— Nella tua mente. Mi hai chiamato nella tua mente — rispose il drago pazientemente.
— Vuoi dire che io ti ho pensato ed eccoti li?
— Si.
— Era magia?
— Si.
— Ma ho pensato ai draghi tutta la mia vita!
— In questo luogo la frontiera tra il pensiero e la realta probabilmente e un po’ confusa. So soltanto che una volta non esistevo e poi tu mi hai pensato ed ero li. Dunque, naturalmente, sono ai tuoi ordini.
— Splendido!
Una mezza dozzina di guardie scelsero quel momento per girare l’angolo del corridoio. Si fermarono, a bocca aperta. Poi una si riprese quel tanto da imbracciare la sua balestra e tirare.
Il petto del drago si gonfio e la freccia esplose a mezz’aria in frammenti fiammeggianti. Le guardie se la diedero a gambe. Una fiammata spazzo le pietre sulle quali si trovavano un attimo prima.
Duefiori guardo ammirato l’animale. — Sai anche volare?
— Naturalmente.
Dopo avere dato un’occhiata su e giu per il corridoio, Duefiori decise di non seguire le guardie. Sapeva di essersi gia totalmente perso e quindi qualsiasi direzione andava bene. Sguscio accanto al drago e si allontano rapido, mentre l’enorme bestia si girava con difficolta per seguirlo.
Proseguirono per una serie di corridoi che s’incrociavano come un labirinto. A un certo momento a Duefiori sembro di udire delle grida in lontananza alle loro spalle, ma presto svanirono. A volte nell’oscurita si intravedeva l’arco scuro di un portale diroccato. Qua e la, la luce filtrava fioca attraverso le fessure, riflessa dai grandi specchi incastrati negli angoli del corridoio. Altre volte, invece, da una fonte lontana di luce veniva un chiarore piu brillante.
Mentre scendeva una scalinata sollevando nuvole di polvere argentea, Duefiori trovo strano che li i tunnel fossero molto piu larghi e anche meglio costruiti. Nelle nicchie delle pareti c’erano delle statue e qua e la erano appesi arazzi sbiaditi ma interessanti. Rappresentavano soprattutto draghi, draghi a centinaia, in volo o appollaiati sugli anelli, draghi cavalcati da uomini che cacciavano il cervo e talora altri uomini. Duefiori tocco con precauzione uno degli arazzi. Il tessuto si sbriciolo immediatamente nell’aria asciutta e calda; restarono soltanto brandelli penzolanti con la trama intessuta di fili d’oro.
— Mi domando perche hanno lasciato tutto questo? — disse.
— Non lo so — rispose cortesemente una voce nella sua testa. L’ometto si volto a guardare il muso cavallino e squamoso. — Come ti chiami, drago? — gli chiese.
— Non lo so.
— Ti chiamero Ninereeds.
— Allora questo e il mio nome.
Passarono attraverso la polvere che tutto invadeva in una serie di enormi sale scure ricavate dalla roccia. E con molta perizia: dal pavimento al soffitto le pareti erano una massa di statue, mascheroni, bassorilievi e snelle colonne, che proiettavano ombre semoventi quando, su richiesta di Duefiori, il drago compiacente le illuminava. Dappertutto c’era uno strato di soffice polvere. Nessuno da secoli veniva in quelle morte caverne.
Poi Duefiori vide il sentiero che conduceva a un ennesimo tunnel scuro. Qualcuno lo usava regolarmente e di recente. Era una pista stretta nel grigio lenzuolo.
Duefiori la segui. Conduceva attraverso altre sale spaziose e corridoi tortuosi, larghi abbastanza per un dragone (e sembrava che un tempo i draghi fossero passati di li: c’era una stanza piena di finimenti corrosi, a dimensione di draghi, e un’altra con piastre e cotte di maglia abbastanza grandi per un elefante). Alla fine si trovarono davanti a due porte di bronzo, tanto alte da scomparire nella semioscurita. Davanti a Duefiori, all’altezza del petto, c’era una piccola maniglia in forma di drago.
La tocco e le porte si aprirono istantaneamente e, cosa sconcertante, senza il minimo rumore.
All’istante delle scintille crepitarono nei capelli di Duefiori e vi fu un soffio improvviso di vento caldo e asciutto che non disturbo la polvere come avrebbe fatto un vento ordinario. Ma la sferzo per un momento e ne ricavo delle sconvolgenti forme semiumane, prima di depositarsi di nuovo a terra. Nelle orecchie di Duefiori si produsse lo strano e penetrante battito delle Cose imprigionate nella cella lontana delle Dimensioni, al di la del fragile schermo del tempo e dello spazio. Apparvero ombre la dove non c’era nulla per produrle. L’aria ronzava come un alveare.
Per farla breve, intorno a lui vibrava una forte scarica di magia.
La camera al di la della porta era illuminata da un pallido chiarore verde. Ammucchiate lungo le pareti, ognuna sulla sua mensola di marmo, c’erano file su file di bare. Nel centro della sala, su una pedana, c’era una poltrona di pietra sulla quale era accasciata una figura che non si mosse, ma disse con voce vecchia e fragile: — Entra, giovanotto.
Duefiori si fece avanti. La figura sullo scanno era umana, per quanto era possibile giudicare in quella luce tetra, ma c’era qualcosa nella sua positura sgraziata per cui l’ometto era contento di non distinguerla meglio.
— Sono morto, sai — annuncio in tono discorsivo una voce proveniente da quella che Duefiori sperava ardentemente fosse una testa. — Suppongo che te ne sei accorto.
— Uhm… Si. — disse Duefiori e comincio ad arretrare.
— E evidente, vero? — continuo la voce. — Tu devi essere Duefiori, non e cosi? Oppure questo e piu tardi?
— Piu tardi? Piu tardi di che?
— Be’, vedi, uno dei vantaggi di essere morti e che si e, per cosi dire, liberi dai vincoli del tempo. Quindi io posso vedere tutto cio che e accaduto o che accadra, tutto allo stesso tempo. Solo che, naturalmente, adesso so che, a tutti gli effetti pratici, il Tempo non esiste.
— Questo non mi sembra uno svantaggio — osservo Duefiori.
— Non lo credi? Immagina di essere nello stesso istante un ricordo lontano e una brutta sorpresa e vedrai cio che voglio dire. Comunque sia, adesso ricordo che cosa sto per dirti. Oppure l’ho gia fatto? A proposito, quello e un bel drago. Oppure l’ho gia detto?
— Lui e davvero bravo. E saltato fuori all’improvviso — spiego Duefiori.
— E saltato fuori? L’hai chiamato tu!
— Si, be’, io…
— Tu hai il Potere!
— Io mi sono limitato a pensarlo.
— In questo consiste il Potere! Ti ho gia detto di essere Greicha Primo? Oppure il prossimo? Scusami, ma non ho avuto una grande esperienza in fatto di trascendenza. Comunque, si… il Potere. Evoca i draghi, sai.
— Mi pare che me l’abbiate gia detto.
— Davvero? E certamente cio che intendevo — disse il morto.
— Ma come e possibile? Ho pensato ai draghi per tutta la vita, ma questa e la prima volta che uno si e materializzato.
— Oh be’, vedi, la verita e che i draghi non sono mai esistiti nel senso che tu e io, finche non sono stato avvelenato tre mesi fa, intendiamo l’esistenza. Sto parlando dell’autentico drago,
Duefiori disse in fretta: — Voi continuate a dire di essere morto…
— Ebbene?
— Ebbene i morti, ehm, loro, sapete, non parlano molto. Di regola.
— Io ero un mago eccezionalmente potente. Naturalmente, mia figlia mi ha avvelenato. E questo il metodo di successione generalmente accettato nella nostra famiglia, ma… — Il cadavere sospiro o almeno un sospiro provenne dall’aria a qualche centimetro al di sopra. — Si e subito visto che nessuno dei miei tre figli e abbastanza potente da strappare agli altri due la signoria del Wyrmberg. Una situazione altamente insoddisfacente. Un regno come il nostro deve avere un solo governante. Cosi ho deciso di restare vivo in via ufficiosa, cio che, com’e naturale, irrita enormemente tutti loro. Non daro ai miei figli la soddisfazione di seppellirmi fintanto che non restera soltanto uno di loro a sbrigare la cerimonia. — Ci fu uno sgradevole rumore sibilante che, nelle intenzioni del morto, avrebbe dovuto essere una risatina.
— Allora e stato uno di loro che ci ha rapiti? — chiese Duefiori.
— Liessa. Mia figlia. Sai, il suo potere e piu forte. I dragoni dei miei figli sono incapaci di volare piu di qualche chilometro prima di scomparire.
— Svanire? Ho notato che potevamo vedere attraverso quello che ci ha portato qui. L’ho giudicato un po’ curioso.
— Naturale — disse Greicha. — Il Potere agisce soltanto vicino al Wyrmberg. E la legge inversa del quadrato, sai. O almeno, lo credo. Via via che i draghi volano piu lontano, cominciano a deperire. Altrimenti a quest’ora la mia piccola Liessa governerebbe il mondo intero. Ma capisci che non devo trattenerti. Suppongo che desideri liberare i tuoi amici.
Duefiori resto a bocca aperta. — Hrun?
— Lui no. Il mago magrolino. Mio figlio Lio!rt sta cercando di farlo a pezzi. Ho ammirato il modo in cui lo hai liberato. Lo libererai, voglio dire.
Duefiori si raddrizzo in tutta la sua altezza, il che era un compito facile. — Dov’e? — chiese avviandosi deciso alla porta con passo che sperava eroico.
— Segui la traccia nella polvere — disse la voce. — Qualche volta Liessa viene a vedermi. Viene ancora a vedere il suo vecchio papa, la mia bambina. Lei era la sola dotata della forza di carattere per assassinarmi. Una figlia che somiglia al padre. A proposito, buona fortuna, mi pare di ricordarmi di averlo detto. Voglio dire, che lo diro.