La mia faccia preme contro lo zerbino. L’odore della polvere nelle mie narici. Trilobiti strisciano nel mio cervello. In mezzo a loro striscia un vampiro. Una risata stridula dal corridoio. Il telefono. La porta del frigorifero: slam, slam, slam! la danza dei cannibali sul pianerottolo. Il soffitto mi schiaccia, sulla schiena. La mia mente affamata saccheggia l’anima di Toni. Chi spia dal buco della porta, puo vedere cose che gli faranno del male. Toni dice: — Hai preso l’altro acido? Quando?
— Non l’ho preso.
— Ma allora, com’e che stai viaggiando?
Non rispondo. Mi rannicchio, mi ammucchio in qualche modo, sto sudando, mi lamento. Questa e la discesa all’inferno. Huxley mi aveva messo in guardia. Io non lo volevo il viaggio di Toni. Non ho mica chiesto di vederne qualcosa. Adesso le mie difese sono distrutte. Lei mi ha sconvolto. Mi ha inghiottito.
Toni dice: — Leggi nella mia mente, David?
— Si. — La miserabile definitiva confessione. — Ti leggo nella mente.
— Cos’hai detto?
— Ho detto che ti leggo nella mente. Posso vedere ogni pensiero. Ogni esperienza. Vedo me stesso, come tu mi vedi. Oh, Cristo, Toni, Toni, Toni, e cosi spaventoso!
Lei mi da uno strattone e mi obbliga a guardarla. Alla fine alzo la faccia. La sua e orribilmente pallida; i suoi occhi sono rigidi. Chiede spiegazioni. Che cos’e questa storia di leggere nei pensieri? Ho proprio detto cosi, oppure e qualcosa inventato dalla sua mente oscurata dall’acido? Ho proprio detto cosi! Glielo ridico. Tu mi avevi chiesto se ti stavo leggendo nella mente e io ti ho risposto di si, ti leggevo nel pensiero.
— Non ti ho chiesto niente del genere — dice lei.
— L’ho sentito io che me lo chiedevi.
— Pero io non… — Adesso sta tremando. Tutti e due tremiamo. La sua voce e incolore. — Hai tentato di scroccarmi un viaggio, non e cosi, David? Non capisco. Che bisogno avevi di farmi del male? Perche hai buttato tutto per aria? Era cosi un bel viaggio.
— Non per me — dissi.
— Ma tu non eri in viaggio.
— Invece ero proprio in viaggio.
Lei mi lancia un’occhiata di completa incomprensione. Si allontana da me e si butta sul letto, singhiozzando. Dalla sua mente, incuneandosi tra gli orrori grotteschi delle immagini provocate dall’acido, arriva una raffica di crude emozioni: paura, risentimento, dolore, rabbia. Pensa che io abbia deliberatamente tentato di offenderla. Adesso non posso dire niente per rimettere le cose a posto. Non potro mai dire niente per farlo. Mi disprezza. Io per lei sono un vampiro, un succhiatore di sangue, una sanguisuga; conosce il mio dono per quello che e. Abbiamo oltrepassato una soglia fatale, e lei non pensera mai piu a me senza provare angoscia e vergogna. E neppure io nei suoi riguardi. Mi precipito fuori dalla stanza, attraverso il pianerottolo, nella stanza occupata da Donaldson e Aitken: — Un terribile viaggio — mormoro. — Mi spiace di darvi noia, ma…
Restai con loro per tutto il pomeriggio. Mi diedero un tranquillante e con molta gentilezza mi aiutarono, quasi mi condussero per mano, nella fase di uscita dal viaggio. Le immagini psichedeliche, provenienti da Toni, continuarono ad arrivarmi per ancora una mezz’ora o giu di li; come se un inesorabile cordone ombelicale ci legasse per tutta la lunghezza del corridoio; poi pero, per mia consolazione, il senso del contatto comincio a scivolar via e a svanire, e di colpo, con una specie di click udibile al momento del distacco, se ne ando completamente. I fantasmi fiammeggianti smisero di tormentare la mia anima. Colori e dimensioni e strutture ritornarono ad assumere le loro forme tipiche. E alla fine mi ritrovai libero da quella spietata immagine di me stesso, riflessa. Quando di nuovo mi ritrovai completamente solo nel mio cranio, sentii quasi il bisogno di piangere per festeggiare la liberazione, pero le lacrime non volevano venire, e io restai li, seduto, passivamente, centellinando un bromo-tranquillante. Il tempo gocciolava via. Donaldson, Aitken e io parlammo tranquillamente, educatamente e con calore di Bach, dell’arte medievale, di Richard M. Nixon, di marijuana, e di moltissime altre cose. Li conoscevo appena quei due, eppure erano disposti a dedicare il loro tempo ad alleviare le pene di un estraneo. Finalmente mi sentii bene. Poco prima delle sei, ringraziandoli con tutto il cuore, ritornai nella mia stanza. Toni non c’era. Sembrava che ci fosse qualcosa di strano, di cambiato. I libri erano caduti dagli scaffali, le stampe dalle pareti; la porta del gabinetto era spalancata e mancavano molte cose. Nel mio stato confuso, affaticato, mi ci volle un po’ di tempo per afferrare quello che era successo. Dapprima pensai a un furto con scasso, poi, pero, afferrai la verita. Lei se n’era andata.
11
Oggi c’e un accenno d’inverno abusivo: l’aria pizzica sulle guance. Ottobre sta morendo troppo presto. Il cielo e screziato e sembra malato, ingombro di nubi fosche, pesanti, basse. Ieri e piovuto, spogliando gli alberi delle ultime foglie gialle, e adesso giacciono li, appiccicate sul pavimento del viale del College, con le punte che si agitano disordinatamente nella brezza pungente. Ci sono pozzanghere un po’ dappertutto. Appena sistemato accanto alla massiccia forma dell’Alma Mater distendo affettatamente le pagine del giornale, parti scelte dell’edizione di oggi del
Io sto seduto qui. Nelle ore d’ufficio. Sulle ginocchia tengo una cartella in carta di manila, chiusa da una grossa fascia elastica. Dentro, elegantemente battuti a macchina, ognuno fermato con il suo clip in rame, ci sono i prodotti della mia laboriosa settimana.
La compagnia di me stesso diventa fastidiosa, quando arrivo all’autocommiserazione. Per distrarmi provo a sondare le menti dei passanti, e imparare quel che posso imparare. Gioco al mio vecchio gioco, al mio unico gioco. Selig il voyeur, il vampiro-delle-anime, che strappa l’intimita di estranei innocenti per rallegrare il suo cuore di ghiaccio. Ma no: oggi la mia testa e avvolta nella bambagia. Mi arrivano soltanto mormoni sommessi, indistinti, senza senso. Niente parole ben precise, niente sprazzi di identita, niente visioni dell’essenza dell’anima. Questo e un brutto giorno. Tutto quello che afferro costituisce un insieme inintelligibile; ogni frammento di informazione e identico a tutti gli altri. E il trionfo dell’entropia. Mi viene in mente la signora Moore di Forster, tutta tesa nelle echeggianti caverne di Marabar, in attesa di una rivelazione. E invece riesce a sentire l’identico monotono disturbo, l’identico suono senza senso che spazza via tutto: