Consiglio Mondiale l’esistenza di un pianeta basato sullo schiavismo? Senti improvvisamente tutta l’enormita del problema. Finora questa alternativa non si era mai presentata: si poteva o no intervenire nelle sorti di un altro pianeta? Gli abitanti di Leonida e di Tagora erano troppo diversi dagli uomini. La psicologia dei Leonidiani era ancora un mistero, e nessuno poteva dire quale fosse il regime sociale sul loro pianeta… Quanto agli umanoidi di Tagora, avevano da chiedere tanto poco alla natura, che non si capiva come avessero fatto a sviluppare la loro tecnica… Ma qui, su Saul, il problema era completamente diverso. Non c’era nessun altro posto in cui i rapporti sociali assumessero una forma tanto mostruosa e tuttavia, a quanto pareva, tanto universalmente accettata. I Sauliani parevano fratelli degli uomini, fratelli ancora molto giovani, immaturi e crudeli… E come se non bastasse ci si mettevano pure quelle stupide macchine degli alieni…

In lontananza, sulla piana azzurra comparve un puntolino nero. Ecco l’astronave, penso Anton. E li accanto, sotto la neve, c’erano i morti. Che strano, e passato appena un giorno e gia mi sono abituato. Come se tutta la vita non avessi fatto altro che girare fra cadaveri nudi nella neve. L’uomo si adatta con facilita. Adattamento psicologico. Strano. Forse dipende dal fatto che in fin dei conti non sono uomini. Sulla Terra, sarei gia diventato pazzo. No, sarei rimasto intontito…

Diminuendo la velocita, descrisse un cerchio intorno alla navicella.

Vedere il cono nero, che conosceva cosi bene, lo conforto. L’astronave sulle colline azzurre gettava due ombre dai contorni netti: una breve e nera, l’altra lunga e rossa. Il bioplano atterro davanti all’entrata. La neve, gelando, aveva formato intorno alla nave un campo di ghiaccio. Anton si volto verso Vadim e gli diede una manata sul ginocchio.

— Che c’e? — chiese Vadim con voce assonnata.

— Sveglia!

— Lasciami in pace…

— Alzati, Dimka. Siamo arrivati all’astronave.

— Adesso, — disse Vadim, aprendo le labbra con uno schiocco. — Ancora un minuto…

— Gli faccio il solletico? — propose Saul.

Vadim aperse subito gli occhi e si alzo.

— Ah si, l’astronave… Capisco.

Uscirono sul ghiaccio scivoloso. L’aria gelata mozzava il fiato. Si sentiva Vadim che batteva i denti. Saul afferro il prigioniero per il bavero. Che stara pensando quel poveretto? si chiese Anton.

— Salite, — disse Saul, — io lo porto direttamente al bagno. Entrarono nell’astronave, chiusero l’oblo e Anton, sospingendo Vadim, sali verso il quadrato. Vadim dormicchiava, battendo i denti. Dal piano inferiore risuono un urlo terribile del prigioniero. Vadim si riscosse.

— Che cosa gli sta facendo? — chiese allarmato.

— Lo vuole lavare, — spiego Anton. — E pieno di parassiti.

Si senti la voce di Saul.

— Cammina con le tue gambe, la fatica non ti ammazzera…

La porta del bagno sbatte. Anton e Vadim entrarono nel quadrato e si gettarono sulle poltrone.

— Cara, vecchia astronave, — disse Vadim. — Come si sta bene, come e pulita!

Anton stava ad occhi chiusi.

— Ti fa male? — chiese.

— Mi prude…

— Vuoi dire che va tutto bene… Senti, cosa ti occorre per lavorare?

— Il calcolatore, — rispose Vadim. — Meta della sua memoria interna. Entrambi gli analizzatori. Molto caffe per me e qualche leccornia per il prigioniero. Fra un paio d’ore te lo troverai qui davanti a parlare del senso della vita.

Dal piano inferiore giunsero di nuovo grida, rumore di oggetti smossi e scalpiccio di piedi nudi.

— Dove vai? — tuono Saul. — Vieni qui… Sta’ fermo!

— Com’e bravo a lavarlo, — disse Vadim con ammirazione. — Forse gli e andato un po’ di sapone negli occhi… Pero Saul sbaglia il tono della voce. Per il prigioniero gli urli non sono altro che implorazioni. Il tono di comando e questo: — e Vadim, allungato il collo, emise degli insopportabili strilli queruli.

— Sembri un gattino a cui abbiano pestato la coda, — disse Anton.

— Si, e lo stesso tono!

— Va bene, ti lascero la sala dei comandi… Ti portero tutto il necessario.

Vadim lo scruto con attenzione.

— Ma tu, caro mio, sembri un limone spremuto, — disse.

— Beh, un po’ lo sono… La tua ferita non era grave, ma mi sono stancato. Sai, stanca molto.

— Mettiti a dormire. Me la cavo da solo. Saul mi portera tutto.

— Non preoccuparti, — disse Anton. — Questo e lavoro mio. Va’ a prepararti, — aggiunse scuotendo una mano.

Vadim si alzo.

— Ti consiglio di dormire un po’, — si avvio verso la sala dei comandi, ma ad un tratto si fermo. — Hanno poi preso i vestiti?

Li per li Anton non capi, ma poi disse:

— Per la verita non lo so… Non ricordo… Pero erano molto arrabbiati con noi.

— Che razza di pasticcio! — disse Vadim. — Non ci capisco niente. Perche mi ha infilzato con la spada?

Scosse il capo e si diresse verso la sala dei comandi. Anton si addormento subito. Sogno di essere andato in cucina, di aver preparato molto caffe, di aver portato la caffettiera e le conserve nella sala dei comandi, di essersi sentito dire di levarsi di torno, di essersene andato nella sua cabina e di essersi seduto al tavolino a scegliere il programma del volo di ritorno. Pero aveva un gran sonno, e non riusciva a trovare altro che i programmi dei suoi voli precedenti. Poi Saul lo sveglio.

— Ecco, — disse Saul.

Davanti ad Anton c’era un biondino snello in calzoncini e in giubbotto sintetico, dagli occhi neri e spaventati.

— Le piace? — chiese Saul sarcastico.

Anton si mise a ridere.

— E una bella razza, — disse. — Salve, fratello minore.

Il fratello minore lo fissava con occhi tondi di paura. Sembra simpatico, penso Anton.

— E questo lo aveva sotto la pelliccia, — disse Saul e poso sul tavolo un pacchetto rigido.

Il prigioniero fece per slanciarsi sul pacchetto.

— Altola, — fece Saul con voce minacciosa. — Di nuovo! Ti faccio vedere io!

Il prigioniero rannicchio la testa nelle spalle. Evidentemente, era riuscito a capire il tono di voce di Saul. Anton prese il pacchetto, lo guardo e lo apri. In una busta di ottimo cuoio c’erano un foglio ripiegato varie volte, un disegno e qualche pezzo di cerotto insanguinato.

— Capisce? — disse Saul. — Hanno strappato i cerotti ai feriti.

Anton ricordo gli uomini maciullati e strinse i denti.

— Questo deve essere il rapporto — disse dopo una pausa — sul nostro arrivo. Vadim! — chiamo.

Il prigioniero improvvisamente si mise a parlare. Parlava in fretta, dandosi dei pugni sul petto. Il suo volto esprimeva terrore e disperazione, in strano contrasto con le intonazioni brusche e persino sarcastiche della sua voce. Vadim scese nella sala e si fermo alle spalle del prigioniero, tendendo le orecchie. Il prigioniero tacque e si copri il volto con le mani.

— Guarda, Vadim, — disse Anton, porgendogli il foglio.

— Oh! — disse Vadim. — Una lettera! Magnifico! Questo ci riduce il lavoro a meta!

Prese il prigioniero per una manica e lo condusse nella sala dei comandi, guardando nel frattempo il foglio. Il prigioniero lo segui docilmente. Saul studiava attentamente il disegno.

— Non sono uno specialista, — disse infine, — ma, secondo me, e uno schizzo esatto del carro armato che abbiamo ispezionato nella conca. Se lo ricorda?

Passo il disegno ad Anton. Il disegno era stato fatto con molta cura con inchiostro azzurro, ma sulla carta c’erano molte ditate. Era la pianta, probabilmente esattissima, della cabina del veicolo. Alcuni fori erano contrassegnati da rozze crocette rosse, altri erano cancellati. Anton sbadiglio e si stropiccio gli occhi. Ma guarda,

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