ma reale, e ogni astronauta conosceva le istruzioni della Commissione per le Relazioni Extraterrestri, che proibivano i contatti non ufficiali con civilta sconosciute. Ora sarebbe stato sciocco tirarsi indietro, penso. Avremmo dovuto abbandonare il pianeta Saul non appena abbiamo visto i cadaveri. Avremmo dovuto… Solo che nessuno lo avrebbe fatto. E pero le istruzioni ci sono. E contemplavano fra l’altro proprio un caso come questo, quando hai nell’equipaggio uno che brucia dalla voglia di darsi da fare e uno che non si capisce cosa voglia. E tu stesso sei lacerato dalle contraddizioni. Era ormai quasi certo che nelle vicinanze c’erano migliaia di persone alle prese con una catastrofe. Eccole li quelle persone che vagavano senza un senso per il crinale… E Dimka mi guarda con disapprovazione… E Saul guarda con curiosita eccessiva. Uno Storico con lo skorcer. Fra l’altro non mi devo dimenticare dello skorcer… E le istruzioni sono molto chiare e semplici: «Sono vietati i contatti informali con gli indigeni…». Era molto semplice: se, uscito dall’astronave, notava in giro segni di civilta doveva «abbandonare immediatamente il pianeta, dopo aver cancellato con cura ogni traccia della sua presenza». Ed io invece ho lasciato un’enorme buca, quella dell’incubazione del bioplano, e, vicino alla buca, cinque cadaveri…

— Beh, cosa succede? — chiese Vadim. — Ti e presa la malinconia?

Ovviamente ne i linguisti strutturali ne gli storici sanno niente delle istruzioni. Se ne avesse parlato, probabilmente si sarebbero offesi: «Non siamo dei bambini! Sappiamo da soli quello che e giusto e quello che e sbagliato!».

A questo punto Anton si accorse che il bioplano scivolava lentamente in direzione del terrapieno. Prese una decisione.

— Sali sul crinale, — disse. — Mettiti il piu lontano possibile dalla gente. Ancora una cosa: vi prego vivamente di non organizzare un gemellaggio fra civilta.

— Non siamo dei bambini, — disse con dignita Vadim, aumentando la velocita.

Il bioplano con un balzo volo in cima al terrapieno. Vadim sollevo la cappotta, si sporse e fischio sorpreso. In basso, oltre il terrapieno, si apriva una conca gigantesca, piena zeppa di uomini e di macchine. Ma Anton non guardava in basso.

Guardava con orrore e pieta un uomo curvo, livido di freddo, con addosso un sacco lacero di juta, che andava verso il bioplano, trascinando lentamente le gambe. Aveva la faccia variegata di cicatrici, le braccia e le gambe nude erano coperte di croste, i capelli sporchi erano appiccicati in ciocche disordinate. L’uomo getto al bioplano uno sguardo indifferente e, superatolo, prosegui lungo il crinale. Quando inciampava, emetteva dei deboli gemiti. Non e un uomo, penso Anton, somiglia soltanto ad un uomo…

— Signore Iddio! — esclamo rauco Saul. — Che cosa sta succedendo!

Allora Anton guardo in basso. Sul fondo della conca, sulla neve sporca e calpestata, in mezzo a decine di macchine di ogni genere brulicavano, sedevano, giacevano, vagavano o correvano degli uomini scalzi vestiti di sacchi grigi. Intorno a loro, al margine della neve intatta ce ne erano altri schierati in file irregolari. Erano moltissimi, centinaia, forse migliaia. Stavano ritti, con aria tetra, guardando in basso. Qua e la, nelle file, qualcuno era caduto, ma nessuno ci faceva caso.

Nella conca c’erano varie decine di macchine. Alcune erano parzialmente interrate, altre coperte di neve, ma Anton si accorse subito che erano uguali a quelle che avevano visto sulla strada. Qualche macchina si scuoteva freneticamente, senza comando ne scopo apparente, schizzando intorno fango e neve.

Anton all’improvviso si rese conto che nella conca c’era un silenzio innaturale. Vi si trovavano migliaia di uomini, ma si sentivano solo i brontolii sordi delle macchine e qualche raro urlo lamentoso.

E la tosse. Di tanto in tanto qualcuno cominciava a tossire raucamente, soffocando e ansimando, come se gli cominciasse il raschio in gola. Immediatamente gli facevano eco decine di gole, e dopo qualche secondo la conca risuonava di secchi colpi di tosse. Per un po’ ogni movimento cessava, poi risuonavano dei gridi lamentosi, scatti bruschi come spari, e la tosse cessava…

Anton aveva ventisei anni, faceva l’astronauta da molto tempo e ne aveva viste di tutti i colori. Gli era capitato di vedere come si diventa invalidi, come si perdono gli amici, come si perde la fede in se stessi, come si muore; lui stesso aveva perso degli amici e lui stesso si era trovato ad agonizzare a tu per tu col silenzio indifferente, ma qui era una cosa completamente diversa. Qui c’era cupo dolore, tristezza e desolazione assoluta, qui si sentiva la disperazione indifferente di chi non spera piu in nulla, di chi sa che, se cade, nessuno lo sollevera, di chi non ha assolutamente niente da aspettarsi se non la morte in mezzo a una folla noncurante. Non puo essere, penso. Si tratta veramente di una grande calamita. Non ho mai visto niente del genere.

— Non potremo mai aiutarli, — borbotto Vadim. — Migliaia di persone e noi non abbiamo nulla…

Anton si riprese. Venti astronavi da carico, penso. Abiti. Cinquemila cambi di vestiario. Cibo, una decina di sintetizzatori. Un ospedale prefabbricato con sessanta padiglioni. Oppure e poco? Forse, non erano tutti qui? E forse non era successo solo qui?…

Bel lavoro avrei fatto se avessi ordinato di tornare dalla strada all’astronave, penso con soddisfazione.

Stavano in silenzio senza uscire dal bioplano. Non si capiva che cosa stesse facendo la gente nel fondo della conca. Si davano da fare intorno alle macchine. Probabilmente, le macchine erano la loro speranza. Forse le volevano aggiustare o utilizzare per farsi portar via da quel deserto di neve.

Vadim sedette e accese il motore.

— Aspetta, — disse Anton. — Dove vai?

— Sulla Terra, — rispose Vadim. — Non ce la possiamo fare da soli.

— Spegni il motore. Calmati.

— Che cosa c’entrano i nervi? Con i nostri due panini, non li sfami di certo.

Anton prese lo zaino con le medicine e lo getto fuori. Poi prese lo zaino con le cibarie.

— Prenda, — disse a Saul. — Vadim, prepara il tuo apparecchio traduttore. Devi tradurre.

— Perche? — disse Vadim. — Perche complichi tanto le cose? Perdiamo solo tempo e intanto, qui, ogni minuto ne muore uno.

Anton getto fuori lo zaino con i viveri.

— Cerchiamo di sapere quanti sono. Di che cosa hanno bisogno. Tutto, insomma. Che cosa racconti se torni ora sulla Terra?

Vadim, senza dire una parola, balzo a terra e si mise in spalla lo zaino con le medicine. Anton rivolse a Saul uno sguardo d’attesa. Saul si sfilo la pipa di bocca.

— E tutto giusto, — disse, — ma non prenda i viveri.

— Perche? I piu deboli li possiamo sfamare subito.

— Non faccia sciocchezze. Appena vedranno i viveri ed i vestiti, ci calpesteranno insieme agli zaini.

— Non sono per tutti, — insiste Anton, — spiegheremo che sono per i piu deboli.

Saul lo guardo per qualche istante con una strana espressione di compatimento. Poi chiese:

— Lei sa cosa sia la folla?

— Prenda lo zaino, — disse piano Anton. — Che cosa sia la folla me lo spieghera dopo.

Saul con un sospiro si mise lo zaino sulla spalla e fece per prendere lo skorcer rimasto sul sedile.

— No, questo lo lasci li, — disse Anton.

— No, questo lo prendo, — ribatte Saul. E si mise a tracolla il cinturone con la fondina.

— La prego, Saul. Lei ha paura e potrebbe sparare.

— Certo che ho paura. Ho paura per voi.

— L’avevo capito, — disse Anton, paziente.

Saul fece per scendere.

— Saul Repnin, — disse Anton con voce metallica. — Mi dia l’arma!

Saul si sedette.

— Lei non sa sparare, — disse.

— So sparare, — disse Anton, guardandolo negli occhi.

Ogni volta e cosi, pensava con rabbia. Ogni volta, nel momento piu importante qualcuno si fa prendere dai nervi. E bisogna cercare di farlo ragionare invece che mettersi al lavoro.

Saul consegno lo skorcer. Anton se lo infilo alla cintura e balzo a terra accanto a Vadim che, zaino in spalla, testa china, si sistemava sulla tempia un cristallo mnemonico, e seguiva con curiosita le gesta del suo capitano.

— Allora prendo il terzo zaino, — disse Saul, come se non fosse successo niente.

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