Le porte del treno si aprirono con un sibilo.

Il vagone era pieno di morti; morti di tutti i tipi. C’erano cadaveri ancora caldi, con tagli grossolani alla gola e buchi di pallottola alla tempia. C’erano cadaveri vecchi e rinsecchiti. C’erano corpi coperti di ragnatele che si reggevano alle maniglie del treno, e esseri sciatti e cancerosi mollemente abbandonati nei relativi posti a sedere. Per quanto si poteva desumere, tutti i cadaveri sembravano essere defunti per mano propria.

C’erano corpi di uomini e corpi di donne.

A Richard pareva di avere gia visto alcuni di quei visi, appesi a un lungo muro, ma non riusciva piu a ricordare dove, ne quando.

Il vagone puzzava come potrebbe puzzare un obitorio al termine di una lunga estate calda durante la quale il sistema di refrigerazione si fosse rotto definitivamente.

Richard non sapeva piu chi era, non aveva idea di cosa fosse vero e cosa no, e nemmeno se era coraggioso o vigliacco, pazzo o sano di mente.

Pero sapeva qual’era la successiva cosa da fare. Salire sul treno.

E a quel punto tutte le luci si spensero.

I chiavistelli vennero tirati di nuovo. Due sonori schiocchi echeggiarono nella stanza. La porta del minuscolo santuario si apri, lasciando entrare la luce delle lampade nel corridoio.

Era una piccola stanza con un alto soffitto a volta. Da un filo appeso nel punto piu elevato del soffitto pendeva una chiave d’argento. Il soffio d’aria provocato dall’apertura della porta la fece oscillare avanti e indietro, quindi ruotare lentamente, prima da una parte, poi dall’altra.

L’Abate si appoggiava al braccio di fratello Caliginoso e i due uomini entrarono nel santuario fianco a fianco. Poi l’Abate lascio il braccio del fratello e disse: «Prendi il cadavere, fratello Caliginoso.»

«Ma, ma padre…»

«Cosa c’e?»

Fratello Caliginoso appoggio un ginocchio a terra. L’Abate poteva udire le dita che sfioravano abiti e pelle. «Non e morto.»

L’Abate sospiro. Era un pensiero immorale, lo sapeva, ma sinceramente riteneva fosse molto piu clemente farli morire subito. In questo modo era molto peggio. «Uno di quelli, eh?» disse. «Be’, ci occuperemo della povera creatura finche giungera a ottenere la sua ricompensa finale. Portiamolo in infermeria.»

A quel punto una flebile voce disse, con grande calma, «Non sono… una povera creatura…»

L’Abate senti qualcuno alzarsi in piedi; senti il brusco respiro di fratello Caliginoso.

«Penso… penso di averla superata» disse, esitante, la voce di Richard Mayhew. «A meno che anche questo faccia parte della prova.»

«No, figliolo» lo rassicuro l’Abate.

Calo il silenzio. Poi Richard disse, «Io… io credo che adesso la gradirei quella tazza di te, se per voi non e un problema.»

«Certo» disse l’Abate. «Da questa parte.»

Richard fisso il vecchio. Stava tremando. Gli occhi glauchi guardavano il nulla. Sembrava contento che Richard fosse vivo, ma…

«Scusi, signore» disse pieno di rispetto fratello Caliginoso, rivolto a Richard. «Non dimentichi la chiave.»

«Oh, si. Grazie.»

Si era dimenticato della chiave. Allungo la mano e la richiuse sulla chiave d’argento, che ruotava lentamente appesa alla corda. Tiro, e il filo si spezzo senza opporre resistenza.

Richard apri la mano e osservo la chiave che lo fissava dal suo palmo.

«Dipende dai miei denti irregolari» disse Richard, che ora ricordava. «Chi sono?»

La mise in tasca, accanto alla perlina di quarzo, e insieme lasciarono quel luogo.

La nebbia aveva cominciato a diradare. Hunter ne era lieta. Adesso era certa che, se fosse stato necessario, avrebbe potuto portar via Lady Porta ai frati senza che le succedesse nulla, cavandosela lei stessa solo con qualche ferita superficiale.

All’altro lato del ponte ci fu un movimento, carico di eccitazione.

«Succede qualcosa» disse Hunter a bassa voce. «Preparati a scappare.»

I frati si scostarono.

Richard, l’uomo del Mondo di Sopra, camminava nella nebbia, a fianco dell’Abate. Richard sembrava… Hunter lo esamino attentamente per cercare di capire in cosa fosse cambiato. Il suo punto di equilibrio si era abbassato, era piu centrato. No… non si trattava solo di quello. Sembrava…

Sembrava che fosse cresciuto.

«Ancora vivo?» chiese Hunter.

Richard annui, mise la mano in tasca e ne tolse una chiave d’argento. La lancio a Porta, che la prese al volo, per poi correre verso di lui e mettergli le braccia al collo, stringendolo piu forte che poteva.

Quindi Porta si stacco da Richard e ando dall’Abate. «Non so dirle quanto cio significhi per noi» gli disse.

Lui sorrise, debolmente ma con dolcezza. «Possano Temple e Arch essere con tutti voi, nel vostro viaggio attraverso il Mondo di Sotto.»

Porta fece un inchino poi, tenendo la chiave stretta in mano, torno da Richard e da Hunter.

I viaggiatori superarono il ponte.

I frati rimasero sul ponte finche i tre uscirono dal loro campo visivo, persi nella vecchia nebbia del mondo sotto il mondo.

«Abbiamo perduto la chiave» disse l’Abate. «Che Dio ci aiuti.»

TREDICI

L’Angelo Islington stava sognando un sogno oscuro e frenetico.

Onde immense si innalzavano e si infrangevano sulla citta; il cielo era squarciato da orizzonte a orizzonte da lampi biforcuti; cadde la pioggia e la citta tremo; accanto al grande anfiteatro scoppiarono i primi incendi. Islington li osservava dall’alto, librandosi nell’aria, come ci si libra nei sogni, come si era librato in quei giorni tanto lontani. In quella citta c’erano edifici alti oltre trenta metri, ma a confronto delle verdi onde atlantiche parevano minuscoli.

Poi udi la gente gridare.

C’erano quattro milioni di persone ad Atlantide, e, nel sogno, Islington udiva ogni singola voce, chiara e distinta, mentre urlavano, soffocavano, bruciavano e morivano.

Le onde inghiottirono la citta, e la tempesta si placo.

Al sorgere dell’alba, nulla indicava che la ci fosse mai stata una metropoli. Nulla tranne i corpi gonfi d’acqua di bambini, di donne e di uomini che galleggiavano sulle gelide onde del mattino; corpi su cui i gabbiani bianchi e grigi avevano gia cominciato a infierire con i loro becchi crudeli.

E Islington si sveglio.

Era in piedi accanto alla grande porta nera, fatta di silice e argento annerito. Sfioro la liscia freddezza della silice, il gelo del metallo.

Tocco il tavolo. Con leggerezza, fece scorrere le dita lungo i muri.

Poi si incammino attraversando tutte le stanze dei suoi saloni, una dopo l’altra, toccando gli oggetti.

Camminando, seguiva un percorso ben preciso, delle levigate scanalature che i suoi piedi nudi avevano scavato nella roccia nel corso dei secoli. Raggiunto lo stagno, si fermo. Si chino e tocco l’acqua con le dita.

Sulla superficie dello stagno si formo un’increspatura, e il riflesso dell’angelo e delle candele che lo circondavano scintillo e si trasformo.

Ora vedeva uno scantinato.

L’angelo si concentro un momento.

Poteva udire un telefono che squillava, da qualche parte, lontano.

Mister Croup si diresse verso il telefono e sollevo il ricevitore. Pareva alquanto soddisfatto di se. «Croup e Vandemar,» latro «occhi cavati, nasi deformati, lingue forate, menti tagliati, gole squarciate.»

«Mister Croup,» disse l’angelo «adesso hanno la chiave. Voglio che la ragazza di nome Porta non corra pericoli durante il viaggio che la ricondurra da me.»

«Niente pericoli» ripete mister Croup, impassibile. «D’accordo. Faremo in modo che non corra pericoli. Che idea meravigliosa — quale originalita. Assolutamente sbalorditiva. La maggior parte delle persone si accontenterebbe di assoldare degli assassini per esecuzioni, ingegnosi delitti, persino per ignobili omicidi. Solo voi, signore, potete assoldare i due migliori tagliagole di tutto lo spazio e il tempo e chiedere loro di assicurare che la salute di una ragazzina non venga messa a rischio.»

«Fate in modo che le cose vadano cosi, mister Croup. Nulla deve nuocerle. Fatele del male in qualche modo e ne saro profondamente dispiaciuto. Chiaro?»

«Si.»

«C’e altro?» chiese Islington.

«Si, signore.» Croup si tossicchio nella mano. «Ricordate il Marchese de Carabas?»

«Certamente.»

«Suppongo che non ci sia una proibizione simile riguardo all’estirpazione del Marchese…?»

«No,» disse l’angelo «basta che proteggiate la ragazza.»

Allontano la mano dall’acqua. Ora il riflesso era solo di fiammelle di candela, e di un angelo.

Quindi, l’Angelo Islington si alzo e ritorno alle stanze interne, in attesa dei suoi risolutivi visitatori.

«Cosa ha detto?» domando mister Vandemar.

«Ha detto, mister Vandemar, che dobbiamo sentirci liberi di fare al Marchese tutto cio che desideriamo.»

Vandemar annui. «Questo prevedeva anche la possibilita di ucciderlo facendolo soffrire?» chiese.

«Si, mister Vandemar, riflettendoci bene direi proprio di si.»

«Ottimo, mister Croup. Non mi sarebbe piaciuto un altro rimprovero.» Alzo lo sguardo verso la cosa sanguinolenta che penzolava sopra le loro teste. «Meglio sbarazzarci del corpo, allora.»

Una delle rotelle anteriori del carrello del supermercato cigolava e aveva la pronunciata tendenza a tirare verso sinistra. Mister Vandemar l’aveva trovato su un’erbosa isola spartitraffico vicino

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