— Be’, certi dicono che il Creatore ha preso una manciata… oh, capisco, be’, e difficile da spiegare ma io…

— Hai portato il Bagaglio?

La cassa di legno scanso il mago e ando a mettersi davanti al suo proprietario. Questi apri il coperchio e frugo dentro finche non tiro fuori un libricino rilegato in pelle e lo tese alla Guerra, che batteva sul tavolo il pugno guantato di ferro.

— E il Manuale delle Leggi del Contratto — disse l’ometto. — E eccellente, contiene un sacco di cose sulle varie regole e su come…

La Morte afferro il libretto con una mano ossuta e si mise a sfogliare le pagine, del tutto dimentica della presenza dei due uomini.

— GIUSTO — affermo. — PESTILENZA, APRI UN ALTRO MAZZO DI CARTE. NE VERRO A CAPO ANCHE A COSTO DI MORIRE, FIGURATIVAMENTE PARLANDO, E LOGICO.

Scuotivento afferro Duefiori e lo trascino fuori della stanza. Corsero giu per il corridoio con il Bagaglio che li seguiva al galoppo.

— Che cosa stava succedendo? — chiese all’amico.

— Be’, loro hanno un sacco di tempo disponibile e ho pensato che avrebbe potuto divertirli — ansimo Duefiori.

— Cosa? Giocare a carte?

— E un gioco speciale. Si chiama… — Duefiori esito. Il linguaggio non era il suo forte. — Nella tua lingua si chiama una cosa che si mette attraverso un fiume, per esempio — concluse. — Credo.

— Acquedotto? — oso Scuotivento. — Lenza? Chiusa? Diga?

— Si, puo darsi.

Giunsero all’atrio dove il grosso orologio scandiva via i secondi dalle vite del mondo.

— E per quanto tempo pensi che questo li terra occupati?

Duefiori ci riflette: — Non ne sono sicuro. Probabilmente fino a che l’ultimo atout… che orologio straordinario…

— Non provarti a comperarlo — io consiglio l’amico. — Non credo che da queste parti l’apprezzerebbero.

— Dov’e qui, di preciso? — domando Duefiori. Fece cenno al Bagaglio di avvicinarsi e apri il coperchio.

Scuotivento si guardo in giro. L’atrio era scuro e deserto, le finestre alte e strette arabescate di ghiaccio. Abbasso gli occhi. Ecco la tenue linea azzurra che si dipanava dalla sua caviglia. Ora vedeva che anche Duefiori ne aveva una.

— In certo modo siamo informalmente morti — rispose. Era il meglio che gli riusci di mettere insieme.

— Oh! — Duefiori non smise di frugare.

— La cosa non ti turba?

— Be’, alla fine le cose si aggiustano, non ti pare? Comunque, io credo fermamente nella reincarnazione. In che cosa ti piacerebbe di rinascere?

— Io non voglio andarmene — dichiaro il mago. — Forza, andiamocene da… Oh, no! Non quella.

Dalle profondita del Bagaglio l’ometto aveva estratto una scatola. Era larga e nera con una maniglia da un lato, una finestrella rotonda sul davanti e una cinghia per mettersela al collo, cosa che Duefiori fece.

C’era stato un tempo in cui a Scuotivento l’iconoscopio piaceva molto. Lui era convinto, contro ogni esperienza, che fondamentalmente il mondo fosse comprensibile e che gli sarebbe bastato equipaggiarsi con la giusta portautensili mentale per staccarne il retro e vedere come funzionava. L’iconoscopio non scattava le immagini facendo battere la luce su una carta trattata in modo speciale, come lui aveva immaginato. Ma con un metodo molto piu semplice, quello d’imprigionare un diavoletto dotato di senso del colore e di una mano svelta con un pennello. Scoprirlo lo aveva molto scosso.

— Non hai tempo per prendere delle immagini! — sibilo.

— Non ci vorra molto — replico Duefiori e batte ripetuti colpetti sul lato della scatola. Si apri una porticina e il diavoletto sporse fuori la testa.

— Che diavolo! — esclamo. — Dove siamo?

— Non importa — disse il turista. — Per prima cosa l’orologio.

Il demone aguzzo gli occhi. — La luce e poca — decreto. — Tre dannati anni a f8, se vuoi sapere come la penso. — Richiuse la porta con un tonfo. Un attimo dopo si udi il debole rumore del suo sgabello che veniva trascinato davanti al cavalletto. Scuotivento digrigno i denti.

— Non hai bisogno di prendere le immagini — urlo. — Ti basterebbe ricordartele!

Duefiori resto calmo. — Non e lo stesso.

— E meglio! Piu reale!

— Invece no. Negli anni a venire, quando siedera accanto al fuoco…

— Ci rimarrai seduto per sempre se non ce ne andiamo da qui!

— Oh, spero che non ve ne andiate.

Si girarono. Ysabel, in piedi sulla soglia, sorrideva debolmente. Reggeva in mano una falce, una falce dalla lama proverbialmente tagliente. Il mago cerco di non abbassare gli occhi per guardarsi la traccia azzurra della vita. Una ragazza con la falce non avrebbe dovuto sorridere in quel modo sgradevole, intenzionale e un po’ folle.

— In questo momento Mammina sembra un po’ preoccupata, ma sono sicura che non si sognerebbe mai di lasciarvi andare in questo modo. Inoltre — aggiunse — non ho nessuno con cui parlare.

— Questa chi e? — domando Duefiori.

— Diciamo che vive qui — borbotto il mago. — E, uhm, una ragazza.

Afferro l’amico per la spalla e cerco di avanzare impercettibilmente verso la porta nel giardino buio e freddo. Non funziono. In massima parte perche Duefiori non era persona da afferrare al volo le sottigliezze di espressione e poi perche era persuaso che nulla di male lo riguardasse.

— Incantato — disse. — Un posto molto carino, il suo. Interessante effetto barocco con le ossa e i teschi.

Ysabel sorrise.

Scuotivento penso: 'Se mai la Morte le lascia l’industria di famiglia, la ragazza se la cavera meglio di lei… e svitata'. A voce alta disse: — Si, ma dobbiamo andare.

— Non voglio sentirne parlare — protesto lei. — Dovete restare e raccontarmi di voi. C’e un sacco di tempo ed e cosi noioso qui.

Con un balzo laterale, vibro la falce per colpire due tracce lucenti. L’arnese taglio l’aria con un miagolio simile a quello di un gatto castrato… e si fermo di botto.

Lo scricchiolio del legno. Il Bagaglio aveva richiuso di scatto il coperchio sulla lama.

Duefiori guardo stupefatto Scuotivento. E il mago, con grande deliberazione e una certa soddisfazione, lo colpi al mento. L’ometto stava per cadere all’indietro, lui lo acchiappo, se lo mise in spalla e corse fuori.

Nel giardino illuminato dalle stelle, dei rami lo staffilavano ed esseri piccoli e pelosi, probabilmente orribili, sgattaiolavano via mentre lui pistava con tutte le forze seguendo la debole linea vitale che luccicava arcana sull’erba gelata.

Dal cottage alle sue spalle venne un grido acuto di delusione e di rabbia. Poco manco che il mago andasse a sbattere contro un albero, ma non si arresto.

Ricordava che da qualche parte c’era un sentiero. Ma in quell’intrico di luce argentea e di ombre, tinteggiato ora di rosso, via via che la nuova e terribile stella faceva sentire la sua presenza perfino agli inferi, niente sembrava giusto. Comunque, la linea vitale pareva andasse proprio nella direzione sbagliata.

Scuotivento senti dietro di se il rumore di passi. Ansimava dallo sforzo. Ma il rumore sembrava quello del Bagaglio, e in quel momento lui non desiderava davvero incontrare il Bagaglio, al quale potevano essere venute delle idee sbagliate sul fatto che lui aveva colpito il suo padrone. E in genere il Bagaglio azzannava le persone che non gli piacevano. Il mago non aveva mai avuto il coraggio di chiedere dove quelle andassero quando il pesante coperchio si richiudeva sopra di loro. Quel che e certo e che, quando si riapriva, dentro non c’erano.

In effetti, non avrebbe dovuto preoccuparsi. Il Bagaglio lo raggiunse senza difficolta, le sue gambette in un turbine di movimento. Al mago diede l’impressione di essere tutto concentrato sulla corsa, come se avesse qualche indizio di cio che lo inseguiva e l’idea non gli piacesse affatto.

'Non guardarti indietro' si disse Scuotivento. 'Probabilmente non e una vista molto piacevole.'

Il Bagaglio s’infilo dentro un cespuglio e spari.

Un momento dopo il mago vide perche. Aveva sbandato sull’orlo del pianoro e stava precipitando verso la grande cavita sottostante, in fondo alla quale scorgeva un chiarore rosso. Due baluginanti linee azzurre si dispartivano da Scuotivento e sparivano da sopra le rocce giu nella cavita.

Lui si fermo incerto. Benche questo non sia precisamente vero, visto che di diverse cose era invece certissimo. Per esempio, di non volere affatto saltare giu; di non volere affrontare qualunque cosa fosse che lo seguiva; e che, per essere nel mondo degli spiriti. Duefiori era davvero pesante. E che c’erano cose peggiori dell’essere morti.

— Nominane due — borbotto e si butto giu.

Pochi secondi dopo i cavalieri arrivarono e, giunti sul bordo delle rocce, non si arrestarono ma proseguirono semplicemente nell’aria e trattennero i loro cavalli sopra il nulla.

La Morte guardo giu.

— QUESTO FATTO MI IRRITA SEMPRE. — disse. — TANTO VARREBBE CHE INSTALLASSI UNA PORTA GIREVOLE.

— Mi chiedo che cosa volessero? - domando la Pestilenza.

— Non chiederlo a me — disse la Guerra. — Un gioco simpatico, pero.

— Giusto — convenne la Fame. — Coinvolgente, direi.

— ABBIAMO TEMPO PFR UN’ALTRA PASSATINA — disse la Morte.

— Mano — corresse la Guerra.

— CHE?

— Si chiamano mani — spiego la Guerra.

— VA BENE, MANI — dichiaro la Morte. Guardo in alto la nuova stella, incerta del suo significato.

— PENSO CHE ABBIAMO TUTTO IL TEMPO — ripete, un po’ dubbiosa.

Si e gia accennato al tentativo d’introdurre un po’ di onesta nella storia del Disco e come a poeti e bardi fosse proibito, pena la… oh. be’ pena la… di blaterare di

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