Hunter fisso Richard con occhi color marron glace. «Il luogo che hai visitato tu e la cittadella di Islington, e la sua prigione. Non puo lasciarla.»
Il Marchese la guardo. «Presumo che il labirinto e la Bestia siano qui per scoraggiare i visitatori.»
Lei chino il capo. «Cosi presumo anch’io.»
Richard si rivolse al Marchese, eruttando tutta la rabbia, l’impotenza e la frustrazione in un’unica iraconda esplosione. «Perche diamine le rivolge la parola? Perche quella sta ancora con noi? E una traditrice — ha cercato di farci credere che il traditore era lei.»
«E ti ho salvato la vita, Richard Mayhew» disse Hunter, pacata. «Molte volte. Sul ponte. Allo Spazio Vuoto. Sulla passerella la sopra.»
Lo guardo negli occhi, e fu Richard a distogliere lo sguardo.
Qualcosa echeggio attraverso i tunnel: un muggito, o un ruggito. I peli sulla nuca di Richard si drizzarono. Era molto lontano, ma quello era l’unico aspetto della cosa che poteva dargli un minimo di conforto. Conosceva quel suono. L’aveva gia udito nei suoi sogni. Non pareva ne un toro ne un cinghiale. Sembrava un leone. Sembrava un drago.
«Il labirinto e uno dei luoghi piu antichi di Londra Sotto» spiego il Marchese. «Prima che re Lud fondasse il villaggio sulle paludi del Tamigi, qui c’era un labirinto.»
«Nessuna Bestia, pero» disse Richard.
«Non a quel tempo.»
Richard esito. Il ruggito lontano si fece udire di nuovo. «Io… io credo di avere sognato della Bestia» disse.
Il Marchese inarco un sopracciglio. «In che tipo di sogni?»
«Brutti» rispose Richard.
Il Marchese ci penso sopra, gli occhi che guizzavano. Poi disse, «Senti, Richard, io porto Hunter. Se tu vuoi aspettare, be’, nessuno ti accusera di codardia.»
Richard scosse il capo. A volte non hai alternative. «Non torno sui miei passi. Non ora. Hanno preso Porta.»
«D’accordo» disse il Marchese. «Bene, allora. Andiamo?»
Le perfette labbra di zucchero caramellato di Hunter si contorsero in un ghigno. «Dovete essere pazzi per andare la dentro» disse. «Senza il pegno dell’angelo non riuscirete mai a trovare la strada. Non supererete mai il cinghiale.»
Il Marchese infilo la mano sotto la coperta poncho e ne estrasse la statuina di ossidiana presa nello studio del padre di Porta. «Intendi uno di questi?» domando.
In quel momento il Marchese penso che molto di quello che aveva passato la settimana precedente era compensato dall’espressione sul viso di Hunter. Superarono il cancello, entrando nel labirinto.
Porta aveva le mani legate dietro la schiena e mister Vandemar la spingeva avanti appoggiandole una manona sulla spalla. Mister Croup li precedeva a passi rapidi, tenendo ben alto e visibile il talismano di ossidiana preso alla ragazza, e scrutava nervosamente da una parte e dall’altra, come una donnola sul punto di razziare un pollaio.
Il labirinto in se era follia pura. Era costruito di frammenti dispersi di Londra Sopra: vicoli, strade, corridoi e fognature caduti nelle fenditure nel corso dei millenni e entrati a far parte del mondo del perduto e del dimenticato.
Camminavano sui ciottoli e nel fango, nello sterco (sterco di cavallo e non solo) e su assi di legno marcio. Era un luogo in perenne trasformazione, e ogni sentiero si divideva, girava e si ripiegava su se stesso.
Mister Croup senti lo strattone del talismano e lascio che lo portasse dove voleva.
Stavano percorrendo un minuscolo passaggio che un tempo aveva fatto parte di una «rookery» vittoriana (dei bassifondi composti in parti uguali di furto e gin, squallore da due soldi e sesso da tre), quando la udirono tirar su col naso e sbuffare da qualche parte, vicino. Poi ruggi.
Mister Croup esito. In fondo al vicolo si fermo e si guardo intorno di sottecchi, prima di fare strada agli altri scendendo qualche gradino che portava a un lungo tunnel di pietra che una volta, all’epoca dei Templari, correva attraverso delle paludi, le Fleet Marshes.
«Hai paura, vero?» gli disse Porta.
Lui la guardo in cagnesco. «Tieni la lingua a posto.»
Lei sorrise, anche se di sorridere proprio non aveva voglia. «Hai il terrore che il tuo talismano salvacondotto non ti permetta di superare la Bestia. Cosa stai progettando? Di rapire Islington? Di venderci entrambi al migliore offerente?»
«Zitta» disse mister Vandemar.
Ma mister Croup si limito a ridacchiare sotto i baffi, e in quel momento Porta seppe che l’Angelo Islington non era suo amico.
Allora comincio a gridare. «Ehi! Bestia! Siamo qui! Iuu-huu! Signora Bestia!»
Mister Vandemar le diede uno schiaffo sulla testa e la sbatte contro il muro.
«Ti avevo detto di stare zitta» disse, dolcemente.
Sentiva in bocca il sapore del sangue e sputo rosso sul fango. Quindi apri la bocca per mettersi di nuovo a strillare. Mister Vandemar, anticipando la mossa, si era tolto di tasca un fazzoletto e glielo ficco tra i denti. Lei cerco di mordergli un dito, ma la cosa non lo impressiono per niente.
«Adesso starai zitta» le disse.
Mister Vandemar era molto orgoglioso del suo fazzoletto, che era macchiato di verde, nero e marrone, e in origine, negli anni Venti, era appartenuto a un venditore di tabacco da fiuto alquanto sovrappeso morto di infarto e sepolto con il fazzoletto nel taschino. Ogni tanto mister Vandemar ci trovava ancora sopra qualche frammento di mercante di tabacco, ma cio nonostante secondo mister Vandemar era comunque un bel fazzoletto.
Continuarono in silenzio.
Nel suo salone alla fine del labirinto, che era la sua cittadella e la sua prigione, l’Angelo Islington stava facendo una cosa che non faceva da molte migliaia di anni.
Ecco cosa stava facendo.
Cantava.
Aveva una voce bellissima, melodiosa e dolce. Come tutti gli angeli era perfettamente intonato.
Islington stava cantando una canzone di Irving Berlin. E mentre cantava, ballava, con movimenti e passi lenti e impeccabili, nel suo Gran Salone pieno di candele.
Smise di danzare quando raggiunse la porta nera nella sua stanza, la porta fatta di silice e argento annerito. Con infinita lentezza fece scorrere le dita lungo la porta, appoggiando la guancia sulla superficie gelida.
Poi continuo, piu pacatamente, a cantare.
Quindi sorrise, dolcemente e teneramente, e il sorriso dell’Angelo Islington era una cosa terribile a vedersi.
Pronuncio le parole, ripetendole tra se e se, le sillabe sospese nell’aria dell’oscurita della sua stanza illuminata dalle candele.
«
Richard stava aggiungendo un’altra annotazione al suo diario mentale.
Gli sfuggi la metafora.
Stavano procedendo a fatica per uno stretto passaggio di terra bagnata e paludosa in mezzo a scuri muri di pietra.
Il Marchese portava sia il lasciapassare sia la balestra, e camminava tre metri dietro a Hunter.
Richard teneva la lancia e una torcia gialla che illuminava i muri e il fango. Camminava davanti a Hunter, ma a debita distanza. La palude puzzava, e grosse zanzare avevano cominciato a mordere Richard sulle braccia, sulle gambe e sul viso. Fino a quel momento ne Hunter ne il Marchese avevano minimamente menzionato le zanzare. Richard cominciava a sospettare che si fossero persi.
E il suo umore non veniva per nulla risollevato dal fatto che qui e la nella palude ci fossero dei morti: corpi coriacei ben conservati, ossa di scheletri e pallidi cadaveri. Si chiedeva da quanto fossero li, e se fossero stati uccisi dalla Bestia o dalle zanzare.
Lascio passare altri cinque minuti e nove punture di zanzara, poi grido, «Credo che ci siamo persi. Da qui siamo gia passati.»
Il Marchese alzo il talismano. «No. Va tutto bene» disse. «Il pegno ci sta portando dritti alla meta. Cosetta intelligente.»
«Gia» disse Richard ben poco impressionato. «Molto intelligente.»
Fu allora che il Marchese mise il piede nudo sulla gabbia toracica frantumata di un cadavere semi sepolto, che gli perforo il calcagno e lo fece inciampare. La statuina nera volo in aria e con un gran tonfo cadde nella palude. Il Marchese si rialzo e punto la balestra alla schiena di Hunter. Al tallone destro provava una dolorosa sensazione di calore: si augurava di non essersi procurato un