— Ti importa molto?

Lei si strinse nelle spalle.

— E come camminare su una nuvola — spiego Byron. — Sei al di sopra di tutto. Della paura e persino del tuo corpo. Diventi una macchina, ti muovi e vai dove ci si aspetta che tu vada. Tutto e molto chiaro, estremamente lucido, perche non c’e piu ne il bene ne il male, ne il meglio ne il peggio. Devi solo guardare. Ogni cosa e quella che sembra. Niente di piu e niente di meno.

Quelle parole le suscitarono un ricordo. — Mi sembra di capire che puo essere un’esperienza piacevole.

— Si. Ma ti stanca. E qualcosa di freddo, come stare sulla cima di una montagna. Ti spaventa il fatto di essere cosi in alto rispetto a tutti gli altri. Hai paura di non riuscire mai piu a scendere. E, infatti, succede.

— Anche a Ray?

— Forse si.

— Ma hai detto che ti fidavi di lui.

Byron si strinse nelle spalle. — Credo che per lui sia sempre stata una scelta difficile. Si portava dietro dei brutti ricordi che risalivano al tempo di guerra e probabilmente e stata questa la spinta. Aveva bisogno di distaccarsene. La mia impressione e che una parte di lui continui a voler tornare indietro. Anche dopo tutto questo tempo. — Si volto a guardarla. — E importante per te?

— Ero curiosa.

Tornarono verso l’albergo. — Non sarebbe una buona cosa se ti importasse troppo di Ray Keller — disse Byron.

Teresa alzo le spalle.

Quella notte sogno ancora la bambina sconosciuta con la tuta stracciata e le scarpe da tennis.

La bambina la fissava dal profondo dei suoi immensi occhi scuri. Come sempre, Teresa fu contagiata dall’impazienza di quello sguardo. Il buio l’avvolgeva come una cortina di fumo, e l’angoscia le palpitava intorno.

— Sei quasi a casa, ora — disse la bambina con voce appena udibile. — Sei quasi a casa.

6

Keller aveva dieci anni quando la scoperta degli oneiroliti nel Bacino delle Amazzoni riempi le testate dei giornali internazionali. Nel ricordo, era affacciato alla finestra dell’unica camera nell’appartamento sopra l’officina di suo padre, e puntava un fucile giocattolo verso il profilo marrone delle colline, mentre la televisione blaterava di 'oggetti di origine extraterrestre'. Era sabato e il ministero dei Lavori Pubblici aveva consentito l’erogazione dell’acqua. Suo padre, in cortile, insaponava la carrozzeria in fibra di vetro di alcune macchine. Il ragazzo prestava scarsa attenzione allo schermo televisivo, perche era convinto che tutta quella faccenda fosse una bugia.

Gliel’aveva detto suo padre la sera prima. Dalla grande poltrona in cui era seduto, al centro di una stanza squallida, aveva commentato: «Tutta merda, Ray. Credi a me!»

Keller aveva pensato che suo padre sembrava stranamente piccolo in quella poltrona enorme che sottolineava la sua magrezza, il gonfiore artritico delle dita e dei gomiti e i capelli ormai radi.

«Pietre provenienti dallo spazio, figurarsi!» La sua voce di adulto era carica di disprezzo e di autorita. Era emigrato dal Colorado prima della nascita del figlio, per condurre una vita, come lui aveva capito sin d’allora, infelice e anonima. «Cristo onnipotente, che fesserie!» Chi poteva dubitarne?

Il suo scetticismo ebbe vita breve. Venne presto sostituito dalla noia, che fu in generale la reazione dell’intero paese. Negli anni successivi gli oneiroliti permisero la scoperta di molte cose interessanti, ma tutte estremamente astruse: una nuova matematica, una cosmologia piu sofisticata. Cose importanti, ma poco spettacolari. Le domande piu difficili, da dove erano venute le pietre?, chi le aveva lasciate?, rimasero senza risposta. E con il tempo, nessuno si preoccupo piu di cercarla. Le congetture vennero lasciate ai cultori, agli scrittori di fantascienza e ai rotocalchi. Nella vita quotidiana c’erano faccende piu importanti di cui preoccuparsi. I russi, per esempio, contrabbandavano missili telecomandati e software militari per destabilizzare i posseiros nel Bacino delle Amazzoni. Dove volevano arrivare?

«Merda di prima categoria» aveva borbottato il padre di Keller dal profondo della sua poltrona. Il ragazzo aveva assentito tra se, puntando pensierosamente il fucile verso il tronco di una palma nana. Zing, aveva fatto il fucile.

Dieci anni piu tardi aveva imparato a usare un fucile vero in una foresta altrettanto vera. Tra le truppe che combatteva in Brasile circolavano liberamente molte rozze riproduzioni in cristallo degli oneiroliti. La prima volta che Keller ne aveva vista una ne era rimasto impressionato; era una macchina, si era detto, uno strano apparecchio proveniente da un altro mondo. Ma quando l’aveva presa in mano era stato riportato immediatamente indietro nell’appartamento polveroso, impregnato dell’odore di benzina e di vernice che saliva dalla finestra, e aveva risentito l’eco della voce stridula di suo padre che diceva, credi a me! Suo padre era morto di cancro tre anni prima ma l’immagine era straordinariamente vivida, quasi una resurrezione. Keller aveva lasciato cadere la pietra di scatto come l’avesse sentita pulsare di vita propria nel palmo della mano, e si era ritratto, con un sussulto.

Non avrebbe mai immaginato che un ricordo potesse risultare tanto inquietante.

La strada per Cuiaba era disseminata di relitti di guerra. Teresa vide le sagome deformate di varie macchine belliche in alcune valli verdi di fianco alla strada, e senti l’eco della violenza che doveva aver squassato la zona.

Era una strada relativamente nuova, le spiego Keller, solo di poco anteriore alla guerra. Un nastro di macadam che tagliava la provincia di Goias come fosse stata disegnata da un geografo, che scavalcava con un ponte sospeso le acque tumultuose dell’Araguaia inoltrandosi in profondita nel Mato Grosso.

Il mondo che si stendeva oltre i finestrini dell’autobus l’impressionava e la spaventava. Le sembrava strano essere arrivata tanto lontana cosi in fretta. L’orizzonte era verde e sconfinato e lo sguardo poteva spingersi a una distanza davvero smisurata quando la strada saliva su una delle numerose alture. Una terra selvaggia, penso Teresa. Quell’idea si era fatta sempre piu reale e stupefacente. Una terra selvaggia dove non c’erano citta, dove dominava l’anarchia della natura. Il paesaggio era profondamente alieno, come quelli che lei aveva visto nella trance provocata dalle pietre. Le poche tracce umane visibili, come un mezzo per il trasporto truppe dell’esercito con la corazza annerita in mezzo al verde, e i rapaci appollaiati sulle torrette sventrate, non facevano che rafforzare quella sensazione.

Da qualche parte, laggiu, c’era il posto dove Keller aveva conosciuto Byron. Storia sepolta. Da qualche parte, laggiu, c’era anche la miniera degli oneiroliti. La gnosi, o conoscenza perfetta del divino, come diceva Wexler. L’alieno, l’Altro, come lei aveva detto a Keller. E qualcosa di piu personale.

Viaggiarono per tutta la durata del tramonto e ancora oltre. Il cielo divenne piu scuro e le luci di lettura si accesero sopra le loro teste. Byron si tiro il cappello di feltro sugli occhi e si mise a dormire. Keller sprofondo nell’esame di una rivista che aveva portato da Brasilia. L’autobus era quasi vuoto. C’era qualche uomo d’affari con l’aria infelice e il vestito spiegazzato, un gruppo di coreani probabilmente drogati, e alcuni posseiros che russavano nei sedili posteriori. Tre o quattro turisti… come noi, penso Teresa. E poi, ma noi non lo siamo. Non era il caso di cercare di dormire; le pressioni esterne erano troppo acute.

Poco prima di mezzanotte Keller reclino il sedile e si appisolo. Lei si ritrovo a guardarlo, con un sorriso sulle labbra. Nel sonno, il viso dell’uomo si rilassava e diventava quasi diverso. Tutta la tensione del giorno sembrava quasi dissolversi.

E un Angelo, penso Teresa.

Strano, quanto fosse facile dimenticarlo. Parlare con lui era come parlare con un milione di persone. Tutto quello che vedeva si avvolgeva nella memoria meccanica, sepolta chissa dove nel suo corpo. Un tesoro di memoria per le masse.

Teresa si chiese se poteva spegnerla… e se l’avrebbe fatto, avendone la possibilita.

Si addormento, suo malgrado. Quando il calore del mattino la sveglio, il panorama selvaggio era sparito. L’autobus correva in mezzo a un rione fumante, con baracche di lamiera costruite su cumuli di sporcizia. Era la periferia di Cuiaba, spiego Keller.

— E una citta orribile. Un carnaio. Il mattatoio ne rappresenta l’unico vero affare. — Arriccio il naso. — Se ne sente gia l’odore.

— Sei gia stato qui?

— Durante la guerra — spiego lui, stancamente. — Era una base logistica. Da qui guidavamo i veicoli da trasporto sulla BR-364. Nelle citta rurali di quella zona l’attivita di guerriglia era alta.

Dunque, era stata una citta di soldati. Il che spiegava tutte le insegne che lei aveva visto in inglese e in giapponese corsivo: Bar Grill, Live Sex Acts, Uscite di Servizio. La stessa stazione degli autobus era una cavernosa struttura in cemento, gremita di varia umanita. Straripava di vecchi autobus diesel dal fumo puzzolente e i nomi sulle insegne vicino al finestrino del bigliettaio le risultavano completamente sconosciuti. Ouro Preto, diceva uno, Ariquemes, un altro. Teresa si mise la borsa in spalla mentre lasciavano la stazione, seguendo Byron che doveva guidarli in un albergo indicatogli da Wexler dove avrebbero trovato un uomo ad aspettarli, secondo quanto Wexler aveva promesso. Si senti persa, a camminare in mezzo a quei vecchi edifici coloniali. Era un brutto quartiere, pieno di lividi bar e di uomini cenciosi che dormivano sui marciapiedi sconnessi. In un vicolo vicino all’albergo vide un’insegna che l’incuriosi: CHIESA DELLA VALE DO AMENHECAR, diceva, e sul finestrino polveroso sotto l’insegna era dipinta l’immagine di una mano protesa verso l’alto, con una pietra dei sogni che brillava nel palmo aperto.

Noi siamo vicini ora, si disse. E il pronome le venne cosi naturale che non ne noto la stranezza. Noi.

Da quel punto in avanti, secondo il piano riferito a Keller, avrebbero smesso di fare i turisti. Sarebbero passati nel sertao, per un giorno o due. L’autista di un autocarro, un espatriato vietnamita di nome Ng, li avrebbe trasportati a Pau Seco.

Ma, in albergo, Ng non c’era. Nessun problema, disse Byron. Avevano prenotato per tre giorni. Ng li avrebbe raggiunti l’indomani, assicuro. Due giorni dopo, al massimo.

Keller alzo le spalle, srotolando il sacco a pelo sul pavimento della stanza d’albergo.

'Albergo' era una definizione generosa. Cuiaba non era in alcun senso una citta turistica. La costruzione era una scatola d’intonaco e legno marcio. Byron e Teresa occupavano rispettivamente i due soli lettini di cui era dotata la camera. Avvoltolato nel suo sacco a pelo, Keller giacque nel buio per un po’, conscio dei rumori della notte. Gli autocarri per il trasporto della carne gemevano lungo i budelli della citta, negli spazi lasciati vuoti dagli antichi edifici. Era conscio anche della distanza tra se stesso e Teresa, e tra Teresa e Byron. Distanze ormai palesemente cariche di elettricita e di implicazioni.

Capiva ora, anche se gli ci erano voluti un po’ di giorni, quanto profondamente Byron fosse innamorato di lei.

E capiva anche che quel sentimento non era reciproco.

La cosa lo stupiva. Dieci anni prima, Byron aveva incarnato il prototipo dell’Angelo: svelto, tenebroso, distaccato, dietro le lenti protettive. Era la sensazione che ancora trasmetteva pur commerciando pietre dei sogni nella Citta Galleggiante. Ma con Teresa era un’altra cosa, e Keller se ne accorgeva. Tradiva un grande nervosismo, la sorvegliava quando pensava che lei non vedesse, si comportava in modo quasi servile.

Strano, ma forse prevedibile. Byron l’aveva salvata da un lento suicidio. Probabilmente se ne sentiva quasi responsabile. E poi, c’era in lei quel senso cosi acuto di incompletezza. Come fosse stata in balia di maree sconosciute. Si era immersa troppo spesso e troppo a fondo nel mistero degli oneiroliti. Keller capiva il loro fascino di territorio della notte, pericoloso ed esotico. Capiva la loro

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