prigionieri.

Capitolo VII

Ciliegino, per una volta, a don Prezzemolo si rivolta

Il Castello era un po' in cima alla collina ed era circondato da un gran parco. C'era un cartello che da una parte diceva: «Vietato l'ingresso»— e dall'altra parte diceva invece: «Vietata l'uscita».

Una parte era destinata ai ragazzi del villaggio, perche non gli venisse la tentazione di scavalcare l'inferriata per andare a giocare sotto gli alberi del parco; l'altra era per Ciliegino, perche non gli venisse la tentazione di scappare nel villaggio a imbrancarsi con i figli dei poveri.

Ciliegino passeggiava solo soletto, stando bene attento a non calpestare le aiuole e a non rovinare i fiori. Difatti il suo precettore, don Prezzemolo, aveva fatto mettere dappertutto dei cartelli, su cui c'era scritto quello che Ciliegino poteva fare e quello che non poteva fare.

Per esempio, vicino alla vasca dei pesci rossi c'era questo cartello:

«E' vietato a Ciliegino mettere le mani nella vasca».

E c'era anche quest'altro:

«E' vietato ai pesci rivolgere la parola a Ciliegino».

In mezzo alle aiuole fiorite c'erano cartelli come questo:

«Ciliegino non deve toccare i fiori, altrimenti restera senza frutta».

Oppure, come questo:

«Guai a Ciliegino se calpesta l'erba dovra scrivere duemila volte: io sono un ragazzo bene educato».

Questi cartelli erano un'idea di don Prezzemolo, che non era un prete, ma il precettore di Ciliegino.

Il nostro Visconte aveva chiesto alle nobili zie il permesso di andare alla scuola del villaggio, insieme a tutti i ragazzi che vedeva andare e tornare dalla scuola, agitando gloriosamente le cartelle come bandiere. Ma Donna Prima era inorridita:

— Un Conte del Ciliegio nello stesso banco di un contadino? Giammai!

Donna Seconda aveva ribadito:

I pantaloni di un Conte del Ciliegio sul legno di un volgare banco di scuola? Non sara mai!

Cosi era stato affittato un maestro privato, per l'appunto don Prezzemolo, chiamato a quel modo perche saltava sempre fuori da tutte le parti.

Se Ciliegino, nel fare il compito, osservava una mosca che era entrata in una macchia d'inchiostro e voleva imparare a scrivere, saltava fuori da chissa dove don Prezzemolo, si soffiava il naso in un fazzolettone a quadri rossi e azzurri e cominciava:

— Guai a quei ragazzi che guardano le mosche! Si comincia sempre cosi. Poi una mosca tira l'altra, si comincia a guardare anche il ragno, poi il gatto, poi tutti gli altri animali e ci si dimentica di studiare la lezione. Chi non studia la lezione non puo diventare un bravo bambino. Chi non diventa un bravo bambino non diventa un brav'uomo. E chi non e un brav'uomo va in prigione. Ciliegino, se non vuoi finire in prigione, smettila di guardare quella mosca.

Se Ciliegino apriva il suo albo per disegnare qualche bella figura, saltava fuori chissa da dove don Prezzemolo, si soffiava il naso e cominciava:

— Guai a quei ragazzi che perdono il tempo a disegnare le belle figure. Che cosa potranno diventare da grandi? Al piu al piu degli imbianchini, cioe persone sudice e malvestite che girano giorno e notte a insudiciare i muri e percio finiscono in prigione come si meritano. Ciliegino, vuoi tu finire in prigione?

Per paura della prigione, Ciliegino non sapeva a che santo votarsi.

Per fortuna qualche volta don Prezzemolo non poteva saltar fuori da nessuna parte, perche era andato a fare un pisolino o perche indugiava a tavola a discorrere con la bottiglia. In quei pochi istanti Ciliegino era finalmente libero. Don Prezzemolo se ne rese conto, e fece mettere tutti quei cartelli di cui ho parlato: con questo sistema, poteva dormire un'oretta di piu, sicuro che intanto il suo pupillo non perdeva tempo e, passeggiando per il parco, imparava utili lezioni.

Ma Ciliegino, quando passava vicino ai cartelli, si toglieva gli occhiali, cosi non vedeva quel che c'era scritto e poteva continuare tranquillamente a pensare ai casi suoi.

Mentre dunque Ciliegino passeggiava nel parco, si senti chiamare da due voci squillanti come campanelli.

— Signor Visconte! Signor Visconte!

Si mise gli occhiali e vide un ragazzo della sua eta, piuttosto malvestito ma dal viso chiaro e simpatico, e una ragazzina di forse dieci anni, coi capelli raccolti in un codino che le stava sempre in piedi sulla testa.

Ciliegino si inchino cerimoniosamente e disse:

— Buongiorno, signori. Io non ho l'onore di conoscerli, ma farei volentieri la loro conoscenza.

— Allora perche non vieni piu vicino?

— Non posso. Don Prezzemolo non vuole che io parli con i ragazzi del villaggio.

— Ma ormai abbiamo gia parlato.

— Quand'e cosi, vengo subito.

Ciliegino era timido e bene educato, ma nei momenti decisivi sapeva prendere decisioni eroiche. Entro decisamente nell'erba, calpestandola con tutta la forza delle sue gambette e si avvicino all'inferriata.

— lo mi chiamo Ravanella, — si presento la bambina. — E questo e Cipollino.

— Molto piacere, signorina. Molto piacere, signor Cipollino. Ho gia sentito parlare di lei dal Cavalier Pomodoro.

— Ecco uno che mi mangerebbe senza neanche condirmi.

— Proprio cosi. Appunto per questo mi sono figurato che lei doveva essere una simpaticissima persona. E vedo che non mi sono sbagliato.

Cipollino sorrise:

— Benissimo. Allora perche stai facendo tanti salamelecchi e mi dai del lei come se fossi un vecchio cortigiano in parrucca? Diamoci del tu.

Ciliegino si ricordo improvvisamente di un cartello che stava sulla porta del pollaio, e dove don Prezzemolo aveva fatto scrivere «Non si deve dar del tu a nessuno», perche aveva sorpreso una volta Ciliegino a conversare confidenzialmente con le galline. Tuttavia decise di passar sopra anche a quel cartello, com'era passato sopra l'erba e rispose:

— D'accordo. Diamoci del tu. Chissa come gli fischieranno le orecchie, a don Prezzemolo.

Risero tutti e tre allegramente. Sulle prime Ciliegino rideva appena appena con un angolo della bocca, ricordandosi di un cartello di don Prezzemolo che diceva— «E' vietato ridere il lunedi, il martedi, il mercoledi, il giovedi, il venerdi, il sabato e la domenica». Ma poi, vedendo Cipollino e Ravanella che ridevano senza ritegno, si lascio andare e rise a pieni polmoni.

Una risata cosi lunga e cosi allegra, al Castello del Ciliegio non si era mai sentita. Le nobili Contesse, in quel momento, sedevano nella veranda a bere il te.

Donna Prima udi la risata ed osservo:

— Sento uno strano rumore.

Donna Seconda accenno col capo:

— Lo sento anch'io. Dev'essere la pioggia.

— Ti faccio notare che non piove affatto, — disse Donna Prima, con aria sentenziosa.

— Se non piove, piovera, — ribatte Donna Seconda con decisone, alzando il capo per trovare conferma nel cielo. Il cielo pero era limpido come se fosse stato scopato e lavato dalla nettezza urbana cinque minuti prima: non

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