Anton assenti pensieroso. Pensava a come era andata sull’astronave Flora. Per due settimane avevano rinunciato a meta della razione di ossigeno e non avevano mangiato ne bevuto niente. Gli ingegneri stavano riparando gli impianti di sintesi, e loro gli avevano dato tutto quello che avevano. Ma il loro aspetto, alla fine della seconda settimana, era, probabilmente, non molto migliore di quello di questa gente…

Saul chino il capo e con tristezza incrocio le dita fino a farle scrocchiare.

— Si finisce sempre per giudicare gli altri in base a noi stessi, — borbotto. — Come migliaia di anni fa.

Anton e Vadim aspettavano in silenzio.

— Siete dei bravi ragazzi, — disse piano Saul. — Ma ora non so, quando vi guardo, se esserne contento o mettermi a piangere. Non vi accorgete di quello che per me e del tutto evidente. Non ve ne posso fare una colpa. Ma permettetemi di raccontarvi una breve parabola. Tanto, tanto tempo fa degli extraterrestri — forse proprio i vostri Nomadi dello Spazio — dimenticarono sulla Terra un dispositivo automatico. Si componeva di due parti: un robot ed un apparecchio di telecomando. Il robot poteva essere anche diretto col pensiero. Queste cose rimasero sepolte in Arabia per qualche millennio. Ma poi l’apparecchio di telecomando fu trovato da un ragazzino arabo che si chiamava Aladino.[22] La storia di Aladino penso che la conosciate. Il ragazzino prese il dispositivo per una lampada. Mentre lo puliva, arrivo rombando, non si sa bene da dove, un grande robot nero, che magari sputava pure fuoco. Capto i pensieri semplici, in cui si esprimevano i semplici desideri di Aladino, e distrusse citta e costrui palazzi. Potete immaginare cosa ne dedusse un ragazzino arabo, misero, sudicio ed ignorante. Il suo mondo era un mondo di maghi e stregoni, e il robot per lui era ovviamente un ginn, lo schiavo dell’apparecchio che sembrava una lampada. Se qualcuno avesse cercato di spiegargli che questo ginn era un oggetto, il ragazzino si sarebbe battuto fino all’ultimo respiro per difendere il suo mondo, per rimanere nell’ambito delle sue concezioni. E voi state facendo lo stesso. Difendete il vostro modo di vedere, sostenete la dignita dell’intelletto umano. E non volete capire che qui non si tratta di catastrofi naturali e tecniche, ma di un ben preciso stato di cose. Di un sistema, cari ragazzi. E non c’e da stupirsene. Solo due secoli e mezzo fa meta dell’umanita era convinta che la natura umana fosse fondamentalmente belluina, e motivi per pensarlo ce n’erano a sufficienza. — Fece stridere i denti. — Non voglio che vi immischiate in questa faccenda. Vi ammazzeranno. Dovete tornare sulla Terra e dimenticare tutto. — Guardo Anton. — Io invece rimarro qui.

— Perche? — chiese Anton.

— Per me e necessario, — disse Saul lentamente. — Ho fatto una stupidaggine, e ora devo scontarla.

Anton penso febbrilmente che cosa si potesse rispondere ad un tipo strano come quello.

— Lei, naturalmente, puo rimanere, — disse alla fine. — Ma il problema non e questo. Non e solo questo. Anche noi rimaniamo. E per ora cerchiamo di rimanere insieme.

— Vi ammazzeranno, — ripete Saul sconsolato. — Voi non sapete nemmeno sparare ad un uomo.

Vadim si diede un colpo sul ginocchio e disse con slancio:

— Noi la capiamo, Saul! Ma in lei e lo storico che parla, e anche lei non riesce ad uscire dall’ambito delle sue convinzioni. Nessuno ci ammazzera. Non complichiamo le cose. Non abbiamo bisogno di ingegnose complicazioni. Siamo uomini, cerchiamo di comportarci da uomini!

— D’accordo, — disse stancamente Saul. — Ed ora mangiamo. Chissa che cosa succedera.

Anton non aveva voglia di mangiare, ma aveva ancora meno voglia di mettersi a discutere. E Saul probabilmente aveva ragione, e anche Vadim aveva ragione, e come sempre aveva ragione la Commissione per le Relazioni Interpianetarie. Comunque ora la cosa piu necessaria erano le informazioni.

Vadim rimestava malvolentieri col cucchiaio in una scatola di conserve. Saul mangiava con grande appetito e parlava a bocca piena:

— Mangiate, mangiate. Alla base di ogni impresa c’e uno stomaco sazio.

Anton escogitava un piano di azione. Calamita naturale o sociale, sempre di calamita si trattava. E non si poteva non intervenire. Sarebbe stato sbagliato precipitarsi subito a casa implorando aiuto, ma sarebbe stato altrettanto sbagliato gettarsi a capofitto nell’azione, agitando un unico zaino di viveri… Gli dispiaceva per Saul, ma per ora Saul doveva essere messo da parte. Per prima cosa occorrevano le informazioni… Anton disse:

— Ora voleremo sulle tracce della colonna. Penso che ci debba essere un villaggio nelle vicinanze.

Saul approvo con la testa.

— Troveremo qualcuno che ragioni, — continuo Anton, — e tu Dimka ti farai raccontare tutto. E poi si vedra.

— E giusto, — dichiaro Saul, leccando il cucchiaio, — ci occorre un prigioniero.

Per qualche secondo Anton resto interdetto: che cosa poteva essere un prigioniero? Poi si ricordo la frase di un vecchio romanzo:

«Vada, tenente, e non torni senza un prigioniero». Scosse la testa.

— Ma no, Saul, cosa c’entra un prigioniero? Dobbiamo comportarci in modo pacifico. Per ogni evenienza e meglio che lei rimanga indietro. Resti a bordo del bioplano. Lei non si e mai trovato in situazioni pericolose e ho paura che perda la testa.

Per qualche secondo Saul lo fisso con occhi vitrei.

— Si, certo, — disse lentamente. — Sono, per cosi dire, un topo di biblioteca.

Era ormai notte quando il bioplano decollo, sorvolo la conca, e comincio a seguire una pista che andava verso est. Sulla pianura si levava una piccola luna splendente, e a ovest si innalzava sopra la catena montuosa una stretta falce purpurea. La pista descrisse una curva intorno a un colle ed essi videro alcune file di baracche coperte di neve.

— Siamo arrivati, — disse Anton. — Scendiamo, Vadim.

V

Vadim fece atterrare il bioplano nella prima strada che capito. Abbasso la cappotta, e nella cabina penetro un odore ripugnante di escrementi, l’odore triste di una grande miseria. Su entrambi i lati della strada stavano delle baracche semidiroccate, del tutto prive di finestre. La luce lunare inargentava i mucchi di neve immacolata sui tetti piatti e faceva nereggiare in modo disgustoso i mucchietti di feci accanto alle porte. La strada era deserta, e si sarebbe potuto pensare che il villaggio fosse abbandonato, ma il silenzio era pieno di rantoli, sospiri e del crepitio soffocato della tosse secca.

Vadim guido lentamente il bioplano lungo la strada. Il vento freddo gli bruciava il viso. Ne sulla strada ne nei vicoli scuri si vedeva un’anima.

— Si sono stancati, — disse Vadim. — Staranno dormendo. Bisognera svegliare qualcuno. — Fermo di nuovo il bioplano. — Aspettatemi qui, vado a dare un’occhiata.

— Va bene, vengo anch’io, — disse Anton.

— Basta uno, — obietto Vadim, balzando a terra. — Do un’occhiata e torno subito. Se qui non combino niente, proseguiremo.

Anton disse:

— Saul, aspetti qui. Torniamo subito.

— Non fate rumore, — li avverti Saul.

Vadim si fermo incerto davanti ad un sentierino sporco che portava all’ingresso della baracca piu vicina. Gli ripugnava percorrere quei pochi metri. Si guardo intorno. Anton gli stava gia accanto.

— Beh, che cosa hai? — disse. — Va’ avanti.

Vadim si avvio deciso per il sentiero, scivolo e per poco non cadde. Gli veniva da vomitare, e camminava a testa alta per non vedere dove metteva i piedi. La porta si aperse scricchiolando, e ne cadde fuori un uomo, completamente nudo, lungo come una pertica. Ruzzolo sulla neve ghiacciata e sbatte contro la parete della capanna.

Vadim si chino su di lui. Noto che era gia irrigidito. Doveva essere morto da parecchio tempo. Quanti ne ho visti oggi, penso Vadim. Nella capanna qualcuno tossiva, e all’improvviso un’alta voce stridente intono una canzone.

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