanda sarebbe?
— Ce l’avevi con me, prima che cominciassero i fuochi d’artificio — disse lei. — Dicendomi che sospettavi che fossi dalla sua parte, e un sacco di altre stronzate. Se avessi un minimo di buon senso me ne andrei da qui in fretta. Non e giusto che tu mi tratti cosi. — Si alzo, stringendosi i fianchi fra le braccia, con un’aria piu vulnerabile che mai. Le linee blu delle vene visibili sui suoi seni. Smagliature sui fianchi, che mostravano dove avesse perso peso. Movimenti rapidi, irosi… Afferro i vestiti e se li mise addosso. Una camicetta, una tunica. Disse: — Era lui vero? Hamlin? Che cercava di parlare con la mia voce.
— E poi con la mia, si.
— Dov’e andato?
— L’ho respinto. L’ho costretto a mollare la presa.
— Che bravo. — Con voce atona. — Il mio eroe. Vedi i miei sandali da qualche parte?
— Dove vuoi andare? — chiese Macy.
— Questa e una casa di pazzi. Sto peggio qui di quando ero sola. Me ne torno a casa mia.
— No — disse lui. Ricordo che aveva deciso, quello stesso giorno, di cancellarla dalla sua vita non appena il