molto, m effetti perche aveva la testa e la faccia avvolta nelle fasce, e sembrava conciato davvero male. — Tenny! — grido. — Come sono contento di vederti! Ma cosa ti e successo, sembri conciato davvero male! — Quando gli tornai il complimento, lui alzo le spalle imbarazzato. — Oh, niente di serio, sono restato un po’ indietro con i pagamenti. Ma cosa fai qui fuori? Perche non sei entrato e mi hai svegliato?

Be’, la vera ragione era che non volevo vedere chi aveva preso il mio posto nel turno di sonno dalle dieci alle sei. Lasciai perdere la domanda. — Nels — dissi, — devo chiederti un favore. Cioe, lo stesso di prima. Mi porteresti ai Consumisti Anonimi?

Lui apri due volte la bocca, e per due volte la richiuse senza dire mente. Non ce n’era bisogno. La prima cosa che stava per dire, era che potevo andarci da solo, e l’aveva gia detta una volta. La seconda, ne ero quasi certo, era che forse ormai ero arrivato troppo lontano perche i Consumisti Anonimi potessero servirmi a qualcosa; forse l’ospedale era l’idea migliore. La terza volta, il censore gli fece passare quello che voleva dire. — Be’, accidenti, Tenny, non so. Il gruppo si e un po’ sfasciato… ci sono queste nuove associazioni, e un sacco di membri preferiscono la sostituzione all’astinenza. — Rimasi con la bocca chiusa e la faccia inespressiva. — Comunque… — disse, e poi si illumino. — Be’, accidenti, Tenny, a che servono gli amici? Certo che ti porto! — E insistette lui perche prendessimo un peditaxi, e pago la corsa.

Vedete, io non mi sarei immaginato una gentilezza simile da parte di Rockwell. Tutto quello che volevo da lui era un piccolo favore, cosi piccolo che non avrebbe neppure saputo cos’era. Considerazione, tatto, generosita… erano piu di quanto cercassi, e piu di quanto volessi accettare; se uno accetta piu generosita di quanta se ne possa permettere colui che la offre, si crea un debito che io non volevo ripagare. Percio lasciai che il suo tatto si scontrasse con un muro di sorrisi, cordialita, riservatezza, superiorita; e rifiutai la sua generosita: no, non avevo bisogno di venti dollari finche non mi fossi sistemato. No, davvero, avevo gia mangiato, non c’era bisogno di fermarci per un soyaburger. Risposi in maniera cortese ma scoraggiante alle sue aperture, e quanto a conversazione, mi limitai ad osservare quanto si fossero degradati i quartieri che attraversavamo, o a far notare che la donna che tirava a destra il taxi zoppicava alla gamba sinistra, su una salita non molto ripida. (Mentre mi chiedevo se questo l’avrebbe costretta a lasciare il lavoro, e a chi potevo rivolgermi per sostituirla.)

La chiesa era squallida come l’ultima volta che l’avevo vista, e i fedeli molto meno numerosi; il mio piccolo progetto aveva evidentemente sortito il suo effetto. Ma la fortuna non mi aveva del tutto abbandonato. La persona che avevo sperato di vedere c’era. Dopo dieci minuti di esortazioni dal pulpito e di accorati voti di astinenza dai disgraziati del pubblico, mi scusai un momento, e quando tornai avevo cio che mi serviva.

Tutto quello che volevo a questo punto era andarmene. Ma non potevo. Non ero incorso volontariamente nel debito di cortesia con Nelson Rockwell, ma ormai l’avevo contratto.

Cosi rimasi con lui fino alla fine, e lasciai perfino che comprasse i soyaburger. Fu un errore. Volle offrirmi ancora il suo aiuto. — No, Nels, non voglio prendere in prestito soldi — dissi. — Soprattutto dal momento che non so quando potro restituirteli.

— Capisco — disse lui con aria grave, leccandosi il succo del burger dalle dita. — E difficile trovare dei buoni lavori. — Alzai le spalle, come se il problema per me fosse di decidere quale offerta accettare. Ce n’era solo una. Inserviente in un istituto di custodia per i lobotomizzati, e non avevo nessun problema a rifiutarlo: chi ha voglia di cambiare i pannolini a un criminale di quarant’anni, condannato per rottura di contratto? — Senti — disse, — forse potrei farti entrare nella mia fabbrica. Naturalmente non si guadagna molto… per uno come te, cioe.

Sorrisi, con aria di condiscendenza. Lui sembro mortificato. — Immagino che tu abbia delle offerte dalle Agenzie, eh Tenny? Quella tua amica, ho sentito che ha una sua Agenzia. Adesso che sei nei CA, e il tuo problema e sotto controllo, presto ritornerai in cima.

— Certo — dissi, guardandolo mentre immergeva l’ultimo pezzetto di soyaburger nel Caffeissimo. — Ma per il momento… Quanto pagano esattamente nella tua fabbrica?

E cosi, prima di prendere la metropolitana verso Bensonhurst, avevo la promessa di un lavoro. Non un buon lavoro. Neppure un lavoro passabile. Ma l’unico lavoro in vista.

Nella luce intermittente del tunnel del metro, tirai fuori la bottiglietta di plastica che avevo comprato dall’uomo dalla faccia di furetto, fuori dalla chiesa. C’era un forte vento, e la aprii con cautela. Mi era costata troppo per rischiare di farmi soffiare via il contenuto.

Con quelle, probabilmente, avevo il problema sotto controllo. Almeno per un po’.

Guardai la pastiglia verde a lungo. Dicevano che in sei mesi uno diventa pazzo, e dopo un anno muore.

Tirai un profondo respiro e la mandai giu.

Non so cosa mi aspettassi. Un senso di liberazione, di benessere.

Quello che sentii fu quasi niente. Potrei descriverlo come un lieve formicolio, poi l’assenza di ogni sensazione. Anche se avevo preso l’ultima Mokie tre ore prima, non ne sentivo piu la necessita.

Oh, ma come era grigio il mondo!

— Noi fabbrichiamo anelli di tenuta, e li fabbrichiamo a poco prezzo — disse il signor Semmelweiss. — Questo significa che non ci devono essere scarti. Questo significa che non possiamo correre il rischio di avere dei pasticcioni che lavorano. Ci sono in ballo troppi soldi. — Scruto con aria di disapprovazione il mio curriculum. Non potevo vedere lo schermo da dove stavo, ma sapevo cosa c’era scritto. — D’altra parte — continuo, — Rockwell e uno dei miei uomini migliori, e se lui dice che siete a posto…

Cosi ebbi il lavoro. Per quella ragione e per altre due. Prima ragione: la paga era schifosa; avrei preso di piu con i lobotomizzati, anche se in fabbrica non rischiavo di farmi morsicare le dita mentre davo da mangiare a qualcuno. Seconda ragione: Semmelweiss ci provava un gran gusto a far vedere ai visitatori il suo operaio- pubblicitario. Mentre trascinavo via scatole piene, e mettevo sotto la macchina quelle vuote, lo vedevo nel suo cubicolo con le pareti di vetro, all’estremita dello stanzone, che mi indicava. E rideva. E la gente che era con lui, clienti o azionisti, o quello che erano, sorridevano increduli.

Non mi importava.

No, non e vero. Mi importava, e molto. Ma meno di quanto mi importasse tenermi stretto il lavoro, fino a quando non avessi trovato un modo per tornare alla mia vita di prima. Le pillole verdi erano forse il primo passo. Forse. E vero che non bevevo piu Mokie. Ma quello era l’unico vantaggio. Non avevo riacquistato nessun peso, non mi ero liberato di quella tensione che mi faceva contrarre continuamente le dita, e rivoltarmi sul materassino, fino a quando, certe volte, svegliavo uno dei bambini, e sentivo i genitori brontolare e parlottare fra loro. Ma la maggior parte era dentro di me, dove non si vedeva, e la mia mente era piu attiva che mai. Sognavo grandi slogan, campagne pubblicitarie, nuovi prodotti. Feci passare tutte le Agenzie, mandando il mio curriculum, chiedendo un colloquio, telefonando ai capi del personale. I curriculum non ricevevano alcuna risposta. Quando telefonavo, mi riappendevano l’apparecchio. Le mie visite finivano quando mi sbattevano fuori. Le provai tutte, le grandi e le piccole. Tutte tranne una.

Ci andai vicino. Arrivai fino al marciapiede davanti al piccolo edificio anonimo, vicino al vecchio Lincoln Center, che ospitava la nuovissima Agenzia Haseldyne & Ku. Ma non entrai.

Non so cosa mi facesse andare avanti, perche certamente non era l’ambizione, e ancor meno le soddisfazioni che trovavo nella vita. La grigia insensibilita teneva lontano il dolore e il desiderio, ma era altrettanto efficace contro il piacere e la gioia. Dormivo. Mangiavo. Lavoravo ai miei curriculum e alle nuove idee. Facevo il mio lavoro in fabbrica. Un giorno seguiva all’altro.

Certamente non c’era niente di affascinante nella fabbricazione degli anelli di tenuta. Era un lavoro noioso, e l’industria pareva moribonda. Non vedevamo mai il prodotto finito. Gli anelli venivano spediti via nave a Calcutta o in Cambogia per essere utilizzati sa Dio come. Per gli Indiani e i Cambogiani era piu economico comprarli da noi che farseli da soli, ma non molto, e percio gli affari non andavano gran che bene. Durante la mia prima settimana chiusero la divisione plastica rinforzata, anche se l’alluminio estruso e l’ottone smaltato tiravano ancora. Ai piani superiori c’era un sacco di spazio inutilizzato, e durante le pause del lavoro andavo a curiosare. Nella stratigrafia della vecchia fabbrica si poteva leggere la storia dell’industria. I fori dei bulloni, sul pavimento, dove un tempo c’erano state le presse… poi i solchi delle linee di estrusione ad alta velocita… cancellate a loro volta dai segni delle macchine automatiche, controllate da microprocessori… soppiantate ora dalle nuove presse manuali. Il tutto coperto di polvere, ruggine e muffa. C’erano molte lampade al soffitto, ma premendo il pulsante se ne accendevano solo alcune, vecchi tubi al neon, e la maggior parte funzionavano a intermittenza. C’era posto per far dormire un reggimento di persone, ma il signor Semmelweiss inseguiva il sogno di inquilini piu «desiderabili»… o

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