una mano portava un vaso rosso dai bordi spessi e nell’altra una lunga fiasca di vetro verde. I due anziani, alti sacerdoti, forse?, lasciarono le loro panche e le tolsero gli oggetti dalle mani, iniziando una monotona cantilena. Uno di loro prese il vaso, ne trasse una manciata di polvere bianca, la droga!, e la verso nella fiasca. L’altro agito solennemente la fiasca per mescolare. Nel frattempo la vecchia, una sacerdotessa?, si era prostrata presso l’apertura del tunnel ed aveva iniziato una cantilena su un tono diverso, un ritmo discontinuo, ad ansito. I due giovani gettavano altra legna sul fuoco. La cantilena continuo per molti minuti. La ragazza che era scesa nel tunnel, una fanciulla snella dai seni alti e lunghi capelli rosso bruni che sembravano di seta, prese la fiasca dalle mani dell’anziano e la porto dalla nostra parte del fuoco dove la ragazza bruttina, dopo aver fatto un passo avanti, la ricevette reverentemente con ambedue le mani. Con solennita, la porto verso i tre capi seduti e la tese loro. I capi si unirono per la prima volta alla cantilena.

Quello che io ritenni il Rito della Presentazione della Fiasca continuo; all’inizio ero affascinato, deliziato dalla stranezza della cerimonia: ma non ci volle molto perche la cosa cominciasse a venirmi a noia, e tentai di distrarmi cercando di inventare un’interpretazione spirituale di quel che succedeva. Il tunnel, decisi, simboleggiava l’apertura genitale del mondo-madre, la strada verso il suo utero da cui la droga, fatta da una radice, da qualcosa che nasceva sottoterra, si poteva ottenere. Inventai un’elaborata ricostruzione metafisica che coinvolgeva un culto della madre, il significato simbolico del trasportare una fiaccola accesa nella vagina del mondo-madre, l’uso di ragazze belle e brutte per significare l’universalita della femminilita, i due giovani sorveglianti del fuoco come guardiani della potenza sessuale dei capi, e molte altre cose. Tutte sciocchezze ma, pensavo, un’elaborazione piuttosto notevole per un burocrate dalle non grandi facolta intellettuali come me. Il piacere che mi davano quelle riflessioni scomparve bruscamente quando mi resi conto che stavo semplicemente facendo il saccente. Trattavo i sumariani come se fossero degli strani selvaggi, come se le loro cantilene e i loro riti offrissero un leggero interesse estetico ma assolutamente nessun contenuto serio. Chi ero io, per prendere quell’aria di superiorita? Ero andato da loro a chiedere la droga illuminante, no? Quella droga che desideravo con tutta l’anima: chi era tra noi l’essere superiore, allora? Mi rimproverai la mia vanita. Sii colmo d’amore. Metti da parte la sofisticheria cortigiana. Prendi parte al loro rito, se puoi, o perlomeno non mostrare disprezzo, non sentire disprezzo, non avere disprezzo. Sii colmo d’amore. Adesso i capi stavano bevendo: ciascuno prendeva un sorso e rendeva la fiasca alla ragazza bruttina. Quando tutti e tre ebbero bevuto, ella comincio a muoversi nel circolo, porto la fiasca prima agli anziani, poi alla vecchia, poi alla ragazza bella poi ai giovani che sorvegliavano il fuoco, poi a Schweiz, poi a me. Mi sorrise porgendomi la fiasca. Alla luce delle fiamme danzanti sembro farsi improvvisamente bella. La fiasca conteneva un vino caldo e sciropposo: quasi rigurgitai, bevendo. Ma bevvi. La droga entro nelle mie viscere e di li comincio il viaggio verso la mia anima.

43

Divenimmo una sola entita, loro dieci e noi due. In principio ci furono l’assurda sensazione di fluttuare nell’aria, l’acuirsi della percezione, la perdita dell’equilibrio, le luci celestiali, i suoni bizzarri: poi la ricezione di altri battiti di cuore, dei ritmi di altri corpi, lo sdoppiarsi, il sovrapporsi delle diverse coscienze; poi venne la dissoluzione dell’io: noi, che eravamo stati dodici, diventammo uno. Fui immerso in un mare di anime e mi sentii morire. Morii. Fui trascinato nel Centro di Tutte le Cose. Non avevo modo di sapere se ero Kinnall, il figlio dell’Eptarca, o Schweiz, l’uomo della vecchia Terra, o i custodi del fuoco, i capi, i sacerdoti, le ragazze, la sacerdotessa. Perche erano tutti inestricabilmente confusi in me ed io in loro. E quel mare di anime era un mare d’amore. Come avrebbe potuto essere diversamente? Ciascuno di noi era l’altro. L’amore di se stessi ci legava l’uno all’altro, tutti a tutti. L’amore di se e l’amore per gli altri, l’amore per gli altri e amore di se. Ed io amavo. Capivo, come mai prima, perche Schweiz mi avesse detto «Io ti amo» dopo che furono svaniti gli effetti della droga, quella prima volta: quella frase assurda, cosi oscena a Borthan, in ogni modo cosi incongrua per un uomo che parla ad un altro uomo. Dissi ai dieci sumariani «Io vi amo», non a parole, perche non avevo parole che potessero capire e perche se pure avessi parlato nella mia lingua ed essi avessero potuto comprendermi si sarebbero risentiti: per la mia gente «Io ti amo» e un’oscenita, non c’e niente da fare. Io vi amo. Ero sincero ed essi accettarono il dono del mio amore. Io che ero parte di loro. Io che poco prima mi sentivo superiore e li vedevo come divertenti selvaggi in adorazione di fuochi rituali nei boschi. Attraverso di loro sentivo i suoni della foresta, l’alzarsi e l’abbassarsi delle maree e, certo, il pietoso amore della grande terra-madre che giace sospirando sotto i nostri piedi e che ci ha donato la droga-radice che guarisce le nostre anime divise. Capii cosa significa essere sumariano e vivere la dove i due piccoli fiumi si congiungono. Scoprii come si puo fare a meno di carri da terra e di barche ed essere lo stesso uomini civili. Scoprii che razza di mezze anime avevano fatto di se stessi, in nome della santita, quelli di Velada Borthan e come si poteva arrivare a completarsi, seguendo i Sumariani. Tutto questo non venne a me con parole o immagini, ma in un flusso di conoscenza ricevuta, conoscenza che entro in me e divenne parte di me in un modo che non si puo ne descrivere ne spiegare. Mi sembra gia di sentirvi dire che devo essere bugiardo o pigro, per offrirvi, come ho fatto, la mia esperienza in modo cosi misero. Ma non si puo dire a parole cio che non e mai stato a parole. Lo si puo fare soltanto in modo approssimativo, ed il migliore dei nostri sforzi non puo essere altro che una distorsione, una goffa immagine della realta; perche io dovrei trasformare le sensazioni in parole, buttarle giu come posso, e poi vi dovreste prendere dalla pagina le parole e convertirle nel sistema di percezioni che la vostra mente usa abitualmente, quale che sia. Ad ogni stadio di questa trasmissione, un livello di densita scivolerebbe via finche a voi rimarrebbe soltanto l’ombra di quello che accadde a me nella radura di Sumara Borthan. Cosi, come potrei spiegare? Eravamo disciolti l’uno nell’altro, eravamo disciolti in amore. Noi, che non avevamo un linguaggio comune, arrivammo alla comprensione totale delle nostre identita separate. Quando infine la droga lascio la sua presa, parte di me rimase in loro e parte di loro rimase in me. Se volete saperne di piu, se volete avere un’idea di quel che significhi essere liberati dalla prigione del proprio cranio, se volete assaggiare l’amore per la prima volta nella vostra vita, io vi dico: non cercate spiegazioni nelle parole, portate la fiasca alle labbra. Portate la fiasca alle labbra.

44

Avevamo superato la prova. Ci avrebbero dato cio che volevamo. Dopo aver diviso l’amore cominciammo a contrattare. Ritornammo al villaggio e alla mattina i nostri portatori tirarono fuori le casse di mercanzie e i tre capi tre bassi vasi di argilla nei quali si poteva intravvedere la polvere bianca. Facemmo un alto mucchio di coltelli, specchi e sbarre-calore, mentre loro versavano con cautela la polvere da due ciotole nella terza. Del mercanteggiare si occupo quasi esclusivamente Schweiz. La guida che avevamo portato dalla costa ci era di poco aiuto, perche, anche se parlava il linguaggio dei capi, non aveva pero mai parlato alle loro anime. Quel mercanteggiare, infatti, si muto all’improvviso: Schweiz ammucchiava gioiosamente sempre piu ninnoli, i capi gli rispondevano aggiungendo polvere alla nostra ciotola e tutti ridevano con una specie di allegria isterica mentre la gara di generosita cresceva in frenesia. Finimmo col dare alla gente del villaggio tutto quel che avevamo, salvo pochi oggetti che tenemmo per regalarli alla guida e ai portatori e ci ritrovammo con tanta di quella droga da schiudere migliaia di menti.

Il capitano Khrish ci stava aspettando, quando raggiungemmo il porto.

— Si capisce che avete fatto un buon viaggio — osservo.

— E cosi evidente? — chiesi.

— Eravate preoccupati, quando siete andati. Ora che tornate, siete contenti. Si, e evidente.

La prima notte del nostro viaggio di ritorno a Manneran, Schweiz mi chiamo nella sua cabina. Aveva tirato fuori la ciotola con la polvere bianca e aveva rotto il sigillo. L’osservai mentre versava con cautela la droga in piccoli pacchetti simili a quello della prima dose. Lavorava in silenzio, guardandomi appena; riempi circa settanta o ottanta pacchetti. Quando ebbe finito, ne conto una dozzina e li spinse da un lato. Indicando gli altri disse: — Questi sono per te. Nascondili bene nel bagaglio o avrai bisogno di tutto il tuo potere al Tribunale del Porto per farli passare con sicurezza.

— Mi hai dato cinque volte di piu di quanto hai preso — protestai.

— Tu ne hai piu bisogno di me.

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