L’aveva conosciuta cinque mesi prima. Da tre erano amanti. Li aveva presentati Thor Guardiano. Lilith faceva parte dello staff di Krug.

Il corpo di lei premeva contro il suo. Manuel sollevo la mano e l’appoggio sul seno. Il contatto era fermo, reale, tiepido oltre la vestaglia monomolecolare. Le sfioro la pelle col pollice e la senti alzarsi in eccitazione. Reale. Reale.

Una cosa.

La bacio, sfiorandole i denti, e senti sulla lingua il sapore dei composti chimici. Adenina, guanina, citosina, uracile. Senti nelle nari l’odore delle vasche. Una cosa. Una cosa. Una cosa bellissima. Una cosa in forma di donna. Proprio il nome adatto: Lilith. Una cosa.

Lei si sciolse dall’abbraccio. — Sei andato alla fabbrica — disse.

— Si.

— E hai visto piu cose sugli androidi di quanto non avresti voluto vederne.

— No, Lilith.

— E ora mi vedi con occhi diversi. Non puoi fare a meno di ricordare la mia realta.

— Non e affatto vero — disse Manuel. — Lilith, ti amo. La tua realta l’ho sempre saputa. E non ha mai fatto differenza. Ti amo. Ti amo.

— Prendi qualcosa? — chiese lei. — Un’erba? Un sollevato? Mi sembri un po’ scosso.

— No, grazie — rispose. — E stata una giornata lunga. Non ho neppure fatto colazione, e saranno quaranta ore che non dormo come Dio comanda. Mi basta solo un po’ di relax. Niente erba o sollevato. — Manuel si sfilo le fibbie dell’abito; lei lo aiuto a toglierselo. Poi Lilith aziono il doppler: la secca esplosione di ultrasuoni sciolse la trama della vestaglia e libero la sua pelle, completamente rossa a eccezione delle macchie brune in punta ai seni. Aveva petto pieno, vita sottile; dai fianchi le luccicava un’impossibile promessa di fertilita. Una bellezza disumana, priva di difetti. Manuel lotto con l’arsura che si senti salire alla gola.

Tristemente, lei disse: — Ho visto un cambiamento in te, nell’istante in cui mi hai toccato. Eri diverso. Ho sentito come un timore, un disgusto…

— No.

— Fino a oggi rappresentavo qualcosa di esotico, si, ma di umano. Come un boscimano, che so, un eschimese. Non mi mettevi in un’altra categoria, fuori della razza umana. Ora pensi di esserti innamorato di un mucchio di composti chimici. Pensi che c’e qualcosa di torbido nella relazione con me.

— Lilith: smettila, ti prego. E solo immaginazione.

— Lo e davvero?

— Vengo da te. Ti bacio. Ti dico che ti amo. E adesso andiamo a letto insieme. Tu proietti un tuo senso di colpa, quando pensi che io…

— Manuel, cos’avresti detto, un anno fa, se un amico ti avesse confessato di essere andato a letto con un’androide?

— Conosco un mucchio di gente che c’e andata…

— Su, cos’avresti detto di lui? Che parole avresti usato? E cosa ne avresti pensato?

— Non ho mai badato a queste cose. Davvero. Non me ne sono mai interessato. Mai.

— Non sfuggire alla domanda. Ricorda quello che ci siamo promessi: di non dirci mai, tra noi due, quel tipo di innocenti bugie che la gente si dice sempre. Allora? Non puoi negare che, a ogni livello sociale, il rapporto sessuale tra uomini e androidi e considerato perversione. Magari l’ultima perversione rimasta sulla faccia della terra. Non ho ragione? Rispondi!

— D’accordo. — Incontro gli occhi di lei. Non aveva mai visto una donna con occhi di quel colore. Lentamente, disse: — Molti pensano che andare a letto con gli androidi sia… dozzinale, volgare. L’ho sentito paragonare alla masturbazione. Come farlo con un manichino di gomma. E quando ho sentito questo tipo di affermazioni, ho sempre pensato che fossero stupide, spiacevoli manifestazioni di pregiudizio verso gli androidi. Per quel che riguarda me, naturalmente, non ho mai condiviso tale atteggiamento, altrimenti non mi sarei innamorato di te. — Una voce gli echeggiava nella mente, beffarda: Pensa alle vasche! Pensa alle vasche! Evito di guardarla negli occhi; tenne fisso lo sguardo sullo zigomo. Aggiunse, cupo: — Lilith, ti giuro su tutto l’universo che non ho mai pensato che fosse vergognoso, o sporco, amare un’androide. E malgrado quel che dici di vedere in me dopo la visita alla fabbrica, ti ripeto che non lo penso neppure ora. Se vuoi che te lo dimostri…

La strinse a se. Sulla sua pelle di seta, la mano gli scivolo giu, dal seno al fianco, all’addome. Lei si sposto leggermente, e lui serro le dita sull’inguine, glabro come quello di una bambina; subito la diversita del contatto lo scosse: se ne senti svirilizzato, anche se la differenza, prima, non gli aveva mai dato fastidio. Cosi liscio. Cosi tremendamente liscio. Abbasso gli occhi su quella pelle spoglia. Spoglia, si, ma non perche ci fosse passato il rasoio. Spoglia come quella di una bambina. Come quella… di un’androide. Rivide le vasche. Vide gli alfa umidi e rossicci, gli occhi privi d’espressione. Si ripete, caparbiamente, che amare un’androide non era peccato. L’accarezzo, e lei rispose come avrebbe risposto una donna, con l’ansia nel respiro, serrandogli la mano. Le bacio il petto e la strinse a se. E subito gli parve di scorgere la bruciante immagine di suo padre, librata su di lui come una colonna di fuoco. Il vecchio demonio, il vecchio artefice! Che astuzia: inventare un prodotto simile! Un prodotto. Un prodotto che cammina, parla, seduce. Ansima nella passione, risponde fisiologicamente, questo prodotto. E io, che cosa sono? Un altro prodotto. Un mucchio di composti chimici, fabbricato con lo stesso stampo costruttivo… mutatis mutandis, certo. Adenina. Guanina. Citosina. Uracile. Partorito da una vasca o covato in un ventre, che differenza fa? Siamo una carne sola. Apparteniamo a razze diverse, ma la carne e sempre quella.

Il desiderio di lei gli ritorno, lo stordi. La giro, la piego, la penetro. Senti le sue caviglie contro le gambe, si senti stringere, serrare con reale passione. Ondeggiarono, salirono, veleggiarono insieme.

Infine, ridiscesi entrambi al plateau, lei disse: — Sono proprio stata una donnaccia…

— Come?

— La scenata di prima. Quando ti ho detto quel che dovevi avere per la testa.

— Scordatene, Lilith.

— Forse avevi ragione tu. Penso che fosse una proiezione dei miei timori. Forse mi sento in colpa perche sono l’amante di una persona umana. Forse voglio che tu pensi a me come a un manichino di gomma. Da qualche parte, dentro di me, devo vedermi cosi.

— No. No.

— Noi androidi non possiamo farne a meno. Lo mandi giu con l’aria che respiri. Mille volte al giorno siamo costretti a ricordare di non essere reali.

— Tu sei reale come tutti quelli che conosco, Lilith. Piu reale di molti di loro. — Piu reale di Clissa, penso, ma non oso dirlo. — Lilith, non ti ho mai visto in questo stato. Cos’hai?

— La tua visita alla fabbrica — rispose lei. — Fino a oggi ero sicura che tu fossi diverso dagli altri. Che non avessi mai pensato, neppure per un momento, a come o a dove sono nata, o che ci fosse qualcosa di vergognoso in quel che c’e tra noi. Ma temevo che, dopo avere visto la fabbrica, dopo avere visto in dettaglio, clinicamente, tutto il processo, tu potessi cambiare. Poi, quando sei entrato, c’era qualcosa in te, qualcosa di gelido che non conoscevo… — Scosse le spalle. — Forse me lo sono immaginato. Sono certa di essermelo immaginato. Tu non sei come gli altri, Manuel. Tu sei un Krug; sei un re; non devi buttare giu gli altri per salire. Tu non dividi il mondo in uomini e androidi. Non lo hai mai fatto. E quella singola occhiata alle vasche non poteva cambiarti.

— Non poteva, certo — rispose lui, con la voce schietta che usava quando mentiva. — Gli androidi sono delle persone, e le persone sono delle persone, non ho mai pensato altrimenti e non lo pensero mai. E tu sei bellissima. E io ti amo molto. E chi crede che gli androidi siano una razza inferiore e un povero malato di mente.

— Sostieni la piena uguaglianza giuridica per gli androidi?

— Certo.

— Intendi dire androidi alfa, no? — chiese lei, maliziosamente.

— Io… ecco…

— Tutti gli androidi dovrebbero essere uguali agli esseri umani. Ma gli alfa dovrebbero essere piu uguali degli altri.

— Vile! Mi prendi in giro…

— Prendo le difese delle prerogative degli alfa. Perche, un gruppo etnico oppresso non puo stabilire distinzioni di classe nel proprio interno? Oh, ti amo, Manuel. Non prendermi sempre cosi sul serio.

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