Pareva il grido di un animale. La voce cantava solo dei vocalizzi tetri, senza parole. Forse, in realta, era un pianto.
Vadim si guardo di nuovo alle spalle. Sulla strada, accanto alla sagoma del bioplano si distingueva la silhouette immobile di Saul. Sotto la luna, la strada deserta, coperta di neve, appariva sinistra. Intanto, nella baracca, la voce stridula continuava a gemere e a lamentarsi. Anton diede a Vadim una leggera gomitata.
— Hai paura? — chiese sottovoce. Aveva la faccia bianca come quella di un assiderato.
Vadim non rispose. Spalanco la porta e accese una torcia. Una zaffata di fetore gli mozzo il fiato. Il cerchio di luce della torcia cadde su un umido pavimento di terra, coperto di pallida erba calpestata. Vadim vide decine di corpi piegati, stretti l’uno all’altro, un groviglio di smagrite gambe nude con degli enormi piedi, decine di volti scarniti, alterati dalle lunghe ombre, e decine di nere bocche spalancate. Dormivano sul nudo pavimento, l’uno sull’altro. Parevano accatastati in tanti strati, e tremavano nel sonno. Ma il lamento continuava senza interruzione. Vadim non noto subito il cantore, ma poi lo avvolse nel cerchio di luce. Accovacciato sulla schiena di alcuni dormienti, si era circondato con le braccia le ginocchia aguzze. Guardava la luce della torcia con occhi imbambolati e cantava muovendo le labbra screpolate.
— Ehi tu, — disse Vadim. — Ascoltami. Canterai dopo, ora dimmi qualcosa.
L’uomo non si mosse. Sembrava che non vedesse la luce e non sentisse le parole.
— Ehi, — ripete Vadim. — Ascolta.
Il cantore emise all’improvviso un ultimo grido roco, cadde riverso e spiro. Subito si confuse con i dormienti, e Vadim non riusci piu a trovarlo. Inghiotti faticosamente, fece un passo avanti e diede una manata a una gamba nuda. Era una gamba gelata, morta. Vadim tocco un’altra gamba. Anche questa era gelata, morta. Allora si volto barcollando e cadde addosso a qualcosa di tiepido e largo.
— Sta’ calmo, — disse la voce di Anton.
Vadim scosse il capo, tornando in se. Si era completamente dimenticato di Anton.
— Non posso, — borbotto. — Qui non c’e speranza.
Anton lo prese per un gomito e lo condusse fuori. Il vento freddo parve a Vadim puro e inebriante.
— Non posso, — ripete. — Qui sono tutti morti, stecchiti. — Si stacco da Anton e si avvio cauto per il sentiero. Saul stava come prima, immobile accanto al bioplano. Vadim si accorse che la torcia era ancora accesa. La spense, se la mise in tasca e sali sul bioplano. Saul lo guardava in silenzio. Anton si avvicino, appoggio i gomiti sul bordo dell’oblo ed anche lui si mise a fissare Vadim. Vadim appoggio la fronte al volante e disse tra i denti:
— Non sono uomini. Non possono essere uomini. — Sollevo all’improvviso la testa. — Sono androidi! Uomini sono solo quelli che portano la pelliccia! Gli altri non sono che robot, terribilmente simili a uomini!
Saul sospiro profondamente.
— Non credo, Vadim, — disse. — Semmai sono uomini, terribilmente simili a dei robot.
Anton scavalco l’orlo dell’oblo e sedette al suo posto.
— Coraggio, — disse. — Cerchiamo di non perdere tempo. Abbiamo bisogno di un prigioniero. — Diede una manata sulle spalle di Vadim. — Vada, tenente, e non torni senza un prigioniero.
Saul emise uno strano rumore, che poteva essere un singhiozzo od un sogghigno.
— Vuole che vada la dentro a scegliere qualcuno? — propose.
— Penso pero che non e di loro che abbiamo bisogno.
— Allora di giorno lavorano e di notte muoiono, — ripete ostinato Vadim. — Che invenzione mostruosa!
— Giusto, — disse Saul. — Un’invenzione mostruosa, e bisogna acciuffare uno degli inventori. In pelliccia.
Vadim guardo lungo la strada.
— L’ottimismo — disse — e una gioiosa sensazione di fiducia nell’avvenire, con cui l’uomo….
Nella luce lunare vide a un tratto una fila di ombre grigie, vestite di sacchi, che attraversava la strada.
— Guardate, — disse.
Gli uomini continuavano a passare, erano una ventina, e dietro di loro venivano due impellicciati con delle lunghe aste.
— Chi cerca, trova, — disse Saul con voce sinistra. — Basta raggiungere uno di quei due e prenderlo…
— Uno di quelli? — chiese Anton dubbioso.
— E lei vuole continuare a frugare le baracche? Le posso assicurare che gli impellicciati non vivono certo nelle baracche. Muoviamoci, se no li perdiamo…
Vadim sospiro e fece decollare il bioplano. Segui lentamente la strada. E cercava di immaginare come avrebbero catturato un uomo spaventato e stupefatto, come lo avrebbero trascinato al bioplano e infilato nella cabina, mentre lui gridava e si agitava. Se qualcuno avesse tentato di fare altrettanto con lui, gliel’avrebbe fatto vedere… Tese l’orecchio. Saul stava parlando:
— Non preoccupatevi, lo prendero io. So come fare. Non avra il tempo neppure di fare un gesto.
— Lei mi ha capito male, — disse Anton paziente. — Gli atti di violenza sono da escludere nel modo piu assoluto.
— Ascolti. Lasci fare a me. Lei combinerebbe solo guai. L’infilzerebbero con una picca e dovremmo dar battaglia…
E questo e il topo di biblioteca! penso Vadim meravigliato.
Anton disse:
— Senta, Saul, il suo modo di fare non mi piace. Rimanga a bordo e non si azzardi a prendere nessuna iniziativa.
— Oh Signore! — sospiro Saul e tacque.
Vadim volto in una strada laterale, ed essi videro in lontananza una graziosa casetta a due piani, intorno alla quale si affollavano parecchie persone, illuminate dal fuoco rosso delle torce. C’era un gruppetto di uomini vestiti di sacchi, e intorno a loro andavano e venivano gli uomini in pelliccia. Vadim avanzava molto lentamente, tenendo il bioplano nella parte buia della strada. Non aveva idea sul da farsi. Anton pure. In ogni caso, taceva.
— Ecco, qui vivono gli inventori, — disse Saul. — Vedete che casa calda e comoda! E li vicino c’e anche il gabinetto. La cosa migliore e di acchiapparne uno quando va al gabinetto. A proposito, avete notato che non c’e nemmeno una donna?
La porta della casetta si spalanco. Ne uscirono due persone e si fermarono sulla veranda. Risuono un lungo grido lamentoso. Il gruppetto degli uomini vestiti di sacchi si mosse, formo una fila e si diresse verso il bioplano. Accanto alla veranda si levarono contemporaneamente varie grida. Vadim si affretto a frenare e a far atterrare il bioplano.
Guardava con gli occhi sbarrati e non capiva niente. Alle sue spalle Anton ansimava. Gli uomini nei sacchi arrivarono all’altezza del bioplano e proseguirono oltre a passo svelto. Vadim emise un grido di stupore. Una ventina di uomini scalzi fu aggiogata ad una grossa slitta, su cui si sdraio un uomo in pelliccia, coperto di pelli fino alla vita e con un berretto, sempre di pelliccia, a forma di cono. In mano teneva una lunga picca dalla minacciosa cuspide dentellata. I volti degli uomini aggiogati alla slitta esprimevano gioia, ed essi gridavano con entusiasmo. Vadim si volto a guardare Saul. Saul fissava a bocca spalancata lo strano convoglio.
— Ne ho abbastanza di indovinelli, — disse all’improvviso Anton. — Va’ dritto fino alla casa.
Vadim tiro con forza il freno e la casetta si precipito incontro al bioplano. Gli impellicciati che stavano sulla veranda rimasero a guardare per qualche secondo la macchina che si avvicinava; poi, con velocita incredibile, si schierarono a semicerchio, puntando le picche. Sulla veranda, un grasso gigante villoso si mise a saltellare, emettendo i soliti urli lamentosi. Agitava in aria una larga lama lucente. Vadim fece atterrare il bioplano di fronte alle picche e usci dalla cabina. Gli impellicciati arretrarono, stringendo il semicerchio. Le cuspidi delle picche erano rivolte contro il petto di Vadim.
— Pace! — disse Vadim e sollevo le braccia.
Gli impellicciati arretrarono ancora un poco. Dalle bocche uscivano nuvolette di vapore e puzzavano di caprone. Sotto i cappucci luccicavano occhi spaventati e denti scoperti. Il grassone sulla veranda fece un lungo discorso. Era incredibilmente alto e grasso. Anche la sua faccia, tremolante di grasso e lucida di sudore, aveva proporzioni straordinarie. Parlando si chinava, balzava in piedi, agitava la spada ora sotto i suoi piedi ora verso il cielo, e parlava con una voce lamentosa, effeminata e innaturalmente alta. Vadim ascoltava a capo chino. I cristalli mnemonici che portava sulle tempie registravano le parole e le intonazioni sconosciute e davano le prime, approssimative traduzioni. Parlava di minacce, di qualcosa di grande e possente, di terribili punizioni… Il grassone all’improvviso tacque, si asciugo con la manica la faccia sudata, e, ormai sfiatato, emise un gemito breve e secco.