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Non capii cosa avesse voluto dire finche non fummo a Manneran. Sbarcammo a Hilminor, pagammo il capitano Khrish, passammo attraverso un minimo di formalita d’ispezione (com’erano fiduciosi gli ufficiali di porto, non molto tempo fa!) e ci avviammo verso la capitale col nostro carro da terra. Entrando nella citta di Manneran dalla via Sumar, attraversammo una zona affollata di mercati e di negozi all’aperto, dove vidi migliaia di Manneriani che si davano un gran daffare, mercanteggiavano e litigavano. Li vidi contrattare ferocemente e tirar fuori i moduli dei contratti per concludere gli affari. Vidi le loro facce tirate, guardinghe, gli occhi freddi e senza amore. E pensai alla droga che portavo con me e mi dissi:
In questa mia visione non c’era posto per Schweiz. Non era il suo pianeta, non aveva nessun motivo per volerlo trasformare. Tutto quel che l’interessava era la sua esigenza spirituale, la sua fame di arrivare alla percezione della divinita. C’era gia riuscito in parte e poteva portare avanti la cosa da se, per conto suo. Schweiz non aveva bisogno di girare di soppiatto per la citta seducendo sconosciuti. Questa era la ragione per cui aveva dato a me la maggior parte del bottino sumariano: io ero l’evangelista, il nuovo profeta, il messia dell’anima rivelata, e Schweiz lo aveva capito prima di me. Fino ad allora era stato lui il capo: si era guadagnato la mia confidenza, mi aveva spinto a provare la droga, mi aveva attirato a Sumara Borthan, si era servito del mio potere al Tribunale del Porto, mi aveva tenuto al suo fianco per avere compagnia, sicurezza e protezione. Io ero sempre rimasto in ombra; ma ora avrebbe smesso di eclissarmi. Da solo, armato dei miei piccoli pacchetti, mi sarei lanciato in una missione che avrebbe cambiato il mondo.
Era un ruolo che interpretavo volentieri. Per tutta la vita ero stato spinto nell’ombra da qualcuno. Malgrado la mia forza fisica e la mia abilita mentale ero arrivato a considerarmi una persona di seconda scelta. Forse era un fatto normale, dato che ero il secondo figlio di un Eptarca. Prima c’era stato mio padre, che non avrei mai potuto sperare di uguagliare in autorita, agilita e forza; poi Stirron, la cui regalita mi aveva portato soltanto l’esilio; poi il mio padrone nel campo dei taglialegna; poi Segvord Helalam; poi Schweiz. Tutti uomini decisi; di prestigio, che sapevano qual era il loro posto nel mondo, e sapevano mantenerselo, mentre io vagavo confuso. Adesso, a mezz’eta, potevo finalmente farmi valere. Avevo una missione, avevo uno scopo. Le filatrici della divina volonta mi avevano portato sin la, avevano fatto di me quel che ero, mi avevano preparato alla mia missione. Accettavo con gioia il loro comando.
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C’era una ragazza che mantenevo per mio piacere in una stanza della parte Sud di Manneran, in un incrocio di vecchie strade dietro alla Cappella di Pietra. Diceva di essere una bastarda del duca di Kongoroi, concepita durante una visita di Stato del duca a Manneran, nei giorni del regno di mio padre. Forse la sua storia era vera. Certamente lei ci credeva. Avevo l’abitudine di andar da lei per un’ora di piacere due o tre volte ogni periodo lunare, quando mi sentivo soffocare dalla monotonia della mia vita, quando sentivo la mano della noia stringermi alla gola. Era semplice ma appassionata: calda, disponibile, senza pretese. Non le nascosi la mia identita, ma non le diedi nulla di me stesso, ne d’altra parte lei se lo aspettava; parlavamo pochissimo e non c’era certo amore, tra noi. In cambio del prezzo del suo alloggio mi lasciava di tanto in tanto usare il suo corpo. La transazione non era piu complicata di cosi: un contatto di epidermidi, uno starnuto dei lombi. Fu la prima cui diedi la droga. La mescolai con del vino dorato. — Berremo questo — dissi, e quando mi chiese perche, risposi: — Ci avvicinera di piu l’uno all’altra. — Chiese senza troppa curiosita, che effetto ci avrebbe fatto. — Rivelera le nostre anime e rendera le mura trasparenti — spiegai. Non protesto, non parlo del Comandamento, non tiro in ballo la
Piantai un bacio tra i suoi seni e sentii lo sfiorare delle mie stesse labbra. — Io ti amo — dissi.
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C’era al Tribunale del Porto un impiegato che mi era entrato in simpatia, un certo Ulman, che aveva meta dei miei anni ed era molto chiaramente un uomo di grandi promesse. Egli conosceva benissimo il mio potere e le mie ascendenze, ma non erano questi i motivi per cui mi era devoto: il rispetto che mi portava si fondava esclusivamente sulla mia capacita di valutare e di affrontare i problemi del Tribunale. Un giorno lo trattenni fino a tardi e lo chiamai nel mio ufficio quando tutti gli altri se ne furono andati. — C’e una droga di Sumara Borthan — dissi, — che permette alle anime di entrare in comunicazione con le altre. — Egli sorrise e disse che si, ne aveva