— Si, e non cerchi di fermarmi.

— Non ci penso nemmeno, — disse Anton. — Pero stia attento.

Ora Vadim aveva capito e si mise a guardare lo skorcer. A quanto pare, penso, ora comincera qualcosa che non riusciro mai a descrivere… e nemmeno a capire.

Sull’autostrada tutto era come prima. Come il giorno prima e come cento anni prima, le macchine procedevano senza rumore in file uniformi. Uscivano dal fumo e rientravano nel fumo. E cosi si poteva continuare all’infinito. Ma Saul fece atterrare il bioplano ad una ventina di metri di distanza, abbasso la cappotta e appoggio la canna dello skorcer sul bordo.

— Non sopporto nulla di eterno, — disse con calma inattesa, e fece fuoco.

Il primo colpo centro una grande macchina che pareva una tartaruga. La corazza volo in pezzi come un guscio d’uovo e la piattaforma si mise a girare su se stessa, travolgendo e fracassando i piccoli veicoli verdi che la seguivano.

— E impossibile cambiare le leggi della storia… — disse Saul.

Una gigantesca torre nera, montata su ruote, s’incendio con un boato. Un’altra torre si rovescio, ostruendo una parte della strada.

— … pero si puo correggere qualche errore storico, — continuo Saul, mirando.

Il lampo violetto della scarica di milioni di volt esplose sotto una macchina arancione, che pareva un sintetizzatore da campo, e ne fece volare in alto i frantumi.

— … anzi e necessario correggere questi errori, — termino Saul, senza smettere di sparare. — Il feudalesimo e gia di per se abbastanza sporco.

Poi tacque. A destra il cumulo dei rottami roventi andava crescendo. A sinistra, per la prima volta, forse, da migliaia di anni, la strada era libera. Passavano soltanto macchine isolate che avevano trovato per caso un varco nella cortina di fuoco. Poi il cumulo fiammeggiante crollo fragorosamente, sollevando una colonna di cenere e scintille, e nuove file di macchine si riversarono sull’autostrada coperta di nubi di fumo. Saul bestemmio, impugnando di nuovo lo skorcer. Rimbombarono nuove scariche. Altre macchine si incendiarono. La montagna di rottami arroventati riprese a crescere. Si levarono pesanti nembi neri, attraversati da fontane di scintille. Dalle nuvole di fumo cadevano fiocchi lanuginosi di cenere. La neve diventava nera e fumigava. Sull’autostrada si era sciolta.

Vadim sedeva, tenendo ferma coi piedi la cassetta dell’analizzatore, e chiudeva gli occhi, rabbrividendo ad ogni sparo. Infine si abituo e smise di sbattere le palpebre. Per molte volte di seguito rivide la stessa scena: sull’autostrada la montagna fiammeggiante tornava a crescere, poi crollava di nuovo, spargendo intorno relitti ardenti ed espirando rumorosamente vampate di calore insopportabile, mentre le macchine continuavano ad arrivare in un flusso incontenibile, incuranti di queste distruzioni. Non se ne vedeva la fine.

— Credo che basti, Saul! — disse Anton.

Poteva fare a meno di dirlo, penso Vadim. Saul smise di sparare — aveva finito i proiettili — e si era ripiegato su se stesso con la testa fra le braccia. La canna rovente dello skorcer era puntata verso il cielo. Vadim guardo la testa e le mani di Saul, coperte di fuliggine, e senti la sua enorme stanchezza. Non capisco, penso. Non e servito a niente. Povero Saul. Povero Saul.

— E la storia, — disse Saul con voce rauca, senza sollevare la testa. — Non si puo fermare niente.

Si raddrizzo e guardo i ragazzi.

— Dovete scusarmi, — disse. — Il cuore non ha retto. Non ne ho potuto fare a meno. Dovevo fare qualcosa.

Restarono a guardare a lungo la strada. Le macchine si susseguivano, una fila dopo l’altra, spingendo via i rottami, e facendo turbinare la cenere. Ben presto tutto torno come prima, a parte una macchia purpurea, che si raffreddava lentamente sull’autostrada, e la neve sporca tutt’intorno, e a lungo non si dissolse la cortina di fumo, oltre la quale tremolava, rosso e deformato, il disco della stella nana EN-7031.

Saul chiuse gli occhi e disse qualcosa di incomprensibile:

— Sono come i forni… Se distruggiamo solo i forni, ne verranno costruiti degli altri, e saremo al punto di prima.

Non lontano risuonarono grida lamentose, odiosamente familiari. Vadim volse il capo controvoglia. Sul sentiero che finiva nell’autostrada c’era una folla di uomini ischeletriti, vestiti di sacchi. Intorno a loro si agitavano indaffarati i portatori di picche, avvolti nelle pellicce. Che cosa cercano qui? si chiese Vadim con apatia. I guardiani fecero uscire dalla folla, spingendolo con i bastoni delle picche, uno di quegli infelici. Tremando e guardandosi alle spalle, questi oltrepasso la neve annerita e raggiunse l’autostrada. Una gigantesca torre lucente avanzo senza fretta verso il condannato. Egli guardo terrorizzato i guardiani, che gli urlarono qualcosa a proposito delle braccia. Il condannato chiuse gli occhi e spalanco le braccia. La macchina lo schiaccio e passo oltre. Saul si alzo. Lo skorcer cadde sul pavimento con un tonfo sordo.

— Voglio spaccargli il muso, — disse Saul. Le dita gli si piegavano e tornavano a distendersi.

Anton lo trattenne per la casacca.

— Parola d’onore, non serve.

— Lo so, — Saul si rimise a sedere. — Credete che non lo sappia? Ma perche non posso fare niente? Perche non sono riuscito a fare niente ne qui ne la?

I guardiani spinsero sulla strada un altro condannato. Il primo fu lasciato steso dov’era, piatto come un sacco vuoto. Il secondo spalanco le braccia e ando a mettersi davanti ad una piattaforma rossa, sormontata da una scatola cubica. La piattaforma rallento e si arresto a due passi da lui. I guardiani gridarono. Il condannato sollevo le braccia e comincio a retrocedere verso il sentiero. La macchina rossa lo segui come incatenata. Raggiunto il sentiero, procedette dietro di lui in direzione della conca, sobbalzando pesantemente sulle asperita. Intanto sull’autostrada sfilavano senza interruzione altre macchine.

— Ho fatto una sciocchezza, — disse amaramente Saul. — Sgridatemi. Comunque qui si dovra cominciare con qualcosa del genere. So che tornerete qui. Ebbene, ricordatevi che bisogna sempre cominciare con cio che semina il dubbio… Ma perche non mi rimproverate?

Vadim si limito a sospirare, rabbrividendo. Anton rispose con dolcezza:

— Perche mai, Saul? Lei non ha fatto nulla di male. Ha fatto soltanto strane cose.

VIII

— Dimka, — disse Anton, — va’ a vedere come sta Saul.

Vadim si alzo e usci dalla sala dei comandi. Scese nel quadrato ed ando a dare un’occhiata nella cabina di Saul. Era piena di fumo. Saul giaceva sul divano, nella stessa posizione in cui l’avevano messo dopo il salto subspaziale. Vadim gli si sedette accanto e gli tocco la fronte. Scottava. Saul borbottava confusamente:

— Gallette… abbiamo bisogno di gallette… Ma perche mi portate le forbici? Sono da sarto… non sono mica forbicine da manicure… Io vi chiedo le gallette… e voi mi portate le forbici… — sussulto all’improvviso e riprese con voce stridula: — Zum befail, signor capoblocco… Nossignore, stiamo ammazzando i pidocchi.

Vadim gli accarezzo una mano inerte. Stringeva il cuore guardare Saul. Addolora sempre vedere in tali condizioni un uomo forte e sicuro di se. Saul apri lentamente gli occhi.

— Ah… — disse. — Vadim… Dimoska… Non devi credere chissa che cosa… Gli interrogatori non sono mai una cosa piacevole… Non devi pensar male di me… Tornero… E stato semplicemente un momento di debolezza… Ma adesso mi sono un po’ riposato e tornero… Sbarro gli occhi. Vadim lo guardava con compassione.

— Stiamo bruciando di nuovo… — borbotto Saul. — Bruciamo come legna. Stepanov sta bruciando! Presto, nel bosco, nel bosco!

Vadim sospiro e si alzo. Si guardo intorno. Nella cabina c’era un terribile disordine. La strana borsa di Saul era caduta sui pavimento, aprendosi. Il contenuto si era sparpagliato: strane cartelle di cartone grigio, piene di fogli, decorate con la raffigurazione stilizzata di un uccello con le ali spalancate. Una si era aperta ed i fogli si erano

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