con lei. Per la verita, parlai e parlai da intronarle le orecchie.
Elizabeth depose la matita e alzo la testa per guardarlo.
— Qualche volta eravamo molto vicini, e qualche volta no. Io avevo sempre il terrore di perderla. E un giorno, poco prima che ci laureassimo, lei mi disse, con molto tatto: «Ed, perche non ti rilassi e non mi porti in qualche posto a bere qualcosa? potremmo ballare un po', e fare una corsa in macchina, e potremmo fermarci da qualche parte, senza parlare». Non so cosa mi prese — fece Hawks. — In un batter d'occhio, mi accorsi che non ero piu innamorato di lei. E non l'avvicinai mai piu.
«Perche, esattamente? Non lo so. Soltanto perche pensavo di essere cosi meraviglioso che era impossibile non ascoltarmi? Non credo. Sapevo di parlare spesso a vanvera. Sapevo che ben poco di quel che avevo da dire era originale o interessante. E non parlavo mai con altri che lei. Faticavo a sostenere una conversazione con gli altri. Ma io l'amavo, Elizabeth, e lei mi aveva detto che non voleva piu starmi ad ascoltare, e cosi smisi di amarla. Fu come se si fosse trasformata in un cobra. Cominciai a tremare. Mi allontanai in tutta fretta, andai in camera mia… e me ne restai li seduto, a tremare. Dovette passare un'ora, prima che mi calmassi.
«Lei cerco parecchie volte di mettersi in contatto con me. E qualche altra volta, poco manco che andassi io a cercarla. Ma non servi a niente. Non ero piu innamorato. E avevo paura… Una volta, durante la guerra, fui bloccato da un incendio in laboratorio, e riuscii a fuggire appena in tempo. Per qualche istante, fui convinto di essere sul punto di morire. Quella fu l'unica volta in cui provai la stessa paura… Oh, si — disse. — Ho delle difficolta, con le donne.»
— Forse hai semplicemente paura di morire.
L'espressione di Hawks divenne infinitamente remota: tutto cambio, nell'atteggiamento del suo viso e del suo corpo. — Si — disse. — E vero.
Finalmente si alzo, con le mani in tasca, dopo essere rimasto a lungo seduto senza dire una parola. — E tardi. Sara meglio che vada.
Elizabeth alzo gli occhi dal suo lavoro. — Sei ancora occupato con quel tuo progetto?
Hawks sorrise, amaramente. — Credo di si. Penso che tutte le persone che mi servono domani si presenteranno al lavoro.
— Qualcuno resta a casa, il sabato?
— Oh? Domani e sabato?
— Pensavo che alludessi a questo.
— No. No, non ci pensavo. E dopodomani sara domenica.
Elizabeth inarco le sopracciglia e disse, innocentemente: — Di solito e cosi.
— Cobey sara sconvolto — stava dicendo Hawks, perduto nei suoi pensieri. — Dovra pagare gli straordinari ai tecnici.
— Chi e Cobey?
— Un uomo, Elizabeth. Un altro uomo che conosco.
Lei lo accompagno a casa, alla palazzina dai colori pastello, costruita verso la meta degli Anni Venti, dove Hawks aveva un appartamento molto funzionale.
— Non avevo mai visto dove abiti — disse lei, tirando il freno a mano.
— No — fece Hawks. Aveva il volto teso per la stanchezza. Rimase seduto, con il mento sul petto, le ginocchia contro il cruscotto. — E… — Indico con la mano l'edificio dal tetto di tegole, i muri segnati da crepe che erano state intonacate e ridipinte con grandi pennellate di vernice, piu fresca del colore originale. — E un posto.
— Non senti mai la nostalgia della campagna? Dei campi aperti? Dei boschi? Del cielo limpido?
— Non c'erano molti campi aperti — disse lui. — Erano quasi tutti allevamenti di pollame, e non si vedevano altro che pollai a uno o due piani. — Guardo fuori dal finestrino. — Pollai — ripete, poi torno a guardare Elizabeth. — Sai, i polli vanno spesso soggetti a malattie dell'apparato respiratorio. Sospirano e starnutano e russano, tutta la notte, a migliaia… un suono che incombe sui paesi, come il gemito di una folla lontana, desolata e piangente. I polli. Mi chiedevo se sapevano che cosa eravamo… perche li tenevamo nei recinti, li facevamo mangiare nei trogoli e bere ai rubinetti. Perche li proteggevamo dalla pioggia, e ci spezzavamo la schiena a portare loro il pastone. Perche ogni settimana entravamo nei loro pollai, e raschiavamo via il sudiciume e cercavamo di tenerli puliti il piu possibile. Mi chiedevo se lo sapevano, e se era per questo che gemevano nel sonno. Ma naturalmente i polli sono di una stupidita abissale. Tra tutte le cose viventi di questo mondo, soltanto l'Uomo pensa come l'Uomo.
Apri la portiera, si giro a mezzo per scendere, e poi si fermo. — Sai… Sai — ricomincio. — Parlo davvero moltissimo, quando siamo insieme. — La guardo con aria di scusa. — Dovrai essere annoiata a morte.
— Non mi dai fastidio.
Hawks scosse il capo. — Non riesco a capirti. — Le sorrise, gentilmente.
— Ti piacerebbe?
Lui sbatte le palpebre. — Si. Moltissimo.
— Forse anch'io provo lo stesso, nei tuoi confronti?
Hawks sbatte le palpebre di nuovo. — Beh — disse. — Beh, l'ho sempre dato per scontato, no? Non ci avevo mai pensato. Davvero. — Scosse il capo. Disse, malinconicamente: — Soltanto l'Uomo pensa come l'Uomo. — Scese dalla macchina e si fermo a guardarla. — Sei stata molto buona con me stasera, Elizabeth. Grazie.
— Voglio che mi chiami ancora, appena puoi.
Improvvisamente, Hawks aggrotto la fronte. — Si. Appena posso — disse con voce turbata. Chiuse la portiera e rimase a tambureggiare con le dita sul bordo del finestrino abbassato. — Si — disse, con una smorfia. — Il tempo continua a passare — obietto sottovoce. — Ti… ti chiamero — le disse, e si avvio verso la palazzina, a testa bassa, le braccia penzoloni lungo i fianchi, le grosse mani che si aprivano e si chiudevano al ritmo dei passi, l'andatura un po' irregolare, in modo che passo da una parte del marciapiedi all'altra, prima di arrivare all'uscio per raggiungere l'appartamentino.
Finalmente riusci ad aprire la porta. Si volto indietro e agito la mano, rigidamente, come se non fosse sicuro di avere davvero concluso la loro conversazione. Poi lascio ricadere il braccio, e spinse l'uscio.
PARTE SETTIMA
Il giorno dopo, Barker si presento al laboratorio con gli occhi arrossati. Le mani gli tremavano, mentre infilava le sottotute.
Hawks gli si avvicino. — Sono lieto di vederla qui — disse impacciato.
Barker alzo gli occhi e non disse nulla.
Hawks prosegui: — E sicuro di sentirsi bene? Se no, possiamo rimandare a domani.
Barker ribatte: — La finisca di preoccuparsi per me.
Lo scienziato si mise le mani in tasca. — Bene. E stato a parlare con gli specialisti del percorso?
Barker annui.
— E riuscito a dare loro un resoconto chiaro dei risultati di ieri?
— Sembravano felici. Perche non aspetta che abbiano rimuginato tutto a dovere e le mettano i rapporti sulla scrivania? Che cosa le importa di quello che trovo lassu, purche io continui ad avanzare, e non impazzisca? Non e giusto? A lei non importa quello che succede a me: non faccio altro che aprire una pista, in modo che i suoi bravi tecnici non inciampino in qualcosa quando saliranno per fare a pezzi la formazione, giusto? Percio che cosa le interessa, a meno che perda me e debba trovarsi qualcun altro? Giusto? E come ci riuscirebbe? Per quanti individui pensa che Connington stia facendo piani? Non piani che portino qui, giusto? Quindi, perche non mi lascia in pace?
— Barker… — Hawks scosse il capo. — No, lasci perdere. Parlare non serve.
— Mi auguro che rimanga di questa idea.
Hawks sospiro. — Sta bene. C'e una cosa: questa storia continuera giorno per giorno, ormai, se le condizioni astronomiche lo permetteranno. Continuera fino a quando lei uscira dall'altra parte della formazione. Una volta incominciato, sara difficile perdere lo slancio. Ma se in qualunque momento vorra interrompersi… prendersi un po' di riposo, lavorare sulle sue macchine da corsa, qualunque cosa… se sara possibile glielo