qualcuno lo aveva chiamato a rapporto: borbotto qualche parola di scusa e usci dall’ufficio. Judy lo osservava dalla finestra: attraverso il recinto e scese in strada dove lo attendeva un’auto molto grande e lussuosa. Appena si fu avvicinato una portiera si apri e ne scese un autista immenso, altissimo, che indossava l’uniforme che di solito, nei nostri pensieri, associamo a un coupe de ville del secolo diciannovesimo: la giacca abbottonata per tutta la lunghezza, color senape chiaro, pantaloni stretti al ginocchio e gambali di cuoio lustro.

«Il dottor Bridger?»

Portava occhiali scuri e aveva un accento straniero strascicato e indefinibile. L’auto era lucente e maledettamente bella, come un moderno aereo senz’ali. Due antenne radio, gemelle, si alzavano dalle pinne posteriori, alte piu di un uomo, anche di quell’uomo. L’insieme era assurdamente sproporzionato.

L’autista tenne aperta la portiera posteriore dell’auto mentre Bridger entrava. Il sedile era enorme: il pavimento ricoperto di un soffice tappeto, i finestrini tinteggiati in azzurro, e in un angolo era seduto un omino tarchiato dalla testa completamente calva.

L’omino tese una mano inanellata.

«Sono Kaufmann.»

L’autista torno al suo posto al di la del divisorio di vetro e l’auto si avvio.

«Le spiace se facciamo un giro qui attorno?» Non era possibile sbagliarsi sull’accento di Kaufmann: era tedesco, benestante e duro. «Nascono tanti pettegolezzi se si e visti in giro.»

Qualcosa ronzo dolcemente all’altezza del suo orecchio. Sollevo il ricevitore d’avorio che gli stava di fronte su una forcella. Bridger vedeva l’autista parlare in un microfono accanto al volante.

«Ja.» Kaufmann ascolto per un secondo, poi si volse a guardare fuori dal finestrino posteriore. «Ja, Egon, capisco. Giri in tondo, allora, va bene? Und Stuttgart… la comunicazione con Stoccarda.»

Rimise il ricevitore al suo posto e si rivolse a Bridger.

«L’autista dice che un tassi ci sta seguendo.» Bridger si guardo attorno nervosamente. Kaufmann rise o, almeno, mise in mostra i denti. «Non c’e motivo di preoccuparsi. Ci sono sempre dei tassi a Londra. Si accorgera che non andiamo da nessuna parte. Quello che importa e che io abbia la mia comunicazione con Stoccarda.» Estrasse un astuccio d’argento che conteneva dei cigarillos. «Fuma?»

«No, grazie.»

«Mi ha mandato un messaggio per telescrivente, a Ginevra.» Kaufmann prese un cigarillo. «Alcuni mesi fa.»

«Si.»

«Da allora non abbiamo piu avuto sue notizie.»

«Ho cambiato idea.» Bridger ebbe delle contrazioni nervose.

«E ora forse e giunto il momento di cambiarla ancora. Siamo rimasti molto perplessi, sa, negli ultimi mesi.» Parlava seriamente, ma in tono cordiale e tranquillo. Con aria colpevole, Bridger guardo ancora fuori dal finestrino posteriore.

«Non si preoccupi, davvero. Ci pensiamo noi.» Estrasse un accendino d’argento tempestato di pietre e aspiro accendendo il cigarillo. «C’era davvero un messaggio?»

«Si.»

«Da un pianeta?»

«Da un pianeta molto lontano.»

«Da Andromeda?»

«Esatto.»

«Be’, meno male che e a quella distanza.»

«Cosa e…» Bridger arriccio il naso al fumo del sigaro.

«Di che si tratta? Ora le spiego: in America, mi trovavo in America in quel periodo, erano tutti sossopra, in allarme. E anche in Europa, dappertutto. E poi il vostro governo dichiara: ‘Non e niente. Ve lo diremo tra un po’ di tempo.’ E cosi via. E la gente dimentica. I mesi passano e a poco a poco la gente dimentica. Ci sono altre cose di cui preoccuparsi. Ma c’e qualcosa, in realta.»

«Non ufficialmente.»

«No, no, ufficialmente non c’e altro. Abbiamo tentato, ma c’e un bel muro di silenzio. Tutti tengono la bocca chiusa.»

«Me compreso.»

Avevano fatto un mezzo giro di Regent’s Park. Bridger guardo l’orologio.

«Devo essere di ritorno per il pomeriggio.»

«Lavora per il governo inglese?»

Kaufmann fece la domanda come se si trattasse di una qualsiasi conversazione di cortesia.

«Faccio parte della loro squadra,» rispose Bridger.

«Lavora al messaggio?»

«La cosa non l’interessa.»

«Qualsiasi cosa che abbia una pur minima importanza ci interessa. E questa potrebbe essere di grande importanza.»

«Forse. E forse no.»

«Ma andra avanti, col lavoro? La prego, non assuma quell’aria misteriosa. Non sto cercando di estorcerle informazioni.»

«No, non andro avanti.»

«Perche?»

«Non voglio restare tutta la mia vita in un ufficio governativo.»

Oltrepassarono lo zoo e proseguirono verso Portland Place. Kaufmann, con aria soddisfatta, tirava boccate dal suo sigaro mentre Bridger attendeva. Quando svoltarono verso ovest, in Marylebone, Kaufmann disse:

«Le piacerebbe un lavoro piu redditizio, con noi?»

«Pensavo infatti a una cosa del genere,» confesso Bridger, abbassando gli occhi.

«Fin dall’incidente di Bouldershaw?»

«Ne era al corrente?» Bridger lo guardo fisso. «Da Oldroyd?»

«Naturale che lo sapevo.»

Era molto affabile, quasi affettuoso. Bridger torno a esaminarsi le scarpe.

«Non voglio nessuna grana.»

«Non dovrebbe lasciarsi scoraggiare cosi facilmente,» disse Kaufmann. «E al tempo stesso non deve mettere la gente sulle nostre tracce. Potremmo aver qualcos’altro per le mani.»

Svoltarono di nuovo verso nord, in Baker Street.

«Penso che dovrebbe restare dove si trova,» disse. «Ma dovrebbe tenersi in contatto con me.»

«Quanto?»

Kaufmann spalanco gli occhi.

«Come ha detto?»

«Se vuole che le passi le informazioni…»

«Incredibile, dottor Bridger,» rise Kaufmann. «Ma lei non ha un briciolo di tatto.»

Il telefono squillo e Kaufmann sollevo il ricevitore.

«Kaufmann. Ja. Ja. Das ist Felix?»

Fecero ancora due giri attorno al parco e poi fecero scendere Bridger a pochi metri dall’istituto. Judy osservava il suo ritorno, ma lui non le rivolse la parola. Diffidava terribilmente di lei.

Mezz’ora piu tardi il tassi che aveva seguito l’auto di Kaufmann si fermo di fronte a una cabina telefonica e ne scese Harries. Le sue gambe erano ancora incerottate e si muoveva rigidamente, ma lui si riteneva gia in grado di lavorare. Pago l’autista e si trascino fino alla cabina telefonica. Non appena il suo tassi si fu allontanato, un’altra macchina si fermo ad attenderlo.

Rispose al telefono l’assistente di Watling, un annoiato tenente di cavalleria (infatti, allora, il Ministero della Difesa era gia stato «integrato»).

«Capisco. Be’, farebbe bene a venire qui a fare il suo rapporto.»

Quando ebbe riattaccato il ricevitore entro maestosamente Watling, nervoso e seccato dopo un altro

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