— Ebbene, capitano? — disse Vadim.

La faccia di Anton riacquisto l’espressione solita.

— Secondo le regole, — comincio, — ora dovremmo tornar subito all’astronave. Ma… Va’ avanti. Rimani alla periferia. Tieniti piu in alto.

Il bioplano in tre balzi fece la distanza che lo separava dalla citta, e gia alla fine del secondo Vadim capi che non si trattava di una citta. In ogni caso, capi subito perche nessuno si preoccupava della sorte dei ragazzi scomparsi.

— Qui si e verificata un’esplosione tremenda, — borbotto Saul da dietro.

Il bioplano si fermo sopra il bordo di una buca gigantesca, che somigliava ai cratere di un vulcano attivo. La buca, ampia mezzo chilometro, era piena fino all’orlo di un pesante fumo che si muoveva. Il fumo era grigiastro, si stratificava pigramente e oscillava e doveva essere molto piu pesante dell’aria, perche nemmeno una voluta si innalzava sopra la buca. Da lontano sembrava che non fosse fumo, ma qualcosa di liquido. Sui bordi della buca c’erano delle rovine, ricoperte di neve. Dai cumuli di neve sbucavano resti corrosi di pareti policrome, torri inclinate, costruzioni metalliche contorte, cupole sfondate.

Vadim guardava sbalordito. Saul biascico:

— Beh, queste cose le conosciamo… Un bombardamento… I depositi sono saltati… e da poco tempo; il fumo non si e ancora disperso, la c’e qualcosa che brucia.

Vadim scosse il capo.

— In questa citta non c’e vita. Gli abitanti sono scappati via. Strano che ne abbiamo trovato solo cinque.

— Gli altri sono li, — disse Saul, guardando la buca.

— Questa non e una civilta, e uno scandalo, — grido Vadim.

— Ma che razza di imbecilli! Chi e che si mette a fare esperimenti con gli esplosivi in una citta? Bisogna proprio essere l’ultimo…

Anton disse piano:

— Arrivano delle macchine…

Da nord giungeva fino alla buca il nastro di una strada, cosi sottile che si notava appena. Su di essa strisciavano fitti e senza fretta dei puntini neri. Aha, penso Vadim, dunque non e ancora tutto perduto. Giro il bioplano e sorvolo la buca; videro una magnifica autostrada che finiva proprio dentro il fumo, e sull’autostrada una colonna senza fine di macchine occupava tutto il nastro stradale. In schiera compatta venivano da nord, solo da nord, macchine verdi basse, che parevano normali automobili a propulsione atomica, ma senza parabrezza; piccole macchine bianche e azzurre, che si trascinavano dietro una lunga coda di rimorchi vuoti; macchine arancioni che parevano sintetizzatori da campo; enormi cingolati neri a torre e piccole macchine con lunghe ali dispiegate. Tutte avanzavano in buon ordine sulla strada, mantenendo sempre la stessa distanza, e, una dopo l’altra, si nascondevano nel fumo grigio-azzurro della buca.

— Sono senza pilota, — disse Vadim.

— Si, — disse Anton.

— Dunque, c’e qualcuno che le manda. Probabilmente per i lavori di ricostruzione. E troveremo della gente all’altro capo della strada… — Vadim si interruppe. — Senta un po’, Saul, — disse, — c’erano macchine del genere al tempo dei sacchi di juta?

Saul non rispose. Guardava in basso come incantato e in faccia gli si leggevano ammirazione ed entusiasmo. Alzo su Vadim gli occhi stralunati. Le sopracciglia cespugliose erano irte.

— Che tecnica! — disse. — Che processione epica! Che proporzioni grandiose! Non se ne vede la fine!

Vadim si stupi e guardo pure lui in basso.

— Ma che cosa c’e di straordinario? — chiese. — Ah! Le proporzioni! Si, le proporzioni sono assurde. Per ricostruire la citta basterebbe una dozzina di robot.

Guardo di nuovo Saul. Saul sbatte in fretta le palpebre.

— A me invece piace, — disse. — E molto bello. Possibile che non veda com’e bello?

— Vadim, — disse Anton, — segui la strada. Visto che abbiamo iniziato, cerchiamo di capirci qualcosa.

Vadim accelero. In basso il torrente delle macchine si fuse in un nastro multicolore.

— Ecco, ora e bello, — disse Vadim. — Ma lei, Saul, non mi ha risposto. Sono compatibili i sacchi di juta con questa tecnica?

— E perche no? Dalle citta distrutte la gente e scappata cosi com’era. Quanto la preoccupano quei sacchi di juta! I sacchi di juta sono esistiti per alcuni secoli. Sono una cosa comoda e di poco prezzo. Potevano servire per portare i ceppi, ad esempio.

— Quali ceppi?

— I ceppi di legno. Per riscaldare il bagno.

Vadim ricordo la storia del foglio bagnato e rimase zitto, guardando avanti. Non si vedeva la fine ne della autostrada ne della colonna di macchine. Da entrambi i lati della strada fino all’orizzonte si stendeva una pianura di neve intatta. Vadim accelero ancora. Che razza di lavoro assurdo, pensava. Si gettano nel fumo come in un abisso. Calcolo le dimensioni approssimative della buca e la quantita di macchine che vi finivano dentro. Non aveva proprio senso. Comunque io non sono ingegnere. Un qualsiasi umanoide di Tagora — la erano tutti ingegneri — avrebbe detto che questa strada non era altro che un grande nastro trasportatore, che portava i pezzi di una macchina di medie dimensioni fino a un reparto sotterraneo di montaggio. E invece un pastore del pianeta Leonida avrebbe pensato che si trattasse di un gregge di animali, inviato dal pascolo al mattatoio.

— Anton, — chiamo. — Te lo immagini un Leonidiano al posto nostro?

Anton rispose:

— Un Leonidiano scemo direbbe che e tutto chiaro. E uno intelligente che i dati sono insufficienti.

Si, i dati erano insufficienti. Tutte le macchine vanno verso sud e non ne torna indietro neppure una. Se veramente vanno a ricostruire la citta, allora fungono loro da materiale di costruzione. E perche no?

— Sapete, — disse all’improvviso Saul, — ho addirittura un po’ di paura. Quanti chilometri abbiamo gia fatto? Quaranta? E ci sono ancora macchine che vanno e vanno.

— Avrebbero fatto meglio ad utilizzare questa tecnologia per cercare i dispersi, — osservo Vadim.

— No, lei si sbaglia, — obietto Saul. — In questi casi non ci si occupa del singolo individuo.

— Come sarebbe a dire, non del singolo individuo? Per chi ricostruiscono la citta? A quei ragazzi la citta non serve piu…

Saul scosse la mano con aria seccata.

— Durante l’esplosione ne sono, probabilmente, morti a decine di migliaia di quei ragazzi. Peccato, certo, pero non e il caso di occuparsi oltre di loro.

Vadim sussulto facendo sbandare il bioplano.

— Mi scusi, Saul, ma il suo comodo studio e la storia hanno avuto su di lei un effetto terribile. Lei fa dei ragionamenti inauditi. Adesso magari ci verra anche a dire che il fine giustifica i mezzi.

— A volte li giustifica, — assenti Saul freddamente.

Vadim si trattenne. E un fossile di un’altra epoca, penso. Ma prova un po’ a lasciarlo senza calzoni in mezzo alla neve, e vedrai come si offende che tutta la tecnologia del pianeta non corra in suo aiuto! A questo punto Vadim scorse una traversa e freno bruscamente.

Il sentiero partiva dalla strada principale e andava verso oriente, zigzagando fra le colline.

— E la prima strada in un’altra direzione, — disse Vadim. — Cambiamo rotta?

— Non vale la pena, — disse Saul. — Che cosa potrebbe esserci di interessante?

Anton era indeciso. Ma come tentenna, penso con ira Vadim. Sembra proprio un’altra persona.

— Allora? — disse. — Io propongo di continuare per la strada principale.

— Anch’io, — disse Saul. A tornare indietro facciamo sempre in tempo. Non e vero, Vadim?

— Va bene, vola dritto, — disse incerto Anton. — Vola dritto. Pero… tenete presente… Va bene, vola dritto.

Vadim di nuovo slancio il bioplano lungo la strada.

— Ma che cosa hai oggi, Anton? — gli chiese. — Sei incerto come un paladino al bivio: se vai a destra perdi il bioplano, se vai a sinistra, la vita…

— Avanti, guarda avanti, — rispose Anton con tono tranquillo.

Vadim si strinse nelle spalle e con ostentazione comincio a guardare davanti a se. Cinque minuti dopo vide

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