sotto terra, per evitare che evapori di nuovo dopo aver percorso i primi tre metri. Quinto, sono necessarie piante geneticamente adattate, che possano assorbire quell’acqua negli steli e nelle foglie prima che evapori. E un miracolo che ci riescano, considerato specialmente che non hanno molta forza lavoro da sprecare per grossi progetti. Ci sono solo ottocentomila Venusiani circa, in tutto.

Eppure, e questa e la cosa assurda, se prendete il tram fino alle Colline Russe, la prima cosa che vedrete nel parco sara una squadra di sei uomini che lavora ventiquattr’ore su ventiquattro, arrampicata su quelle rocce aguzze, con bidoni da cinquanta chili di diserbante sulla schiena, intenti a estirpare ogni cosa verde!

Matti? Certo che sono matti. E la pazzia conservazionista portata alle estreme conseguenze: vogliono mantenere la zona intorno a Venera nelle esatte condizioni in cui era quando la sonda e atterrata. Ma in effetti non c’e da sorprendersi. — Se i Venusiani non fossero matti, se ne sarebbero restati sulla Terra fin dall’inizio — dissi a Mitzi mentre viaggiavamo sul tram sferragliante. — Guarda in che razza di porcili vivono! — Stavamo attraversando i sobborghi della citta. Era una zona residenziale di alta classe, eppure si vedevano dappertutto erbacce e case di plastica pressata; non avevano nemmeno l’Astro-Erba!

Mi venne in mente che forse parlavo a voce un po’ alta. Gli altri passeggeri, tutti Venusiani, si erano voltati a guardarmi. Non c’era da stare molto allegri. I Venusiani sono quasi tutti grandi e grossi, piu alti ancora di Mitzi, di solito, e sembrano orgogliosi della loro pelle bianca come la pancia di un pesce. Naturalmente non prendono mai il sole. Pero potrebbero usare lampade ultraviolette, come facciamo tutti noi, compresa Mitzi, che non ne avrebbe bisogno con la pelle che ha.

— Sta’ attento a quello che dici — mormoro Mitzi nervosamente. La famiglia seduta di fronte a noi, padre, madre e quattro (si, ho detto quattro!) bambini, si volto a guardarci, con espressione poco amichevole. Noi non siamo molto simpatici ai Venusiani. Ci credono degli imbroglioni, venuti a derubarli. C’e da ridere, perche non hanno niente che valga la pena di rubare. Se ci interessiamo dei loro affari, e per il loro bene. Solo che loro non sono abbastanza intelligenti per capirlo.

Per fortuna eravamo entrati nel tunnel che attraversa l’anello di montagne attorno alle Colline Russe. Tutti si prepararono a scendere. Mentre stavo per alzarmi, Mitzi mi diede una gomitata, e vidi un Venusiano grande e grosso, con gli occhi verdi, i capelli rossi e quell’orribile pelle biancastra, che mi guardava storto. Seguendo il muto consiglio di Mitzi, rivolsi al Venusiano un gran sorriso che voleva dire: scusatemi tanto per la mancanza di tatto, e scesi dopo di lui. Mentre compravo una guida, Mitzi ferma vicino a me guardo allontanarsi l’uomo con la testa- semaforo. — Guarda qui — dissi aprendo la guida, ma Mitzi non mi stava ascoltando.

— Sai — disse, — credo di averlo gia visto. L’altro ieri. Alla dimostrazione.

— Andiamo, Mitzi! C’erano cinquecento dimostranti. — E forse erano stati anche di piu. Avrei giurato che mezza Venere si fosse raccolta fuori dall’ambasciata, con quei loro stupidi cartelli: «Abbasso la pubblicita!» e «Riportatevi a casa la vostra spazzatura!». Non che mi importasse molto delle manifestazioni, ma… che patetico dilettantismo in quegli slogan! — Sono matti — dissi, volendo intendere non che erano matti perche pensavano che noi volessimo usare con loro le nostre tecniche pubblicitarie, ma perche la cosa li sconvolgeva… come se ci fosse la minima possibilita che, alla prima occasione, non l’avremmo fatto.

Con «matti» mi riferivo anche alla loro incompetenza come inventori di slogan, ed era quello che volevo mostrare a Mitzi. Mi guardai intorno, nella rumorosa stazione. Una vettura stava sferragliando sullo smistamento per Port Kathy. Nessun Venusiano poteva sentirci. — Guarda qui — dissi aprendo la guida alla pagina intitolata Servizi. C’era scritto:

Se per qualche ragione non desiderate portarvi da casa i generi di ristoro, nella visita alle Colline Russe, potrete acquistare hamburger, hot-dog e panini alla soia nel chiosco della Sala di Venera. Sono controllati dal Servizio Medico Planetario, ma la qualita e mediocre. E possibile anche acquistare birra e altre bevande, ad un prezzo circa doppio che in citta.

— Penoso — grugnii.

Lei disse con aria assente: — Be’, almeno sono onesti.

Alzai le sopracciglia. Cosa c’entrava l’onesta con la promozione di un prodotto? E un posto del genere era una manna per un pubblicitario! Primo: avevano una clientela obbligata. Secondo: avevano un argomento attorno a cui sviluppare gli slogan. Terzo, e piu importante di tutti, avevano clienti di umore vacanziero, pronti a comprare tutto cio che fosse in vendita! Bastava che chiamassero gli hot-dog «Wurstel Odessa», e gli hamburger «Polpetta Komsomol», per dare ai consumatori una scusa per comprare. E invece facevano di tutto per dissuaderli! I consumatori non si aspettano di ottenere quello che la pubblicita promette. Vogliono solo un attimo fuggevole di speranza, prima che il materasso «Supermorbido Sognidoro» gli infili una molla nel sedere, e l’«Elisir di Frutti Tropicali, Fresco come la Natura» lasci in bocca il suo sapore di catrame. — Bene — dissi — visto che ci siamo, andiamo a dare un’occhiata alla loro maledetta sonda spaziale.

Venere faceva schifo fin dall’inizio. L’aria era velenosa, e ce n’era troppa, per cui la pressione era spaventosa. La temperatura faceva bollire tutto cio che poteva bollire. Non cresceva nulla di cui valesse la pena di parlare quando la prima nave terrestre atterro, e cinquant’anni di colonizzazione non avevano migliorato le cose: le avevano rese soltanto infinitesimalmente meno spaventose. I tentativi venusiani di trasformare l’atmosfera in qualcosa di respirabile non erano cessati, anzi, erano arrivati al punto che in certi posti si poteva uscire senza una tuta pressurizzata… anche se bisognava portarsi una bombola sulla schiena, perche l’ossigeno e scarsissimo.

Quella parte, che loro chiamavano «parco planetario di Venera-Colline Russe» (cosi diceva il cartello alla fermata del tram), non era molto peggio del resto, per quanto i conservazionisti si dessero grandi pacche sulle spalle l’uno con l’altro per avere conservato la sua «incontaminata natura selvaggia». Guardai il «parco» dalla finestra, senza provare il minimo desiderio di andarci piu vicino.

— Andiamo, Tenn — disse Mitzi.

— Sei sicura di volerlo fare? — Era gia abbastanza brutto nella stazione, con il fracasso delle vetture e i Venusiani con i loro ragazzini vocianti. Uscire dalla porta significava passare a un livello superiore di disgusto. Avremmo dovuto caricarci sulle spalle le bombole di ossigeno, e respirare l’aria attraverso i tubi, e sopportare un calore superiore a quello dei forni che i Venusiani chiamano «citta». — Forse prima faremmo meglio a mangiare qualcosa — dissi, adocchiando il ristorante. Sotto l’intestazione: «Oggi il cuoco consiglia», qualcuno aveva scritto col gesso: Evitate le uova strapazzate.

— Andiamo, Tenn! Dici sempre che non sopporti la cucina venusiana. Vado a prendere un paio di respiratori.

Se non hai scelta, devi dire di si: questo e il motto dei Tarb. Ha sempre funzionato, visto che siamo nel campo pubblicitario dai tempi di Madison Avenue e delle canzoncine della Pepsi-Cola. Cosi mi misi sulle spalle le maledette bombole, mi infilai m bocca il maledetto tubo, e bofonchiai: — Avanti verso la valle della morte!

Mitzi non rise. Quel giorno era di umore triste… forse perche me ne dovevo andare. Cosi le misi un braccio attorno alle spalle, e ci avviammo lungo il sentiero che conduceva a Venera.

La sonda spaziale Venera e un guscio di metallo corroso, grande circa come un taxi a pedali, con delle specie di bastoni e di piatti che spuntano qua e la. Non e in buono stato. Ci fu un tempo in cui venne issata sulla cima di un razzo, nella nevosa Tyuratam, e si lancio fra le fiamme, attraverso centinaia di milioni di chilometri di spazio, per scendere come una meteora nell’aria rovente di Venere. Doveva essere un bello spettacolo, ma naturalmente non c’era nessuno a guardarla. Dopo tutta quella fatica, e le spese, funziono per un paio d’ore. Abbastanza per inviare sulla Terra qualche dato sulla temperatura e la pressione, e trasmettere qualche foto distorta e sfocata delle rocce su cui si era posata. Questa fu la sua intera carriera. Poi i gas velenosi filtrarono nello scafo, e tutti i circuiti e i meccanismi e i marchingegni si fermarono. Immagino che fosse una bella impresa per quegli antichi tempi pre-tecnologici. Quelle foto grigie e nebbiose fornirono la prima immagine della superficie di Venere che occhio umano avesse mai visto, e quando i Venusiani la ritrovarono, nei primi mesi della colonizzazione, vi aspettereste che celebrassero l’avvenimento come un trionfo, no? E invece no. La ragione per cui i Venusiani fanno tante storie per un pezzo di metallo e un’altra delle loro stranezze. Vedete, in quei tempi antichi i Russi erano Sovietici. Non so bene cosa fossero i Sovietici (me li confondo sempre con gli Scientologi e i Ghibellini), ma so una cosa: non credevano (sentite questa!) nel profitto! Proprio cosi. Nel profitto. Non credevano nella gente che faceva soldi fabbricando e vendendo cose. E per quel che riguarda l’ancella del profitto, la pubblicita, be’, non ce l’avevano! Lo so che sembra strano, e quando ho studiato la storia, all’universita, non riuscivo a crederci, cosi ho controllato bene. E proprio vero. A parte alcune cosine, come

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