argomento che gli piaceva moltissimo, come tutte le cose che gli ricordavano la Terra. Eugenia lo aveva ascoltato con un misto di entusiasmo e di apprensione; con entusiasmo, perche voleva essere partecipe del suo interesse, dato che avrebbe potuto rafforzare la loro unione; con apprensione, perche temeva che il suo interesse per la Terra potesse allontanarlo da lei… come poi era successo.

Strano che avvertisse ancora quella fitta dolorosa… ma, era piu tenue adesso? In realta, le sembrava di non ricordare la faccia di Crile, di rammentare solo il ricordo ormai. Permaneva solo il ricordo di un ricordo, adesso, tra lei e Siever Genarr?

Eppure, era il ricordo di un ricordo a tenere legato Rotor al calendario. Rotor non aveva mai avuto stagioni. Aveva l’anno, naturalmente, perche (come tutte le Colonie del sistema TerraLuna, escludendo quindi solo quelle poche Colonie che ruotavano attorno a Marte o che erano in fase di costruzione nella fascia degli asteroidi) accompagnava la Terra nel suo viaggio intorno al Sole. Ma senza stagioni, l’anno non aveva nessun significato. E tuttavia, continuava a esistere, coi mesi e le settimane che lo formavano.

Rotor aveva anche il giorno, un giorno artificiale di ventiquattr’ore, durante il quale la luce solare veniva lasciata entrare per dodici ore e bloccata per le altre dodici. Rotor avrebbe potuto scegliere una durata diversa, ma aveva adottato il giorno terrestre diviso in ventiquattr’ore di sessanta minuti, coi minuti di sessanta secondi. (I giorni e le notti almeno avevano una durata uniforme di dodici ore.)

Occasionalmente sulle Colonie si era parlato di adottare un sistema diverso: numerare semplicemente i giorni e raggrupparli in decine e multipli di dieci. Quindi: decagiorni, ettogiorni, chilogiorni. E come sottomultipli: decigiorni, centigiorni, milligiorni. Ma in realta era impossibile.

Le Colonie non potevano introdurre ognuna un proprio sistema, perche per le comunicazioni e i commerci sarebbe stato il caos. E l’unico sistema unificato possibile era quello della Terra, dove viveva ancora il novantanove per cento dell’umanita, e, alla quale, la tradizione legava tuttora il restante un per cento. Il ricordo faceva si che Rotor e tutte le Colonie seguissero un calendario che per loro non aveva alcun valore intrinseco.

Ma adesso Rotor aveva lasciato il Sistema Solare, era un mondo isolato, solo. Non esistevano piu il giorno o il mese o l’anno in senso terrestre. Non era nemmeno la luce del sole a separare il giorno dalla notte, perche la luce diurna di Rotor era artificiale, splendeva per dodici ore, poi si spegneva per altre dodici. La brusca precisione del passaggio non era interrotta neppure dall’oscuramento e dallo schiarimento graduale che avrebbe potuto simulare il crepuscolo e l’alba. Sembrava un particolare superfluo. E nell’ambito di quella divisione gli individui tenevano accesa la luce e la spegnevano a seconda dei loro capricci e delle loro esigenze, ma contavano i giorni in base al tempo della Colonia… che era quello della Terra.

Perfino nella Cupola di Eritro, dove c’erano un giorno e una notte naturali che venivano usati indifferentemente come riferimento dalla gente che si trovava li, nei calcoli e nei conteggi ufficiali si adottava il giorno della Colonia, che non corrispondeva a quello locale, che era ancora legato a quello della Terra (il ricordo di un ricordo).

Adesso il movimento per l’abbandono del giorno come unita di misura fondamentale del tempo si stava rafforzando. Eugenia sapeva che Pitt era favorevole all’adozione del sistema decimale, eppure perfino Pitt esitava a proporla, temendo di suscitare un’opposizione accanita.

Ma forse le cose erano destinate a cambiare. L’insieme disordinato e tradizionale delle settimane e dei mesi sembrava meno importante. Le festivita tradizionali venivano ignorate con maggior frequenza. Eugenia, nel suo lavoro di astronoma, usava i giorni come unica unita significativa. Un giorno il vecchio calendario sarebbe morto, e nel futuro remoto sarebbero stati introdotti sicuramente nuovi metodi per misurare il tempo… un calendario galattico standard, forse.

Ma adesso Eugenia si ritrovava a guardare quanto tempo mancava all’inizio del nuovo anno, un anno che iniziava arbitrariamente. Sulla Terra, almeno, l’anno nuovo iniziava nel periodo di un solstizio… solstizio d’inverno nell’emisfero settentrionale, solstizio d’estate in quello meridionale. Esisteva un rapporto con l’orbita della Terra attorno al Sole, rapporto che solo gli astronomi ricordavano in modo chiaro su Rotor.

Ma adesso, anche se Eugenia era un’astronoma, l’unica cosa che caratterizzasse l’anno nuovo era l’imminente impresa di Marlene che si accingeva a uscire sulla superficie di Eritro… e quella data era stata scelta da Siever Genarr solo perche comportava un rinvio plausibile, ed Eugenia l’aveva accettata solo perche si stava interessando con uno zelo eccessivo dei sogni avventurosi di un’adolescente.

Eugenia smise di seguire il corso involuto dei propri pensieri, tornando al presente, e si accorse che Marlene la stava fissando con aria solenne. (Quando era entrata cosi piano? O Eugenia era talmente immersa nelle proprie riflessioni da non avere sentito i passi?)

«Ciao, Marlene» disse Eugenia, quasi in un sussurro.

«Non sei felice, mamma» fece la ragazza con serieta.

«Non c’e bisogno di essere un mostro di perspicacia per capirlo. Sei sempre decisa a uscire?»

«Si. Decisissima.»

«Perche, Marlene? Perche? Non puoi spiegarmi in modo che capisca?»

«No, perche tu non vuoi capire. Mi sta chiamando.»

«Ti sta chiamando, cosa

«Eritro. Vuole che vada la fuori.» Il viso solitamente cupo di Marlene sembro illuminarsi di una felicita furtiva.

Eugenia esplose. «Quando parli cosi, Marlene, ho proprio l’impressione che tu sia gia stata contagiata da… da…»

«Dal Morbo? No. Zio Siever mi ha appena fatto fare un’altra analisi cerebrale. Gli ho detto che non era necessario, ma lui ha risposto che ci servivano questi dati prima di uscire. Sono perfettamente normale.»

«Non ci si puo fidare completamente delle analisi cerebrali» commento Eugenia accigliata.

«Nemmeno delle paure di una madre» replico Marlene. Poi, in tono piu concilinate: «Mamma, ti prego… Lo so che vuoi guadagnare tempo, ma non sono disposta a rimandare. Zio Siever ha promesso. Anche se piovera, anche se ci sara cattivo tempo, io usciro. In questo periodo dell’anno, non ci sono mai perturbazioni violente o temperature proibitive. Non ci sono quasi mai, qui. E un mondo meraviglioso».

«Ma e desolato… morto. A parte i germi» ribatte astiosa Eugenia.

«Ma un giorno diffonderemo la vita su questo mondo.» Marlene distolse lo sguardo, l’espressione sognante. «Ne sono sicura.»

LVI

«La tutaE e una tuta normalissima» spiego Siever Genarr. «Non e pressurizzata. Non e una tuta da immersione ne una tuta spaziale. Ha un casco, una riserva d’aria compressa che puo essere rigenerata, e un piccolo scambiatore di calore che mantiene la temperatura a un livello piacevole. Ed e ermetica, naturalmente.»

«Mi andra bene?» chiese Marlene, guardando con una smorfia di disgusto l’involucro di pseudotessuto piuttosto spesso.

«Be’, non sarai elegante» rispose Genarr, gli occhi raggianti. «Non e un indumento elegante, e pratico.»

«Non mi interessa la bellezza, zio Siever» disse Marlene, il tono leggermente esasperato. «Ma non voglio sguazzarci dentro. Se intralcia i movimenti, non vale la pena di metterla.»

Eugenia, che stava osservando la scena un po’ pallida, intervenne. «La tuta e necessaria per proteggerti, Marlene. Non m’importa se e troppo larga.»

«Ma non deve essere scomoda, no, mamma? Se per caso mi andasse bene, mi proteggerebbe ugualmente.»

«Questa ti andra abbastanza bene» disse Genarr. «E la migliore che siamo riusciti a trovare. Sai, abbiamo solo tute di taglia grande, per adulti.» Si giro verso Eugenia. «Non le usiamo molto oggigiorno. Per un certo periodo, dopo che il Morbo e cessato, abbiamo compiuto delle esplorazioni, pero ormai conosciamo abbastanza i dintorni della Cupola e, le rare volte che usciamo, di solito usiamo i veicoliE, mezzi di trasporto chiusi.»

«Vorrei che usaste un veicoloE anche adesso.»

«No!» esclamo Marlene, mostrando di non gradire il suggerimento. «Sono gia uscita su un veicolo. Questa volta voglio camminare. Voglio… sentire il terreno sotto i piedi.»

«Sei pazza» disse Eugenia, contrariata.

Marlene replico immediatamente. «Dovresti smetterla di insinuare…»

«Dov’e finito il tuo acume intuitivo? Non mi riferivo al Morbo. Intendevo dire semplicemente che sei pazza, matta, nel senso… Oh, Marlene, stai facendo impazzire anche me… Siever? Se queste tute sono vecchie, come fai a

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