Scuotivento, con il Bagaglio sempre alle calcagna, percorse un sentiero di schegge di marmo che lo condusse alla parte posteriore del cottage, e apri una porta.

Al di sopra della sacchetta per foraggio sospesa al loro muso, lo fissavano quattro cavalli. Bestie in carne e ossa, tra le meglio accudite che il mago avesse mai visto. Un grosso animale bianco aveva un box tutto per se e sulla porta erano sospesi finimenti neri e d’argento. Gli altri tre cavalli, legati a una mangiatoia sulla parete di fronte, come se i visitatori fossero appena arrivati, lo guardarono con vaga curiosita animalesca.

Il Bagaglio gli urto una caviglia. Scuotivento si giro di scatto e sibilo: — Pussa via, tu!

Quello indietreggio, con aria contrita.

Il mago ando in punta di piedi alla porta in fondo e l’apri con cautela. Dava su un corridoio lastricato di pietre, che si apriva a sua volta su un vasto ingresso.

Scuotivento avanzo strisciando contro la parete. Dietro a lui il Bagaglio si alzo sulla punta dei piedini e saltello in avanti nervosamente.

Quanto all’ingresso…

Be’ non era il fatto che fosse notevolmente piu grande di quanto l’intero cottage gli fosse sembrato dall’esterno, che turbava Scuotivento. Come andavano le cose in quei giorni, lui si sarebbe fatto una risata sarcastica se gli avessero detto che era impossibile versare due pinte in un boccale da una sola. E non era nemmeno lo stile, cripta primitiva, con una quantita di drappi neri.

Era l’orologio. Molto grande, occupava lo spazio tra due scale di legno semicircolari, coperte da cose scolpite che gli uomini normali vedono soltanto in preda agli effetti di sostanze allucinogene.

L’orologio aveva un pendolo molto lungo. E il pendolo oscillava con un lento tic-tac che faceva arrotare i denti al mago. Era infatti quel genere di ticchettio intenzionale e irritante, deciso a chiarirti senza ombra di dubbio che ogni tic e ogni tac si portava via un altro secondo della tua vita. Quel genere di suono che ti suggeriva esplicitamente che, da qualche parte, in un’ipotetica clessidra, altri granelli di sabbia ti sfuggivano da sotto i piedi.

Inutile dire che sul pendolo il peso era a lama di coltello e affilato come un rasoio.

Scuotivento si senti battere nelle reni e si volto arrabbiato.

— Senti, figlio di una valigia, ti ho detto…

Non era il Bagaglio. Era una giovane donna… capelli argentei, occhi argentei, e piuttosto sconcertata.

— Oh! Uhm. Salve! — esclamo il mago.

— Sei vivo? — chiese lei. Aveva una voce che si associa agli ombrelloni da spiaggia, olio abbronzante e bibite ghiacciate.

— Be’, spero — rispose Scuotivento. Si chiedeva se le sue glandole se la spassavano, ovunque fossero. — A volte non ne sono cosi sicuro. Che cos’e questo posto?

— Questa e la casa della Morte.

— Ah! — Si passo la lingua sulle labbra secche. — Bene, piacere di averti incontrata. Credo che dovrei proseguire…

Lei batte le mani. — Oh, non devi andartene. Non ci capita spesso di avere qui dei vivi. I morti sono cosi noiosi, non credi?

— Uh, si — convenne con fervore il mago, con un’occhiata alla porta. — Non molta conversazione, immagino.

— Dicono sempre 'Quand’ero vivo…' e 'Ai giorni miei si sapeva davvero respirare'. — Gli poso sul braccio una piccola mano bianca e gli sorrise. — E poi sono cosi abitudinari. Per niente divertenti. Cosi formali.

— Rigidi? — suggeri Scuotivento. Lei lo stava spingendo verso un varco nella parete.

— Assolutamente. Come ti chiami? Io mi chiamo Ysabel.

— Ehm, Scuotivento. Scusami, ma se questa e la casa della Morte, cosa ci fai qui? A me non sembra che tu sia morta.

— Oh, io vivo qui. — Lo fisso con attenzione. — Dico, non sarai venuto a liberare il tuo amore perduto, vero? E una cosa che fa sempre irritare Mammina. Menomale, dice, che lei non dorme mai perche, se lo facesse, sarebbe tenuta sveglia dal calpestio dei giovani eroi che vengono quaggiu per riportare indietro un mucchio di sciocchine, dice.

— E un continuo, vero? — fu il debole commento del mago, mentre camminavano lungo un corridoio tappezzato di nero.

— Tutto il tempo. Per me, e molto romantico. Solo che, quando si lascia questo posto, e molto importante non guardarsi indietro.

— Perche no?

Lei alzo le spalle. — Non lo so. Forse la vista non e molto bella. Tu sei un eroe?

— Uhm, no. Non proprio. Affatto, in realta. Anzi, anche meno. Sono venuto soltanto in cerca di un mio amico — aggiunse, disperato. — Suppongo che tu non l’abbia visto? Un ometto grasso, chiacchiera un sacco, porta gli occhiali, veste in modo buffo.

Mentre parlava, si rese conto che forse gli era sfuggito qualcosa di vitale importanza. Chiuse gli occhi e tento di ricordarsi degli ultimi minuti di conversazione. Poi fu come lo colpissero con un sacchetto di sabbia.

— Mammina?

La ragazza abbasso pudicamente gli occhi. — A dire la verita, sono adottata. Lei mi ha trovata quand’ero piccola, dice. Era tutto molto triste. — Si rassereno. — Ma vieni a conoscerla… questa sera ha degli amici. Sono sicura che la interessera vederti. Non frequenta molta gente. E in effetti nemmeno io — aggiunse.

— Scusami — disse Scuotivento. — Ho capito bene? Stiamo parlando della Morte, si? Alta, magra, orbite vuote, abile con la falce?

Lei sospiro. — Si, il suo aspetto e contro di lei, temo.

Mentre era vero (come gia e stato detto) che Scuotivento stava alla magia come una bicicletta a un calabrone, nondimeno conservava un privilegio accordato ai praticanti della sua arte. Cioe che, in punto di morte, la Morte stessa sarebbe andata a reclamarlo (invece d’incaricare del lavoro una minore personificazione antropomorfica mitologica, come succede di solito). In gran parte a causa dell’inefficienza, piu volte Scuotivento non era morto al momento giusto. E se c’e una cosa che alla Morte non piace e la mancanza di puntualita.

— Senti, immagino che il mio amico se n’e andato in giro da qualche parte — disse il mago. — Lo fa sempre, e la sua vita, piacere di averti conosciuta, devo andare…

Ma la ragazza si era gia fermata davanti a un’alta porta, ricoperta di velluto viola. Dall’altra parte si sentivano delle voci… voci soprannaturali. Il genere di voci impossibili da riprodurre da una normale tipografia. Almeno finche qualcuno non fabbrica una linotype con eco-riverbero e, possibilmente, caratteri come bava di lumaca.

Ecco cio che dicevano le voci:

— TI DISPIACEREBBE SPIEGARLO DI NUOVO?

— Be’, a meno che non rispondi con un atout, Sud mettera giu i suoi due atout, perdendo solo una Tartaruga, un Elefante e una Arcana Maggiore, poi…

— Quello e Duefiori! — sibilo Scuotivento. — Riconoscerei quella voce ovunque!

— ASPETTA UN MINUTO… SUD E LA PESTILENZA?

— Oh, dai, Mort. L’ha gia spiegato. E se la Fame avesse risposto, come si dice, con una carta dello stesso seme? - Era una voce un po’ affannosa, umidiccia, di per se gia contagiosa.

— Ah, allora avresti potuto giocare con una Tartaruga invece di due — rispose con entusiasmo Duefiori.

— Ma se la Guerra avesse scelto un atout dichiarato all’inizio, allora il contratto sarebbe sceso a due?

— Esatto!

— OUESTO NON L’HO AFFERRATO BENE, RIPETIMI LA FACCENDA DELLE OFFERTE PSICHICHE, CREDEVO DI AVERLO CAPITO. — Era una voce greve e cavernosa, simile al cozzo di due grossi pezzi di piombo.

— Succede quando si fa un’offerta per ingannare gli avversari, ma naturalmente potrebbe causare dei problemi al tuo compagno…

La voce di Duefiori andava avanti col suo solito entusiasmo. Scuotivento guardava Ysabel con aria perplessa mentre gli giungevano attraverso il pannello di velluto parole come 'supercontrare'. 'trattenuta doppia' e 'grande slam'.

— Tu ci capisci niente? — gli chiese lei.

— Nemmeno una parola.

— Sembra terribilmente complicato.

Dall’altra parte della porta la voce greve disse: — MAI DETTO CHE GLI UMANI GIOCANO A QUESTO PER DIVERTIMENTO?

— Certi diventano molto bravi a questo gioco, si. Io sono soltanto un dilettante, temo.

— MA VIVONO SOLO OTTANTA O NOVANTA ANNl!

— Tu dovresti saperlo, Mort. — Era una voce che il mago non aveva intesa prima e che certo non avrebbe mai desiderato udire di nuovo, specie dopo il calar della notte.

— E sicuramente mollo… intrigante.

— DISTRIBUISCI ANCORA IL CARTE E VEDIAMO SE HO CAPITO COME SI FA.

— Credi che dovremmo entrare? — domando Ysabel.

Una voce dietro la porta disse: — DICHIARO… IL FANTE DI TERRAPINS.

— No, scusa. Sono sicuro che ti sbagli, fammi dare un’occhiata alla tua…

Ysabel spalanco la porta.

Il locale era, in effetti, uno studio simpatico, forse un po’ sul tetro, creato in una giornata cattiva da un arredatore afflitto da emicrania e dalla mania di mettere grandi clessidre su ogni superficie piana nonche un sacco di grosse candele gialle e gocciolanti di cui voleva disfarsi.

La Morte del Disco era una persona tradizionalista che si vantava dei propri servizi e passava la maggior parte del tempo in depressione perche la cosa non veniva apprezzata. Lei argomentava che nessuno temeva la morte in se stessa, ma soltanto il dolore e la separazione e l’oblio. E che era affatto irragionevole prendersela con una semplicemente perche aveva le orbite vuote ed era fiera del proprio lavoro. Lei usava ancora una falce, faceva notare, mentre da un pezzo le Morti degli altri mondi avevano investito in mietitrebbiatrici.

La Morte sedeva a un lato di un grande tavolo coperto di panno nero al centro della stanza e discuteva accalorata con la Fame, la Guerra e la Pestilenza. Duefiori fu l’unico ad alzare gli occhi e a scorgere Scuotivento.

— Ehi, come hai fatto a venire qui? — domando.

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