«Che cosa stanno suonando, adesso?» ho domandato.
«
Mi sono sdraiato accanto a lei. «Non m’intendo molto di questo genere di musica. Devo rifletterci.»
«Non riflettere», ha bisbigliato Alice. «Sentila. Lascia che ti passi sopra come il mare senza cercare di capirla.» Si e distesa supina sull’erba e ha voltato la faccia nella direzione della musica.
Non avevo modo di sapere che cosa si aspettasse da me. Tutto cio era ben lungi dalle linee nette della soluzione dei problemi e dell’acquisizione sistematica delle conoscenze. Seguitavo a dirmi che il sudore sul palmo delle mani, la tensione nel torace, il desiderio di abbracciarla erano semplicemente reazioni chimiche. Seguivo addirittura l’andamento della sequenza stimolo-reazione che causava il mio nervosismo e la mia eccitazione. Eppure tutto rimaneva confuso e incerto. Dovevo abbracciarla o no? Si aspettava che io lo facessi? Si sarebbe adirata? Capivo che mi comportavo ancora come un adolescente e questo mi esasperava.
«Senta», le ho detto con voce soffocata, «perche non si mette piu comoda? Si appoggi alla mia spalla». Lei ha lasciato che l’allacciassi con il braccio ma non mi ha guardato. Sembrava troppo assorta nella musica per rendersi conto di quel che facevo. Desiderava che la stringessi in quel modo o si limitava a tollerarlo? Mentre facevo scivolare il braccio in basso, fino alla vita di lei, l’ho sentita tremare, ma continuava a guardare dalla parte dell’orchestra. Fingeva di concentrarsi sulla musica per non dover reagire ai miei movimenti. Voleva ignorare quello che stava accadendo. Fino a quando distoglieva lo sguardo da me e ascoltava, poteva fingere che la mia vicinanza, il mio braccio intorno a lei, fossero cose lontane dalla sua consapevolezza e dal suo consenso. Voleva ch’io facessi all’amore con il suo corpo mentre ella rivolgeva i pensieri a cose piu elevate. Mi sporsi bruscamente e la costrinsi a voltare il mento. «Perche non mi guarda? Sta fingendo ch’io non esista?»
«No, Charlie», ha bisbigliato. «sto fingendo di essere
Quando le ho toccato la spalla si e irrigidita e ha tremato, ma io l’ho tratta verso di me. Poi e accaduto. E cominciato come un ronzio cavernoso nelle orecchie… una sega elettrica… lontana. Quindi il gelo: braccia e gambe con la pelle d’oca e le dita che diventavano insensibili. A un tratto ho avuto la sensazione di essere spiato.
Un rapido mutamento di percezione. Ho veduto, da qualche punto nell’oscurita dietro un albero, noi due sdraiati, l’uno nelle braccia dell’altra.
Ho alzato gli occhi sorprendendo un ragazzo di quindici o sedici anni, accovacciato li accanto. «Ehi!» ho urlato. Mentre si alzava ho veduto che aveva i calzoni sbottonati ed era scoperto.
«Che cosa c’e?» ha ansimato Alice.
Sono balzato in piedi e il ragazzo e scomparso nell’oscurita. «Lo ha visto?»
«No», ha detto lei lisciandosi nervosamente la gonna. «Non ho visto nessuno.»
«In piedi proprio li. A guardarci. Cosi vicino da toccarla.»
«Charlie, dove stai andando?»
«Non puo essersi allontanato di molto.»
«Lascialo stare, Charlie. Non ha importanza.»
Ma aveva importanza per me. Mi sono messo a correre nell’oscurita, incespicando contro coppiette spaventate, ma non c’era modo di stabilire dove fosse andato.
Quanto piu pensavo a lui, tanto piu intensa diventava la sensazione di nausea che precede uno svenimento. Sperduto e solo in un gran deserto. E poi sono riuscito a farmi forza e ho ritrovato la strada fino al punto in cui sedeva Alice.
«Lo hai trovato?»
«No, ma c’era. L’ho visto.»
Lei mi ha guardato con un’aria strana. «Ti senti bene?»
«Staro meglio… tra un momento… E soltanto quel maledetto ronzio nelle orecchie.»
«Forse faremmo bene ad andare.»
Per tutto il tragitto di ritorno fino a casa sua ho pensato che il ragazzo era rimasto accovacciato li, nell’oscurita, e che per un attimo io ero riuscito a intravedere quel che lui vedeva… noi due sdraiati e abbracciati.
«Ti piacerebbe entrare? Potrei farti un caffe.»
Lo desideravo, ma qualcosa mi avvertiva di non farlo. «E meglio di no. Ho molto lavoro da sbrigare questa sera.»
«Charlie, e stato qualcosa che ho detto o fatto?»
«No, naturalmente. Soltanto, quel ragazzo che ci spiava mi ha turbato.»
Era in piedi, vicina a me, in attesa che la baciassi. Le ho passato il braccio intorno alla vita, ma e accaduto di nuovo. Se non me ne fossi andato subito sarei svenuto.
«Charlie, hai l’aria di non star bene.»
«Lo ha veduto, Alice? La verita…»
Lei ha scosso la testa. «No. Era troppo buio. Ma sono sicura…»
«Devo andare. Le telefonero.» E prima che potesse fermarmi mi sono scostato da lei. Dovevo uscire da quella casa prima che tutto franasse.
Ripensandoci, ora, sono sicuro che e stata un’allucinazione. Il dottor Strauss ritiene ch’io sia ancora in quella fase dell’adolescenza in cui l’essere vicino a una donna o il pensare al sesso scatenano ansia, panico, persino allucinazioni. E convinto che il mio rapido sviluppo intellettuale mi abbia ingannevolmente indotto a credere di poter avere una vita emotiva normalissima.
E invece devo accettare la realta: i timori e i blocchi causati da queste situazioni sessuali rivelano che emotivamente io sono ancora un adolescente… sessualmente ritardato. Vuol dire, suppongo, che non sono pronto ad avere rapporti con una donna come Alice Kinnian.
Non ancora.
Che cosa ho tatto per indurii a odiarmi tanto?
Non posso incolpare Donner. Egli deve pensare ai suoi affari e agli altri dipendenti. Eppure mi era piu vicino di un padre.
Mi ha chiamato nel suo ufficio, ha tolto le fatture e i conti dall’unica sedia accanto alla scrivania con il coperchio avvolgibile e senza alzare gli occhi e guardarmi ha detto: «Volevo parlarti. Questo e un momento buono quanto un altro».
Ora mi sembra sciocco, ma mentre sedevo li, fissandolo, basso di statura, grassoccio, con i radi baffi castano chiari che gli spiovevano comicamente sul labbro superiore, e stato come se i miei due io, il Charlie di un tempo e quello nuovo, sedessero su quella sedia, timorosi di cio che l’anziano signor Donner stava per dire.
«Charlie, tuo zio Herman era un mio buon amico. Ho mantenuto la promessa che gli feci di tenerti qui a lavorare, andassero male o bene le cose, in modo che non dovessero mai mancarti un dollaro in tasca e un letto in cui dormire, e non finissi di nuovo in quella clinica.»
«La panetteria e la mia casa…»
«E ti ho trattato come il mio figliolo che ha dato la vita per la patria. E quando Herman mori, quanti anni avevi tu allora? diciassette? sembravi piuttosto un bambino di sei anni, giurai a me stesso… mi dissi, Arthur Donner, finche avrai la panetteria e del lavoro ti occuperai di Charlie. Egli avra un posto in cui lavorare, un letto in cui dormire e un pezzo di pane in bocca. Quando volevano rinchiuderti in quella clinica Warren dissi loro che avresti lavorato alle mie dipendenze e che io avrei badato a te. Non passasti neppure una notte in quel posto. Ti trovai una stanza e mi occupai di te. Ebbene, l’ho mantenuta o no quella promessa solenne?»
Ho annuito ma mi sono accorto, da come piegava e tornava ad aprire le iatture, che si trovava in difficolta. E per quanto non volessi saperlo… lo sapevo. «Ho fatto del mio meglio per comportarmi bene. Ho lavorato sodo…»
«Lo so, Charlie. Non ho niente da rimproverarti per quanto concerne il lavoro. Ma ti e accaduto qualcosa e non capisco che cosa significhi. E non soltanto io. Ne hanno parlato tutti. Sono venuti qui una dozzina di volte in queste ultime settimane. Sono tutti turbati. Charlie, e necessario che ti lasci andare.»
Ho cercato di interromperlo, ma lui ha scosso la testa.
«Ieri sera e venuta da me una delegazione, Charlie. Io devo mandare avanti la baracca.»