compagnia dei miei pari… be’, quasi pari. Non mi snobbarono neppure. Anzi, quando finalmente Mitzi apparve e si guardo attorno per cercarmi, ebbi delle difficolta a districarmi e a trovare un tavolo tranquillo per due.
Lei era accigliata (era sempre accigliata negli ultimi tempi e sembrava nervosa. Aspetto che ordinassi il suo drink preferito: Mimosa, con champagne quasi autentico e succo d’arancia ricostituito, poi mi chiese: — Allora, cos’e questa cosa di mia madre?
— Mi ha chiamato, Mitzi. Mi ha detto che ha cercato di parlare con te fin da quando sei tornata, ma senza fortuna.
— Ma le ho parlato!
— Si, una volta. Il giorno dopo essere atterrata. Per tre minuti, ha detto…
— Ero occupata!
— …e da allora non l’hai piu richiamata.
C’erano almeno mezza dozzina di solchi sulla fronte ad avvertirmi, e la sua voce era gelida. — Tarb, parliamoci chiaro. Sono maggiorenne. I miei rapporti con mia madre non sono faccende che ti riguardano. E una vecchia impicciona, ed e per meta a causa sua che me ne sono andata su Venere, e se non voglio parlarle, nessuno mi obbliga a farlo. Chiaro? — I liquori arrivarono, e lei afferro il suo. Prima di portarlo alle labbra aggiunse: — La chiamero la prossima settimana — e trangugio meta Mimosa.
— Non e male — ammise.
— Io lo so far meglio — osservai. Pensando:
— Tenny — disse, — c’e qualcosa in te che mi attrae moltissimo…
— Grazie, Mitzi.
— La tua stupidita, credo — continuo senza badare a quello che avevo detto. — Si. E questo. Stupido e indifeso. Mi ricordi un topolino smarrito.
Provai a dire: — Solo un topolino? Non un gattino, almeno?
— I gattini crescono e diventano gatti. I gatti sono predatori. Credo che la cosa che mi piace di piu di te e che hai perso le unghie da qualche parte. — Non mi stava guardando. Teneva gli occhi sulle luci nebbiose della citta. Avrei dato un braccio per sapere quali frasi si stavano formando nella sua mente in quel momento, quelle che lei aveva bloccato prima che le uscissero dalle labbra. Sospiro. — Ne vorrei un altro — disse, ritornando nel mondo in cui c’ero anch’io.
Chiamai il cameriere, e gli mormorai qualcosa all’orecchio, mentre lei scambiava sorrisi e cenni della testa con dirigenti vari. — Mi dispiace di essermi intromesso nella questione di tua madre — dissi.
Lei alzo le spalle con aria assente. — Ho detto che la chiamero. Non parliamone piu. — Il suo viso si schiari. — Come va il tuo lavoro? Ho sentito che il tuo nuovo progetto ha ottime prospettive.
Mi strinsi modestamente nelle spalle. — Ci vorra ancora un po’ prima che possiamo dire se vale qualcosa.
— Sara un successo, Tenn. Fino ad allora rimarrai nel ramo Religione?
Dissi: — Be’, si, ormai me la cavo bene con quella. Credo che comincero a seguire qualche altro corso, per accelerare la mia laurea.
Lei annui, come se fosse d’accordo, ma disse: — Hai mai pensato di passare alla Politica?
Questo mi sorprese. — Politica?
Lei disse pensierosamente: — Non posso irti molto, per ora, ma potrebbe essere utile se cominciassi a metterci il naso.
Sentii un brivido corrermi lungo la schiena. Stava parlando del
Lei scosse la testa. — Tu ce l’hai, Tenny. Io ho qualcos’altro da fare. — Vide la delusione sulla mia faccia. Sembro dispiaciuta anche lei. Osservo il cameriere che portava la seconda ordinazione, poi disse: — Tenny, lo sai che ho un sacco di cose per la testa in questo momento…
— Capisco perfettamente, Mitzi!
— Credi davvero? — Ancora quell’espressione pensierosa. — Comunque, capisci che sono occupata. Pero non so se capisci cosa sento per te.
— Del bene, spero!
— Del bene e del male, Tenny — disse lei tristemente. — Del bene e del male. Se avessi un po’ di buon senso…
Ma non mi disse cosa avrebbe fatto se avesse avuto un po’ di buon senso, e dal momento che sospettavo quello che poteva essere, lasciai la frase in sospeso. — Alla tua salute — disse, esaminando la nuova Mimosa come se fosse una medicina, prima di berla.
— Alla tua — dissi, sollevando il mio bicchiere. Non era una Mimosa. Non era neppure un Caffe Irlandese, anche se lo sembrava. In cima c’era il normale strato di Quasicrema montata, ma quello che c’era sotto era la cosa che avevo mandato il cameriere a prendere nel mio ufficio: un decilitro di Mokie-Koke
5
La mattina seguente, per prima cosa, feci schioccare le dita. Dixmeister si materializzo istantaneamente sulla soglia, aspettando ordini o un invito a entrare e sedersi. Non gli diedi ne gli uni ne l’altro. — Dixmeister — dissi, — la Religione sta procedendo egregiamente adesso, percio ho deciso di passarla a… come si chiama?…
— Wrocjek, signor Tarb?
— Appunto. Ho un paio di giorni liberi, cosi voglio mettere la Politica sul binario giusto.
Dixmeister si mosse a disagio. — Be’, in effetti, signor Tarb — disse, — da quando il vecchio signor Sarms se n’e e andato, mi sono occupato quasi sempre io della Politica.
— E proprio questo che dobbiamo raddrizzare, Dixmeister. Voglio che tutti i rapporti e i progetti vengano convogliati sul mio monitor per l’approvazione, e li voglio questo pomeriggio. No, fra un ora… no, pensandoci meglio, facciamolo subito.
Lui comincio a balbettare: — Ma… ma… — Sapevo qual era il problema; c’erano almeno cinquanta memorie separate da esaminare, e prepararne un riassunto decente richiedeva almeno mezza giornata di lavoro. Ma di questo mi importava poco o niente.
— Datti da fare, Dixmeister — dissi con aria benevola, appoggiandomi allo schienale e chiudendo gli occhi. Ah, come mi sentivo bene.
Mi ero quasi dimenticato di essere un mokomane.
Dicono che la Mokie-Koke dopo un po’ comincia ad avere degli strani effetti sulle decisioni che uno prende. Non e che non si riesca a prendere decisioni. Non e neanche che uno le prenda sbagliate. Quello che succede, e che uno si sente cosi preso dai suoi problemi che una decisione non gli basta piu. Ne prende una, poi un’altra, poi un’altra ancora, e quando una persona normale non riesce piu a tenergli dietro, il che capita sempre, perde la calma. Dixmeister probabilmente pensava che era proprio questo che mi stava succedendo, perche lo trattavo bruscamente piuttosto spesso. Ma io non ero preoccupato. Sapevo che
La prima cosa di cui mi occupai fu il dipartimento CAP. Sapete tutti cos’e un Comitato d’Azione Politica. E un gruppo di persone con un interesse particolare, disposte a tirar fuori i soldi per corrompere (be’ diciamo