«Sono te, Richard. Sono quel poco che rimane della tua sanita mentale…» L’altro Richard lo fisso intensamente. «Concentrati! Guarda questo posto, cerca di vedere le persone, cerca di vedere la verita… sei gia piu vicino alla realta di quanto tu sia mai stato in quest’ultima settimana…»
«Tutte balle» replico Richard in tono spento e disperato.
Scosse il capo, ma guardo la banchina. Al limite estremo della sua visione periferica c’era qualcosa che tremolava.
Provo a seguire l’immagine voltando la testa, ma era scomparsa.
«Guarda» bisbiglio il suo doppio, con una voce che conosceva anche troppo bene.
Si trovava in piedi su una banchina di stazione di metropolitana vuota e scarsamente illuminata, il solitario mausoleo di un luogo.
Poi…
Il rumore e la luce lo colpirono come un fulmine.
Era alla stazione di Blackfriars, nel bel mezzo dell’ora di punta. Intorno a lui un gran via vai di gente: un’orgia di luce e di rumore, di umanita in movimento.
In attesa alla stazione c’era un treno, e Richard si vide riflesso nel finestrino.
Ecco come appariva:
Sembrava pazzo. Aveva la barba di una settimana. Intorno alla bocca e sulla barba c’erano sedimenti di cibo. Aveva un livido recente intorno all’occhio, diventato nero, e su un lato del naso stava spuntando un foruncolo, una pustola scarlatta e rabbiosa. Era sudicio, ricoperto di uno sporco nero e incrostato che gli riempiva i pori e abitava sotto le unghie. Gli occhi erano rossi e velati, i capelli opachi e aggrovigliati.
Era un pazzo senza fissa dimora, che se ne stava in piedi sulla banchina di un’affollata stazione del metro all’ora di punta.
Affondo il volto nelle mani.
Quando rialzo il viso, la gente se ne era andata. La banchina era di nuovo buia ed era solo.
Una mano trovo la sua, l’afferro e la strinse. Una mano femminile. Sentiva un profumo familiare.
L’altro Richard era seduto alla sua sinistra, mentre Jessica stava alla sua destra e gli teneva la mano, guardandolo negli occhi. Non le aveva mai visto quell’espressione.
«Jess?» disse.
Jessica scosse il capo. Gli lascio la mano. «Mi dispiace, ma non e cosi» disse. «Sono ancora te. Pero mi devi ascoltare, caro. Sei piu vicino alla realta di quanto tu sia mai stato…»
«Voi due continuate a dire piu vicino alla realta, piu vicino alla sanita mentale, non so proprio cosa…» Esito. In quel momento ricordo qualcosa. Guardo l’altra versione di se stesso e la donna che aveva amato e chiese, «Fa parte della prova?»
«Prova?» domando Jessica. Scambio un’occhiata inquieta con 1’altro-Richard-che-non-era-lui.
«Si. La prova. Con i Frati Neri che vivono sotto Londra» spiego Richard. E mentre lo diceva, diventava piu reale. «C’e una chiave che devo trovare per un angelo che si chiama Islington. Se gli porto la chiave, lui mi rimanda a casa…» gli si era inaridita la bocca, quindi si fermo.
«Ascolta cio che dici!» lo apostrofo l’altro Richard. «Non ti accorgi di quanto suona ridicolo?»
Jessica sembrava una che si sforza di non piangere. Aveva gli occhi lucidi. «Non stai affrontando nessuna prova, Richard. Tu — tu hai avuto una specie di esaurimento nervoso. Un paio di settimane fa. Probabilmente sei crollato perche ho rotto il fidanzamento. Il fatto e che ti comportavi in modo tanto strano, sembravi un’altra persona e io — io non riuscivo a sopportarlo… Poi sei sparito…» Le lacrime cominciavano a solcarle le guance, e smise di parlare per soffiarsi il naso con un fazzolettino di carta.
Prese a parlare l’altro Richard. «Mi aggiravo per le vie di Londra, impazzito e solo, dormivo sotto i ponti e mangiavo cibo trovato nei bidoni e nei contenitori della spazzatura. Perso, tremante e solo. Borbottavo tra me e parlavo con persone inesistenti…»
«Mi dispiace cosi tanto, Richard» disse Jessica. Stava piangendo, il viso contorto privo di attrattiva. Il mascara iniziava a colare e aveva il naso rosso.
Non l’aveva mai vista ferita, e si accorse di quanto desiderava fare in modo che non soffrisse.
Richard allungo la mano verso di lei, per cercare di abbracciarla, confortarla, rassicurarla, ma il mondo scivolo, si distorse e muto…
Qualcuno inciampo su di lui.
Era sdraiato sulla banchina nella vivida luce dell’ora di punta. Un lato del suo viso era freddo e appiccicoso. Sollevo la testa da terra. Si era straiato in una pozzanghera di vomito, che sperava almeno fosse suo.
I passanti lo fissavano disgustati o, dopo un’occhiata di sfuggita, cercavano di non guardarlo affatto.
Si ripuli il viso e cerco di alzarsi, ma non si ricordava come si fa. Richard comincio a piagnucolare. Chiuse gli occhi stretti stretti, e continuo a tenerli chiusi.
Quando li riapri, trenta secondi, un’ora o un giorno piu tardi, la banchina era nella semi oscurita.
Si alzo in piedi. Non c’era nessuno.
«Ehi!» grido. «Per favore, aiutatemi.»
Garry era seduto sulla panchina e lo osservava.
«Ma come, c’e ancora bisogno che qualcuno ti dica cosa devi fare?» Garry si alzo e si diresse verso il punto in cui si trovava Richard. «Richard» disse in tono pressante. «Sono te. L’unico consiglio che posso darti e quello che ti stai dando da solo. Anche se forse sei troppo impaurito per ascoltare.»
«Tu non sei me» disse Richard, anche se ormai non ci credeva piu.
«Toccami» disse Garry.
Richard allungo la mano, che entro nel viso di Garry, schiacciando e distorcendo, come stesse facendo pressione su una gomma da masticare tiepida. Richard non senti nulla nell’aria che gli circondava la mano, quindi la tolse dal viso di Garry.
«Visto?» disse Garry. «Non sono qui. Tutto quello che c’e sei tu, che cammini avanti e indietro lungo la banchina, parlando da solo e cercando di trovare il coraggio per…»
Richard non aveva intenzione di commentare, ma la bocca si mosse e udi la propria voce che diceva: «Cercando di trovare il coraggio per fare cosa?»
Con tono profondo, l’altoparlante annuncio:
«Per fare questo» disse Garry. «Diventare un incidente verificatosi alla stazione di Blackfriars. Farla finita con tutto. La tua vita e una vuota messinscena, priva di gioia e di amore. Non hai amici…»
«Ho te» sussurro Richard.
Garry lo esamino con occhi sinceri. «Sei proprio un illuso» disse.
«Ho Porta, e Hunter, e Anestesia.»
Garry sorrise. C’era un compatimento, in quel sorriso, che feri Richard piu di qualunque altra cosa. «Altri amici immaginari? In ufficio ridevamo tutti per quei troll. Te li ricordi? Sulla tua scrivania.» Scoppio a ridere.
Anche Richard si mise a ridere. Era tutto troppo orribile: non si poteva fare altro che mettersi a ridere.
Dopo un po’ smise.
Garry si infilo la mano in tasca e ne estrasse un troll. Aveva i capelli viola, e un tempo trovava posto sul monitor del computer di Richard. «Ecco» disse Garry. E gli tiro il troll.
Richard cerco di afferrarlo. Allungo le mani ma l’oggetto le attraverso come non fossero li.
Allora si mise carponi, alla ricerca del troll. In quel momento gli sembrava fosse l’unico frammento rimasto della sua vera vita, e che se solo avesse potuto riaverlo, forse avrebbe potuto riavere anche tutto il resto…
Era di nuovo l’ora di punta. Un treno scarico centinaia di persone, mentre altre centinaia cercavano di salire, e Richard era ancora carponi, preso a calci e a botte dai pendolari. Qualcuno gli calpesto le dita della mano, con forza. Lancio uno strillo acuto e si ficco le dita in bocca, come un bambino che si fosse scottato. Avevano un sapore davvero pessimo.
Non se ne curo. Poteva vedere il troll sul bordo della banchina, a circa tre metri.
Striscio, lentamente, sulle mani e sulle ginocchia, attraverso la folla, fino alla fine della banchina. La gente lo insulto, gli intralcio la strada e lo spinse malamente. Non aveva mai immaginato che ci si potesse impiegare tanto a percorrere tre metri. Udi una voce penetrante sogghignare, e si chiese a chi potesse appartenere. Era una risatina fastidiosa, strana e sgradevole. Si chiese che tipo di persona potesse sogghignare a quel modo. Degluti, e il sogghigno si arresto. Ora lo sapeva.
Una donna anziana sali sul treno, e nel farlo colpi con un piede il troll dai capelli viola spedendolo nel buio, giu nello spazio vuoto tra treno e banchina.
«No» disse Richard. Stava ancora ridendo, una risata sgraziata e ansimante, ma negli occhi gli spuntarono delle lacrime che si sparsero sulle guance. Si strofino gli occhi con le mani, facendoli bruciare ancora di piu.
La banchina era di nuovo deserta e buia.
Si alzo in piedi e percorse barcollando gli ultimi centimetri che lo separavano dal bordo.
Poteva vederlo, laggiu sulle rotaie, accanto al terzo binario, quello sotto tensione: una piccola chiazza viola. Il suo troll.
Guardo davanti a se: attaccati al muro dall’altra parte dei binari c’erano dei manifesti di grandi dimensioni. Pubblicizzavano carte di credito e scarpe sportive e vacanze a Cipro. Mentre guardava, il mondo si distorse e muto.
Nuovi messaggi:
FALLA FINITA era uno di essi.
METTI FINE ALLE TUE SOFFERENZE.
PROCURATI UN INCIDENTE FATALE, OGGI.
Annui. Stava parlando da solo. In realta sui manifesti non c’erano quelle scritte. Si. Parlava con se stesso; ed era tempo che si ascoltasse.
Poteva sentire un treno, non molto distante, che si avvicinava alla stazione.
Strinse i denti e comincio a dondolare avanti e indietro come stesse ancora ricevendo gli spintoni dei pendolari, anche se sulla banchina era solo.
Il treno si stava dirigendo verso di lui. In quel momento comprese che bastava davvero uno sforzo piccolissimo per mettere fine al dolore, per far si che il dolore sparisse per sempre.
Si ficco le mani in tasca e fece un respiro profondo. Era cosi facile. Un momento di sofferenza, e tutto si sarebbe concluso e compiuto…
In una delle tasche c’era qualcosa. Lo sentiva con le dita: qualcosa di liscio e solido, approssimativamente sferico.
Lo estrasse: era una perlina di quarzo.
Allora si ricordo di averla raccolta da terra. Era stato dall’altra parte del Ponte della Notte. Si trattava di un pezzo della collana di Anestesia.
E da chissa dove, nella sua testa o fuori di essa, gli parve di sentire la ragazza-ratto che diceva, «Tieni duro, Richard!»
Annui e si rimise in tasca la perlina. Resto in piedi sulla banchina e aspetto che arrivasse il treno. Quello arrivo, rallento e si fermo completamente.