addormentato. — Be’, certo e una buona idea. Non devi rovinare la tua grande occasione. Ma onestamente non capisco cosa c’entro io.

— Ecco cosa, Nels: non mi avevi detto che una volta eri nei Consumisti Anonimi?

— Si, certo. Anni fa. Pero ne sono uscito, perche non ne avevo piu bisogno, quando mi sono rimesso in sesto e ho cominciato con le collezioni… ah! — disse, illuminandosi. — Ho capito! Vuoi che ti dica com’e, per decidere se provare anche tu.

— Quello che voglio, Nels, e andare ai Consumisti Anonimi. E voglio che tu mi ci porti.

Lui guardo con desiderio il letto caldo e invitante. — Accidenti, Tenny. E aperto a tutti. Non occorre che ti ci porti io.

Scossi la testa. — Mi sentirei meglio se andassi con qualcuno — confessai. — Per favore. E presto. So che domani sera c’e una riunione…

Lui si mise a ridere. Quando ebbe finito di ridere, mi batte sul braccio. — Hai un sacco di cose da imparare, Tenny. C’e una riunione ogni sera. E cosi che funziona. E adesso se vuoi darmi le calze…

Nels Rockwell era fatto cosi. Mentre si stava vestendo, pensai a come potevo restituirgli il favore. Avrei dovuto lasciare quel buco in condominio, naturalmente. Perche non pagare due o tre mesi in anticipo, e lasciarlo a lui per quel tempo, in maniera che potesse scegliersi il momento migliore per dormire? Sapevo che doveva fare il turno di notte proprio per questo; cosi avrebbe potuto premere un altro turno, magari guadagnare qualcosa in piu…

Ma mi trattenni. Non faceva bene a un consumatore, mi dissi, fargli venire delle idee piu grandi di lui. Se la cavava benissimo cosi. Potevo fargli piu male a interferire.

Cosi tenni la bocca chiusa, ma in fondo al cuore gli ero davvero grato.

I Consumisti Anonimi si rivelarono una cattiva idea. Me ne accorsi nel giro di due minuti. Il posto dove Rockwell mi aveva portato era una chiesa.

Non che ci sia niente di male, in se. Anzi, era abbastanza interessante: non ero mai stato dentro una chiesa, prima. Inoltre, potevo considerarla una specie di ricerca per il mio lavoro agli Intangibili, il che significava che potevo farmi rimborsare il taxi (anche se Rockwell avrebbe voluto prendere il pedibus).

Ma la gente! Non erano solo consumatori. Erano la feccia dei consumatori: vecchietti rinsecchiti con tic facciali; ragazze grassocce e accigliate, con quel tipo di pelle che viene a mangiare soia solida; e poca anche di quella. C’erano due giovani sposi che parlavano nervosamente fra di loro, a bassa voce, con un bambino in mezzo che urlava freneticamente senza che nessuno li badasse. C’era un uomo con la faccia da furetto, fermo vicino alla porta, come se non riuscisse a decidersi se andarsene o rimanere… be’, anche per me era lo stesso. Quella gente erano dei perdenti. Un consumatore bene addestrato e una cosa. Ma quelli esageravano. Erano stati allevati e istruiti a fare quello che il mondo chiedeva da loro: comprare le cose che noi delle Agenzie avevamo da vendere. Ma che facce ebeti, stordite! Cio che faceva il buon consumatore era la noia. La lettura era scoraggiatale case non erano una gioia a stare… cos’altro potevano fare delle proprie vite, se non consumare? Ma quella gente aveva fatto una parodia di questa nobile (be’, abbastanza nobile) missione. Erano ossessionati. Quasi uscii a cercare una Mokie, per togliermi di dosso i brividi che mi davano, ma visto che ero venuto fin li, decisi di rimanere per la riunione.

Quello fu il mio secondo errore, perche il seguito fu disgustoso. Per prima cosa, dissero una preghiera. Poi cominciarono a cantare alcuni inni. Rockwell mi diede una gomitata, facendomi segno di unirmi, mentre gracchiava con quanto fiato aveva in gola, ma io non ebbi neppure il coraggio di guardarlo in faccia.

Poi fu ancora peggio. Uno dopo l’altro, quei poveri disgraziati si alzarono e cominciarono a singhiozzare le loro squallide storie. Quella si era rovinata la vita a forza di masticare Nic-O-Chew, quaranta pacchetti al giorno, finche le erano caduti i denti, ed era stata licenziata perche non poteva piu fare il suo lavoro… che era quello di telefonista. Quell’altro era diventato maniaco di deodoranti e dei rinfresca-alito, e aveva cancellato a tal punto ogni traccia di esalazioni corporee che adesso aveva la pelle screpolata e le mucose secche. La coppia col bambino frignante… erano mokomani come me! Li guardai esterrefatto. Come avevano fatto a lasciarsi cadere cosi in basso? Sicuro, anch’io avevo un problema con le Mokie. Ma il solo fatto di essere li significava che stavo facendo qualcosa per quel problema. In nessun modo mi sarei lasciato ridurre a dei rottami come loro due. — Forza Tenny — mormoro Rockwell, dandomi una gomitata. — Non vuoi testimoniare?

Non so cosa gli dissi, eccetto che era compresa la parola «arrivederci». Scivolai fino alla porta; avevo bisogno di aria. Mentre ero fermo sull’entrata, respirando a pieni polmoni, l’uomo con la faccia da furetto mi raggiunse. — Diavolo — disse sogghignando furtivamente, — ho sentito quello che diceva il vostro amico. Vorrei averlo io il vostro problema, invece del mio.

A nessuno piace sentirsi dire che la propria croce e meno pesante di quella di uno sconosciuto. Non fui cortese. Dissi: — Il mio problema e brutto abbastanza per me, grazie. — Per qualche ragione, mi sentivo la mente confusa in quel momento. Provavo contemporaneamente mezza dozzina di desideri e di avversioni separate… il bisogno disperato di una Mokie, il disprezzo per quei fantocci di Consumisti Anonimi, un fastidio acuto per Faccia- di-Furetto, il desiderio ardente di Mitzi Ku che mi prendeva di tanto in tanto… e sotto tutto questo, qualcos’altro che non riuscivo a identificare. Un ricordo? Un’ispirazione? Una decisione? C’era qualcosa che mi sfuggiva. Aveva a che fare con quello che stava succedendo dentro… no, qualcosa che era successo prima, qualcosa che aveva detto Rockwell?

Faccia-di-Furetto, mi resi conto all’improvviso, mi stava sibilando nell’orecchio. — Cosa? — sbraitai.

— Ho detto — ripete lui, nascondendosi la bocca con la mano e guardandosi intorno, — che conosco uno che ha quello che vi serve: pillole anti-Mokie. Tre al giorno, una ogni pasto, e non avrete piu bisogno della Mokie.

— Mio Dio — gridai, — mi state offrendo una droga? Io non sono un consumatore. Lavoro in un’Agenzia, io! Se vedo un poliziotto, vi faccio mettere dentro… — E in effetti mi guardai in giro alla ricerca di un’uniforme della Brinks o della Wackerhut; ma come al solito, non c’e mai un poliziotto quando ne hai bisogno, e in ogni modo quando tornai a guardare, Faccia-di-Furetto era sparito.

E cosi pure la mia idea, qualsiasi fosse stata.

I reni umani non sono fatti per sopportare quaranta Mokie-Koke al giorno. Ci furono dei momenti, nelle ventiquattr’ore seguenti, in cui mi chiesi se dopo tutto Faccia-di-Furetto non avesse avuto una buona idea. Alcune caute indagini alla clinica dell’Agenzia (oh, com’erano gentili con me adesso!) solidificarono le nozioni vaghe che avevo in testa. Le pillole furono una brutta notizia. Funzionavano, ma dopo un po’, forse sei mesi, forse meno, forse piu, il sistema nervoso cedeva e alla fine c’era il collasso. Questo non lo volevo. E vero, avevo perso peso, e la mia faccia, allo specchio, quando mi depilavo, mostrava nuovi segni di tensione ogni mattina; ma funzionavo ancora discretamente.

No, diciamo la verita: funzionavo magnificamente. Tutte le statistiche mostravano che la Religione era in crescita: bastoncini di incenso, piu 0,03; candele piu 0,02; un’indagine campione su trecentocinquanta tempi zoroastriani scelti a caso mostrava un aumento dei fedeli mattutini di quasi l’uno per cento. Il Vecchio in persona mi mando a chiamare. — Avete fatto colpo sul Comitato di Pianificazione — tuono. — Tarb, vi faccio tanto di cappello! Cosa possiamo fare per facilitarvi il lavoro? Volete un altro assistente?

— Ottima idea, signore! — dissi subito, e aggiunsi senza pensarci due volte: — Cosa sta facendo di bello Dixmeister?

E cosi il mio vecchio apprendista torno a far parte della mia squadra. Apprensivo, servizievole, pieno di scuse… consumato dalla curiosita. Proprio come lo volevo io.

E non era il solo ad essere divorato dalla curiosita, perche tutti nell’Agenzia sapevano che stava succedendo qualcosa di grosso, ma nessuno sapeva cosa. Il bello era che nessuno sapeva quanto poco io stesso sapevo. Direttori di sezione e capi redattori, sulla strada fra il nono e il quindicesimo piano, decidevano una dozzina di volte al giorno di prendere la scorciatoia attraverso il mio ufficio. Per pura cortesia si fermavano a battermi sulla spalla e a dirmi come tutti parlavano bene del mio lavoro… e che dovevamo vederci, a cena, o a bere qualcosa, o per fare un giro al club. Io sorridevo, e non accettavo alcuni invito. Ma neppure li respingevo, perche se avessero insistito troppo, avrebbero scoperto quanto in effetti ero ignorante. Cosi mi limitavo a dire: — Sicuro! — e: —

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