capitano li dissero a me a bordo della nave nello Stretto di Sumar. Quante notti mi rimangono, mi chiedo, per guardare le stelle? Con l’alba la paura fini. Il sole era brillante, il cielo aveva qualche fiocco bianco, l’ampio stretto era calmo e non m’importava piu che non ci fosse terra in vista. Scivolammo verso Sumara Borthan in modo quasi impercettibile: dovevo osservare attentamente la superficie del mare per ricordarmi che ci stavamo muovendo. Un giorno, una notte, un giorno, una notte, un giorno e poi all’orizzonte spunto una crosta verde. Sumara Borthan. Era un punto fermo per me anche se mi sembrava che fossimo noi il punto fermo e Sumara Borthan che si avvicinava. Il continente meridionale scivolo piano verso di noi sinche finalmente vidi un cornicione di nuda roccia giallo-verdastra che si allungava da Est a Ovest. In cima alle nude scogliere si alzava un folto cappello di vegetazione, maestosi alberi legati insieme da pesanti liane a formare un baldacchino chiuso, cespugli piu bassi che si raggruppavano nel buio sottostante, il tutto tagliato giu di fianco come per rivelarci l’angolo della giungla in sezione. Non provai paura ma meraviglia a quella vista. Sapevo che nemmeno uno di quegli alberi e di quelle piante cresceva in Velada Borthan; gli animali, i rettili, gli insetti non erano quelli del mio continente. Cio che avevamo davanti era strano e forse ostile, un mondo sconosciuto che aspettava le prime impronte. In un turbine di fantasie confuse, precipitai nel pozzo del tempo e vidi me stesso come un esploratore che squarciava il velo di mistero di un pianeta appena scoperto. Quelle rocce gigantesche, quegli alberi snelli dall’alta chioma, quelle liane che ondeggiavano come serpenti, erano tutti prodotti di un mistero crudo, elementare, appena uscito dal ventre dell’evoluzione, un mistero che io stavo per penetrare. Quella giungla scura era la porta verso qualcosa di strano e di terribile, pensavo, ma ero piu commosso che spaventato, scosso profondamente, alla vista di quelle scogliere lucide e di quei sentieri tentacolari. Era il mondo com’era prima dell’arrivo dell’uomo. Era il mondo com’era quando non c’erano templi, confessori e tribunali del porto: soltanto i silenziosi, ombrosi sentieri, i fiumi gonfi che purificano le valli, i laghetti senza drenaggio, le lunghe foglie pesanti che brillano alle esalazioni della giungla, gli animali preistorici mai cacciati da alcuno che si rotolano nel fango, gli esseri alati che volteggiano senza conoscere la paura, gli altopiani erbosi, le vene di metalli preziosi, un regno vergine. Su tutto questo, in agguato, la presenza degli dei, del dio, del dio in attesa degli adoratori. Gli dei solitari che non sapevano ancora di essere divini. La divinita solitaria.
Naturalmente la realta non era affatto cosi romantica. C’era un punto in cui le scogliere si tuffavano nel mare formando un porto a semiluna e la sorgeva una squallida colonia, le capanne di poche dozzine di sumariani che vivevano li per venire incontro alle necessita delle navi che arrivano di tanto in tanto dal continente settentrionale. Avevo creduto che tutti i sumariani vivessero nell’interno, nude tribu accampate giu presso il picco vulcanico di Vashnir, e che Schweiz ed io avremmo dovuto conquistarci un passaggio attraverso tutta l’immensita apocalittica di quella terra misteriosa, senza guida e senza sicurezze, prima di trovare un’ombra di civilta e di incontrare qualcuno che potesse venderci quello che eravamo venuti a cercare. Invece, il capitano Khrish guido abilmente a riva il suo piccolo vascello presso una banchina che cadeva a pezzi e, non appena scesi a terra, si fece avanti una piccola delegazione di sumariani ad offrirci un imbronciato benvenuto.
Conoscete gia la mia fantasia di terrestri grotteschi e dotati di artigli: nello stesso modo mi aspettavo istintivamente qualche stranezza nella gente del continente meridionale. Sapevo che era assurdo, dopo tutto provenivano dallo stesso ceppo degli abitanti di Salla, di Manneran e di Glin, ma tutti quei secoli passati nella giungla non avrebbero potuto averli trasformati? Il loro rifiuto del Comandamento non li aveva forse esposti all’infiltrazione dei vapori della foresta e trasformati in qualcosa d’inumano? No e no. Avevano l’aspetto dei contadini di una qualsiasi provincia interna. Oh, portavano degli ornamenti poco familiari, strani pendenti gemmati, e braccialetti di una forma diversa da quelli di Velada, ma non c’era niente in loro che li rendesse differenti dagli uomini che avevo sempre conosciuto, ne il colore della pelle, ne la forma del volto, ne il colore dei capelli.
Ce n’erano otto o nove. Due di loro, evidentemente i capi, parlavano il dialetto di Manneran, anche se con un accento terribile. Gli altri non davano segno di capire i linguaggi del Nord e parlavano tra loro in una lingua a base di schiocchi e di grugniti. Schweiz trovo il parlare con loro piu facile di quanto non lo trovassi io e si butto in una interminabile conversazione che io trovavo difficilissima da seguire, tanto che ben presto smisi di prestarvi attenzione. Andai a dare un’occhiata in giro per il villaggio e fui a mia volta esaminato dagli occhioni spalancati dei bambini, la le ragazze giravano nude anche dopo che erano loro spuntati i seni, e quando ritornai Schweiz mi disse: — E tutto combinato.
— Che cosa?
— Stasera dormiremo qui e domani ci condurranno in un villaggio dove si produce la droga. Ma non garantiscono che potremo comperarne.
— La vendono soltanto in certi posti?
— Pare di si. Giurano che qui non ce n’e disponibile.
Chiesi: — Quanto durera il viaggio?
— Cinque giorni. A piedi. Ti piacciono le giungle, Kinnall?
— Non conosco ancora il loro sapore.
— E un sapore che conoscerai molto presto.
Si volto a parlare col capitano Khrish che stava decidendo di fare per conto suo una spedizione lungo la costa sumarana. Schweiz prese accordi con lui perche la nave fosse li ad attenderci al nostro ritorno dalla gita nella giungla. Gli uomini di Khrish scaricarono il nostro bagaglio, per lo piu mercanzia di scambio, specchi, coltelli e ninnoli, dato che i sumariani non sanno cosa farsene della moneta di Velada, e uscirono con la loro nave nello stretto prima del cader della notte.
Schweiz ed io avevamo una capanna tutta per noi su un cornicione di roccia che sovrastava il porto. Materassi di foglie, coperte di pelli di animali, una finestra sbilenca, nessun conforto sanitario: questo era quanto ci avevano portato migliaia di anni di viaggi umani tra le stelle. Discutemmo sul prezzo dell’alloggio, ci accordammo sui coltelli e sulle sbarre-calore ed al tramonto ci fu data la nostra cena, uno stufato di carni piene di spezie stranamente appetitoso, degli angolosi frutti rossi, un tegame di vegetali poco cotti, una tazza di qualcosa che avrebbe potuto essere latte fermentato. Mangiammo tutto quel che ci dettero e con piu gusto di quanto ci fossimo aspettati, sia pure scherzando, un po’ preoccupati, sulle malattie che probabilmente ci saremmo presi. Libai al dio dei viaggiatori, piu per abitudine che per convinzione. Schweiz disse: — Dunque ci credi ancora, dopotutto. — Risposi che non avevo nessuna ragione per non credere negli dei, anche se la mia fede negli insegnamenti degli uomini si era parecchio indebolita.
Vicini all’equatore com’eravamo, il buio arrivo rapidamente, come se all’improvviso scendesse una tenda nera. Rimanemmo per un po’ seduti fuori. Schweiz mi insegnava un altro po’ d’astronomia e mi faceva delle domande su quello che gia avevo imparato. Poi ce ne andammo a letto. Meno di un’ora piu tardi, due figure entrarono nella nostra capanna: io ero ancora sveglio e mi rizzai a sedere all’istante, immaginavo che fossero ladri o assassini ma, mentre a tentoni andavo alla ricerca di un’arma, un raggio di luna mi mostro il profilo di uno degli intrusi e potei vedere dei seni pendenti. Schweiz dal suo angoletto scuro disse: — Penso che siano incluse nel prezzo della nottata. — Un istante dopo, della calda carne nuda si premeva contro di me. Sentii un odore pungente e toccai una coscia grassa, cosparsa di un olio aromatico: un cosmetico sumarnu, come scoprii piu tardi. La curiosita e la prudenza lottavano dentro di me. Come quando da ragazzo vivevo in affitto a Glain, avevo paura di prendermi qualche malattia dal ventre di una donna di un’altra razza. Avrei forse dovuto rinunciare a provare l’amore meridionale? Dall’angolo di Schweiz si sentiva il suono di carne che sbatteva contro altra carne, di risa allegre, di liquidi rumori di labbra. La mia ragazza si dimenava, impaziente. Aprendole le cosce grassocce esplorai, svegliai, entrai. La ragazza si giro in quella che pensai fosse la posizione consueta dei nativi: giaceva sul fianco, faccia a faccia con me, con una gamba buttata su di me e col tallone che spingeva duramente contro il mio posteriore. Non avevo avuto una donna dalla mia ultima notte a Manneran: questo e il mio antico problema dell’urgenza furono la mia rovina ed il mio sfogo, come al solito, fu prematuro. La mia ragazza grido qualcosa alla sua compagna che gemeva e sospirava nell’angolo di Schweiz e ne ricevette in risposta una risatina: probabilmente derideva la mia virilita. Rabbioso e addolorato, mi sforzai di rivivere e spingendo lentamente, con serieta, la possedetti di nuovo, anche se la puzza del suo alito quasi mi paralizzava e il suo sudore, mescolandosi con l’olio che aveva addosso formava un composto chimico nauseabondo. La portai oltre il limite del piacere, ma fu un lavoro senza gioia, stancante. Quando fu finito mi mordicchio il gomito coi denti: un bacio sumarnu, penso che fosse; la sua gratitudine, le sue scuse. Le avevo fatto un buon servizio, dopotutto. La mattina dopo sbirciavo le ragazze del villaggio domandandomi quale di loro mi avesse onorato delle sue carezze. Tutte avevano la bocca semiaperta, i seni cascanti, gli occhi da pesce: mi auguro che la mia compagna di letto non sia stata una di quelle che vidi. Per diversi giorni, dopo, continuai ad osservare il mio organo, aspettandomi ogni mattina di scoprire macchie rosse e piaghe purulente; ma l’unica cosa che avevo preso da lei era il disgusto per il modo sumariano di fare all’amore.