— Non abbiamo bisogno di armi, — rispose Anton.
— Basta con i cadaveri qui, — disse Vadim.
Uscirono dall’astronave e subito sprofondarono nella neve alta. Il bioplano si vedeva appena, dietro la cortina bianca. Era un bioplano antigravitazionale Grillo, un’affidabile macchina a sei posti, molto popolare fra le truppe da sbarco e gli astronauti in esplorazione. Stava sul bordo di un’enorme fossa disgelata, da cui si innalzava un vapore denso, i suoi fianchi lisci erano ancora tiepidi e nella cabina faceva addirittura caldo.
Buttarono gli zaini nel bagagliaio e sedettero nella macchina sotto una cupola liscia e trasparente.
— Accidenti! — disse Anton all’improvviso. — Dimka, scusami, per favore. Probabilmente ti serve l’analizzatore per la traduzione.
— Per quale traduzione? — chiese Saul. Vadim si strofino il mento.
— Dell’analizzatore posso anche fare a meno, — disse lentamente, — ma senza i mnemocristalli all’inizio non me la posso cavare. Bisogna che qualcuno faccia un salto all’astronave.
— Quanti te ne occorrono? — disse Anton, e intanto scendeva dal bioplano.
— Una coppia sara sufficiente. Solo, prendila con le ventose, per non doverla tenere in mano.
Anton corse sulla neve fino all’astronave.
— Di che cosa stavate parlando? — si informo Saul.
— Ci sara bisogno di entrare in contatto in qualche modo con la gente, sempre che riusciamo a trovarla, — rispose Vadim.
— E — Saul mosse leggermente le dita — ne parla come di una cosa da nulla?
Vadim lo guardo con aria meravigliata.
— E come ne dovrei parlare?
— Beh si, certo, — disse Saul.
«Che strano tipo, — pensava Vadirn. — Possibile che tutta la vita se ne sia stato seduto nel suo studio ad ascoltare Mendelssohn?»
— Saul, — disse, — dopo i lavori di Sugimoto, entrare in rapporto con altri umanoidi e un problema puramente tecnico. Non si ricorda come Sugimoto riusci a comunicare con gli abitanti di Tagora? Quella e stata una grande vittoria, se ne parlo e se ne scrisse molto…
— Ma certo! — disse con entusiasmo Saul. — Come si potrebbe dimenticarlo! Ma io pensavo, chissa perche, che… ne fosse capace solo Sugimoto.
— No, — disse Vadim con noncuranza. — Puo farlo qualsiasi linguista strutturale.
Anton torno, porse a Vadim la scatola con i cristalli e si sistemo al suo posto.
— Avanti, — disse e guardo Saul. — Che cosa e successo?
— Che cosa poteva succedere?
— Mi sembrava… Beh, non ha importanza. Avanti.
— Senti, — disse Vadim, guardando una collinetta di neve che si notava appena oltre la navicella. — Non e bello lasciarli cosi. Non sara meglio seppellire prima quei ragazzi?
— No, — disse Anton. — A rigore, non ne abbiamo nemmeno il diritto.
Vadim capi. Non sono morti terrestri e non tocca a noi seppellirli secondo le nostre leggi. Afferro il manubrio e accese il motore. Il bioplano decollo dolcemente e si tuffo nella bianca foschia.
Vadim sedeva, curvo come sempre, e muoveva appena appena il volante, per controllare la tenuta d’aria. La neve gli correva incontro. Vadim vide solo una cometa bianca dalle mille code, il cui nucleo gli navigava lentamente davanti agli occhi. Accese gli schermi radar.
— A che servono questi schermi? — chiese Saul da dietro.
Vadim spiego:
— Non vedo niente, e inoltre la neve avrebbe potuto coprirli.
— Grazie, — disse Saul. — Ho capito.
Il bioplano usci dalla tormenta di neve. Si trovava ora su una piana collinosa. Vadim aumentava a poco a poco la velocita, il motore fischiava sordo, e sotto la chiglia passavano vorticose le cime tondeggianti dei colli. Il cielo era tutto bianco, bassa sull’orizzonte, a destra, splendeva una macchia accecante, l’EN 7031, e a nord si distinguevano chiaramente i contorni di una catena montuosa. La macchia accecante si spostava lentamente verso destra e verso le loro spalle: il bioplano stava descrivendo un arco intorno all’astronave del raggio di dieci chilometri. Davanti, a destra e a sinistra c’erano solo colline, colline e ancora colline. Anton disse all’improvviso:
— Guardate, una mandria!
Vadim freno e torno indietro. Il bioplano rimase sospeso, immobile. In una gola fra le colline si muoveva svelto un gruppetto di animali. Si trattava di quadrupedi, di non grandi dimensioni, che sembravano cervi senza corna, e si sforzavano saltando di avanzare nella neve, rovesciando all’indietro le lunghe teste dalle narici nere. Le zampe sottili si incagliavano nella neve alta, e gli animali cadevano, rotolavano su se stessi, sollevavano nubi di polvere di neve, poi si rialzavano e riprendevano a correre, incurvandosi a ogni salto. Lasciavano dietro di se solchi di neve smossa. E dietro a questo solco, con i lunghi colli chini, si affrettavano sulle lunghe zampe nude enormi uccelli simili a struzzi. Solo i becchi di questi uccelli erano diversi da quelli degli struzzi, poderosi, gobbi, con la terribile punta rivolta all’ingiu.
Vadim scese in picchiata e sorvolo la gola. La mandria continuo a correre sotto il bioplano, non lo noto nemmeno, ma gli uccelli — erano tre — si fermarono di scatto, si sedettero sulle zampe ripiegate e, sollevate le teste, spalancarono il terribile becco. Che battuta di caccia, penso di sfuggita Vadim, che battuta di caccia si sarebbe potuta organizzare! Alzo di nuovo il bioplano e comincio a manovrare a saliscendi. Si abbasso fin quasi a sfiorare i becchi mostruosi, che schioccarono con un colpo secco. Ora il bioplano compiva balzi di due chilometri, volando verso il cielo basso, e ogni volta la pianura si dispiegava sotto di loro, e si vedeva che per decine di chilometri intorno si stendeva un deserto nevoso.
— Le cose si mettono male, — borbotto Saul.
— Perche?
— Gli uccelli…
Ma guarda un po’ che civilta, pensava Vadim. Ricerche non ne hanno organizzate. Hanno fatto uscire dei ragazzini nudi, disarmati. Qui, probabilmente, senza armi non si puo fare nemmeno un passo. Eppure erano dei ragazzini coraggiosi…
Il bioplano termino il giro di dieci chilometri, e ne inizio un secondo con un raggio di venti chilometri. E subito Anton disse:
— Ecco da dove vengono… Piega a destra di trenta gradi!
Al margine della pianura, sotto una catena di monti grigio-azzurri, si scorgevano appena delle macchie scure di forma regolare.
— Sembra un grosso centro abitato, — disse Saul. — Avete un binocolo qui?
Il riflettore di bordo disperdeva la foschia, e Vadim, chino sul binocolo, distingueva il profilo di edifici, di mura menate e di cupole.
— Una citta, — disse. — Che cosa facciamo?
— Una citta? — fece eco Saul. — Curioso. E quanto dista?
— Circa quindici chilometri.
— Cosi, dunque, dalla citta alla navicella ci sono trenta chilometri… Una persona allenata li potrebbe fare perfino a piedi nudi.
Vadim sussulto.
— Non ci tengo a provarlo, — borbotto.
Il bioplano, scrollato dalle raffiche di vento, stava ora a una ventina di metri da terra. Come e tutto assurdo, pensava Vadim. Dove sono le spedizioni di ricerca? Dove sono i bioplani e gli elicotteri con i volontari? La gente muore assiderata vicino alla citta, e qui per un raggio di decine di chilometri non c’e anima viva, eccetto quegli uccellacci. E quegli uccelli qui non ci dovrebbero proprio essere. Avrebbero dovuto sterminarli da cento anni, e non organizzare cosi vicino una riserva naturale di rapaci. E perche Anton temporeggia? Perche non andiamo in citta a mettere gli abitanti sulla strada della verita? In fin dei conti le formalita del primo approccio possono essere trascurate, vista la situazione. Si giro a guardare Anton.
Anton era incerto. Sedeva dritto, con gli occhi socchiusi e le labbra serrate. Aveva questa faccia quando risolveva fra se e se qualche problema di navigazione spaziale.