medesimo aspetto, l’aspetto di un personaggio pieno d’ombre, estromesso dalle luminose autostrade della legge e dalle usanze comuni. L’unica luce, in quel posto, era il faro del proprio intenso desiderio. Gli abissi dell’oceano erano inquietanti e vicini.

Quella vicinanza lo preoccupava un po’. Quando scese la notte entro in casa, srotolo il materassino sul pavimento di legno macchiato e si chiese se non avesse esagerato. Da sempre era abituato a dipendere da strutture esterne, per cio che riguardava le regole e la disciplina. Era stato l’esercito, in un certo senso, a renderlo cio che era. L’esercito gli aveva dato un nome, dal suono quasi magico: Aggressivo Latente. E non l’aveva considerata una patologia, ma piuttosto una dote, un’utile peculiarita del carattere. Per certe azioni, si poteva contare su di lui. Era un uomo senza scrupoli, ma leale, e la lealta non gli era mai venuta meno.

Fino a quel momento. Adesso era un fuorilegge, un cane sciolto. Si era assunto un compito e lo svolgeva in proprio. Non pensava ad altro. Senza il suo intervento, la pietra di profondita uscita dalla miniera di Pau Seco avrebbe potuto essere riprodotta, diffondendosi a catena tra gli abitanti emarginati e misteriosi della Citta Galleggiante. Probabilmente era proprio quello lo scopo che i creatori originali si erano prefissi. E lui non poteva permetterlo.

Lui capiva il pericolo, ed era persuaso di essere l’unico. Capiva la natura delle pietre, la loro estraneita, il loro potere di fissare la memoria. Aveva toccato Tavitch e, attraverso Tavitch, una pietra. E la pietra aveva toccato lui.

Era un oggetto sgradevole e pericoloso, una specie di arma. Corrodeva il midollo dell’anima. Non doveva essergli permesso di esistere.

Oberg lo credeva con tutta l’intensita con cui aveva creduto in ogni altra azione della sua vita.

La forza di quel credo era la sua unica giustificazione. Il suo sostegno. Era come un fuoco che lo riscaldasse, in un luogo tanto selvaggio.

Il mattino dopo fece una telefonata a un funzionario dell’Organizzazione che si trovava in Oriente, un certo Tate. L’uomo sbatte piu volte le palpebre prima di accettare l’idea che fosse proprio lui. — Tu! — esclamo.

Lui sorrise. — Si, io.

— Aspetta un attimo.

Oberg attese mentre Tate attivava una procedura di massima sicurezza, sollevando il terminal dall’incarico di registrare e archiviare la telefonata. L’uomo, probabilmente coetaneo di Oberg, aveva la faccia butterata e l’espressione ansiosa. — Mi hai giocato proprio un bel tiro! — protesto.

— Avevo bisogno del tuo aiuto.

— Bella scusa! Tutti sanno che ti sei giocato il posto, la in Brasile. Brutto affare, Steve.

— Non ti sto facendo una telefonata ufficiale.

— Potevi risparmiartela comunque. Non siamo amici.

— Siamo amici di vecchia data, invece — replico Oberg.

— Amici un cavolo!

Ma era vero. Se non proprio amici, erano almeno camerati, colleghi. Tate era stato il battistrada del plotone di Oberg.

L’esperienza non li aveva uniti piu di tanto; dopo la guerra si erano rivisti solo un paio di volte. Ma avevano condotto carriere parallele e tra loro era rimasto un tacito legame, una specie di reciproco impegno di lealta.

— Voglio tutto il materiale che puoi recuperare a proposito dei tre americani — disse Oberg. — Immagino che tu abbia visto i fascicoli della SUDAM. C’era senz’altro qualcosa.

— Non e un settore di mia competenza.

— Pero hai libero accesso agli archivi.

— Non sono il tuo cane. Non corro a prendere l’osso perche me lo ordini tu. — Tate sembro sulle spine. — Ti hanno gia detto di lasciar perdere.

— Ti chiedo un favore — insiste Oberg.

— Per quanto ne so, non ci sono novita. La donna e uno degli uomini abitavano nella Citta Galleggiante, ma non esistono documenti di identificazione, a parte quelli che avevano comperato al mercato nero. Sono cose che sai gia.

— C’era un terzo uomo.

— Keller. Be’, conosciamo il nome. Ma e stato tutto archiviato dopo che te ne sei andato. Steve, mi senti? Il caso non interessa piu a nessuno.

— Controlla ancora tutto — chiese ancora Oberg. — Per favore.

— Dammi il numero dove posso trovarti. Ti richiamero.

— Chiamero io — promise Oberg, e tolse la comunicazione.

Per un paio di giorni esploro il suo circondario.

Era una zona squallida, a sud di un quartiere industriale e a poca distanza dalla terraferma, dove la maggior parte degli abitanti, di giorno, andava a lavorare. Ma di notte, le passerelle si accendevano di lanterne di carta e le insegne dei bar e delle discoteche brillavano di una luce accattivante. Il traffico si invertiva, e gli abitanti della terraferma si avventuravano tra i canali in cerca di piaceri illeciti. Questi ultimi erano piu leggendari che reali, da quel che Oberg poteva capire. Tuttavia, una certa attivita illegale non mancava.

La droga, per esempio. Del resto, la droga era dappertutto. Era ormai un dato di fatto che l’economia non potesse funzionare, o almeno prosperare, senza il grosso giro di stimolanti, accrescitori di QI e neuropeptidi composti, una vendita nelle strade o ottenuti su prescrizione o acquistati per strada. Oberg aveva lavorato anche con la squadra narcotici e si era accorto molto presto che nessuno aveva davvero interesse a stroncare quel traffico. Molti degli agenti che conosceva facevano uso in prima persona di stimolanti neurochimici, oppure arrotondavano il bilancio familiare grazie alla droga. Spesso, le due cose andavano di pari passo. Era l’iniziativa privata.

Ma la Citta Galleggiante rendeva quel traffico molto piu agile. Non c’erano funzionari governativi pronti a chiedere una tangente, e gli unici intralci erano costituiti dal tentativo di immischiarsi da parte dei filippini o degli indiani dell’est. Di solito, la rete di distribuzione era fondata su contatti personali. E questo, per Oberg, costituiva un vantaggio.

Frequento per tre notti un bar che si chiamava Nettuno, che ospitava quasi esclusivamente visitatori della terraferma. Osservo il movimento delle barche, le cameriere, il flusso ininterrotto di alcolici al banco. In particolare sorveglio un ragazzino pallido e magro che occupava un tavolino sul retro, lo stesso per tre sere consecutive, e che ogni tanto faceva due passi fuori con uno degli avventori uscendo da una porta secondaria che si affacciava su un canale di scarico. Il ragazzo non era un adescatore, c’erano altri piu attenti e raffinati addetti a quel compito. Sembrava piuttpsto uno spacciatore, un rappresentante di cio che poteva offrire il mercato. Teneva le mani infilate nelle tasche di una giacca decisamente larga, e c’era da scommettere che quando le tirava fuori erano piene di pillole, polveri e tamponi.

La quarta notte, Oberg gli si avvicino.

— Vorrei acquistare della droga — gli disse in tono sommesso.

Il ragazzino lo guardo, divertito. — Voi vorreste cosa?

Oberg gli mostro la fialetta trovata nello studio di Teresa. Fece cadere la pillola nera e resinosa nel palmo della mano e la mise in modo che il ragazzo potesse vederla bene.

Lui rise e distolse lo sguardo. — Merda — commento.

— Sono serio — replico Oberg.

— Me lo immagino. — Il ragazzino tamburello con le dita sul tavolo.

Forse usava lui stesso qualche stimolante, penso Oberg. Uno stimolante che pompava energia chimica dai suoi neuroni. Strepito di giorno e notti in bianco. Era patetico, e comunque lui non sopportava la condiscendenza di quel ragazzino. — Posso pagare — gli assicuro.

Il ragazzo gli diede una seconda occhiata. — Volete acquistarne una certa quantita? Io non vendo noccioline.

— La quantita che preferisci.

— Bene.

Il ragazzo lo condusse fuori.

La passerella era stretta e buia. Con ogni probabilita, veniva usata per buttare la spazzatura. Si affacciava su un canale di scarico delle acque nere che, in condotti aperti, giungevano fino al mare La passerella era illuminata da un’unica lampada al sodio e dall’altra parte del canale si vedeva solo il muro scabro di un magazzino abbandonato. Dalla porta del bar, chiusa, filtrava l’eco lontana della musica. Il suono sembrava un po’ anemico.

Il ragazzo pesco in una delle innumerevoli tasche della giacca e tiro fuori una manciata sudaticcia di pillole. Il loro rivestimento scintillo sotto la luce nuda della lampada. Erano piccole e nere. — Ho solo queste — disse il ragazzo, gia stanco della trattativa. — Pero posso procurartene altre per martedi… Ehi!

Oberg protese il pugno e batte con forza sulla mano del ragazzo, spingendola via. Le pillole descrissero un arco, catturarono un riflesso di luce e caddero nel canale senza fare rumore.

Il ragazzo le fisso, sbalordito. — Figlio di puttana! — Nessuno gli aveva mai giocato un tiro del genere. Oberg avrebbe potuto essere chiunque, un nuovo concorrente o un agente della Narcotici, ma il ragazzo aveva trattato solo con veri clienti e non si aspettava niente del genere. Rimase a fissarlo, sorpreso e confuso.

Oberg aspetto.

Il ragazzo socchiuse gli occhi.

— Puoi anche buttare quelle fottute pillole nel canale, se vuoi — disse alla fine. — Pero me le paghi. Fuori i soldi, stronzo. — Tolse un coltello da sotto la cintura.

Oberg fu piu svelto di lui. Si scanso, gli prese il braccio e gli strappo l’arma. Poi gliela punto alla gola.

Avverti un piacere che non sentiva da anni. Un’eccitazione di cui aveva costantemente sentito la mancanza. Ma non era il momento di crogiolarsi in simili pensieri.

Cane sciolto, penso, quasi con un senso di vertigine.

Il ragazzo era pallido e aveva gli occhi sgranati.

— Dimmi dove le hai prese — ordino Oberg.

— Vaffanculo — replico lui, con un filo di voce.

Oberg lascio che la lama tracciasse una sottile linea di sangue. Alla luce della lampada il sangue sembro chiaro e oleoso. Il ragazzo cerco di liberarsi, senza risultato.

— Dimmelo — insiste lui.

Ci volle un po’ di tempo, ma alla fine riusci a farsi dire quattro nomi e quattro indirizzi approssimativi. Sarebbero stati utili per rintracciare la donna, nel caso che Tate non ottenesse nessuna informazione utile. Il ragazzo si rilasso, intuendo che Oberg era riuscito ad avere cio che voleva. La faccenda era chiusa.

Chiusa, infatti. Ma non nel senso che intendeva lui. Con decisione, Oberg affondo il coltello nella gola del ragazzo, poi quasi senza sforzo sollevo il corpo sopra la ringhiera per buttarlo nel canale. Si udi un singulto strozzato, un tonfo, poi piu nulla.

Era piacevole. Altamente gratificante.

Oberg puli con un fazzoletto la lama del coltello, poi butto anche il fazzoletto nel canale.

Il coltello lo porto a casa.

Il passato era morto e sepolto, penso. E cosi doveva essere.

A volte aveva qualche problema d’insonnia. Come quella notte, ad esempio. In parte, la colpa era dell’adrenalina che si era riversata nel suo corpo al momento della morte del ragazzo; in parte

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