esecutivo, ed era al di fuori della scala gerarchica. Inoltre, un amico dovevo pur farmelo. — Magari si addolcira, una volta che saremo sotto peso.

— Sicuro.

Tecnicamente, eravamo gia sotto peso, perche stavamo avanzando lentamente verso la collapsar di Stargate a una gravita. Ma era solo per la comodita dell’equipaggio: e difficile chiudere le botole in caduta libera. Il viaggio vero e proprio sarebbe incominciato solo quando fossimo entrati nelle vasche.

Il salone era troppo deprimente, e cosi Charlie e io impiegammo le ultime ore di mobilita per esplorare l’astronave.

Il ponte sembrava una comune centrale di computer: avevano rinunciato al lusso dei videoschermi. Ci fermammo a rispettosa distanza mentre l’Antopol e i suoi ufficiali effettuavano l’ultima serie di controlli prima di calarsi nelle vasche e di affidare i nostri destini alle macchine.

Per la verita c’era un oblo, una bolla di plastica robustissima, in sala navigazione, a prua. Il tenente Williams non aveva niente da fare: la parte preinserzione del suo lavoro era completamente automatizzata. Percio fu ben lieto di farci da guida.

Batte un’unghia sull’oblo. — Spero che in questo viaggio non dobbiamo servircene.

— Come mai? — chiese Charlie.

— Lo usiamo solo se ci perdiamo. — Se l’angolo di inserzione deviava d’un millesimo di radiante, poteva darsi che noi finissimo dalla parte opposta della galassia. — Possiamo farci un’idea approssimativa della nostra posizione analizzando gli spettri delle stelle piu luminose. Come le impronte digitali. Identificatene tre, e possiamo effettuare la triangolazione.

— E poi trovate la collapsar piu vicina e ritornate sulla pista giusta — dissi io.

— E proprio quello, il problema. Sade-38 e l’unica collapsar di cui conosciamo l’esistenza nelle Nubi di Magellano. Sappiamo che c’e solo grazie ai dati catturati al nemico. Anche se riuscissimo a trovare un’altra collapsar, nel caso che ci perdessimo nella Nube, non sapremmo come inserirci.

— Magnifico.

— Ma in realta non saremmo veramente persi — disse Williams, con un’espressione abbastanza perversa. — Potremmo chiuderci nelle vasche, puntare verso la Terra e lanciarci a tutta forza. Ci arriveremmo in circa tre mesi, tempo della nave.

— Sicuro — dissi io. — Ma centocinquantamila anni nel futuro. — A venticinque gravita, puoi arrivare a nove decimi della velocita della luce in meno di un mese. E a partire da quel momento, sei nelle braccia di sant’Albert Einstein.

— Be’, e un inconveniente, sicuro — disse Williams. — Ma almeno scopriremmo chi ha vinto la guerra.

Ti veniva fatto di chiederti quanti soldati avessero tagliato la corda in quel modo. C’erano quarantadue Forze d’Attacco perdute, non si sapeva bene ne dove ne come. Era possibile che tutte stessero viaggiando nello spazio normale, a una velocita prossima a quella della luce, e che ricomparissero a Stargate o sulla Terra, una dopo l’altra, nei secoli futuri.

Era un sistema comodo per imboscarti, perche, una volta che uscivi fuori dalla catena dei balzi tra collapsar, rintracciarti era praticamente impossibile. Purtroppo, la sequenza dei balzi era preprogrammata dal Comando della Forza d’Attacco; il navigatore umano entrava in scena solo se un errore di calcolo ti mandava a finire in un posto sbagliato, e schizzavi fuori in una parte diversa dello spazio.

Charlie e io andammo a ispezionare la palestra, abbastanza grande per ospitare una dozzina di persone alla volta. Lo pregai di preparare un elenco, in modo che tutti potessero esercitarsi per un’ora al giorno, quando non eravamo nelle vasche.

La sala mensa era solo un po’ piu spaziosa della palestra, e anche facendo quattro turni, i pasti si sarebbero consumati spalla a spalla. E il salone della truppa era ancora piu deprimente di quello degli ufficiali. Prima che quei venti mesi fossero passati, mi sarei trovato alle prese con un bel problema, per quanto riguardava il morale della truppa.

L’officina dell’armiere era grande quanto la palestra, la mensa e i due saloni messi insieme. Era indispensabile, dato il gran numero delle armi per fanteria che erano state realizzate nel corso dei secoli. L’arma fondamentale era ancora lo scafandro da combattimento, anche se era molto perfezionato rispetto al primo modello in cui mi avevano infilato poco prima della campagna di Aleph-zero.

Il tenente Riland, l’ufficiale armiere, sovrintendeva al lavoro dei quattro subordinati, uno per plotone, che effettuavano un ultimo controllo della sistemazione delle armi. Era probabilmente il compito piu importante, se si pensava a quello che poteva succedere, a venticinque gravita, a tutte quelle tonnellate di esplosivi e di sostanze radioattive.

Ricambiai il saluto di Riland. — Tutto a posto, tenente?

— Sissignore, a parte quelle maledette spade. — Da usarsi nei campi di stasi. — Non riusciamo a orientarle in modo che non si pieghino. Speriamo solo che non si spezzino.

Non riuscivo a capire neppure lontanamente i principi che stavano alla base del campo di stasi; l’abisso tra la fisica moderna e il mio diploma nella stessa materia era ampio quanto il tempo che separava Galileo da Einstein. Ma gli effetti li conoscevo.

Niente poteva muoversi a una velocita superiore ai 16,3 metri al secondo all’interno del campo, che era un volume emisferico (sferico nello spazio) del raggio di circa cinquanta metri. All’interno, non esistevano radiazioni elettromagnetiche: niente elettricita, niente magnetismo, niente luce. Dallo scafandro, potevi vedere quello che ti circondava in un monocromatismo spettrale: il fenomeno mi era stato spiegato elegantemente come 'trasferimento di fase della quasi-energia filtrante da una realta tachionica adiacente'. Per me, era come se mi avessero parlato del flogisto.

Il risultato, comunque, era che rendeva inutile tutte le armi belliche convenzionali. Persino una bomba nova, dentro al campo, era un pezzo di materia inerte. E qualunque essere, terrestre o taurano, preso dentro al campo senza un adeguato isolamento, sarebbe morto in una frazione di secondo.

All’inizio era parso che avessimo trovato l’arma assoluta. C’erano stati cinque scontri in cui intere basi taurane erano state spazzate via senza perdite umane al suolo. Bastava semplicemente portare il campo vicino ai nemici (quattro soldati robusti potevano farcela, in una gravita di tipo terrestre) e poi guardarli morire mentre scivolavano dentro alla parete opaca del campo. Quelli che trasportavano il generatore erano invulnerabili, eccettuati i brevi periodi durante i quali dovevano spegnerlo per orientarsi.

Ma quando il campo era stato usato per la sesta volta, i taurani si erano preparati. Indossavano tute protettive ed erano armati di lance affilate, con le quali potevano trapassare gli scafandri dei portatori del generatore. Dopo quella volta, i portatori erano sempre andati in giro armati.

Si era avuta notizia di solo altre tre battaglie del genere, sebbene dodici Forze d’Attacco fossero partite con il campo di stasi. Le altre stavano ancora combattendo, o erano ancora in viaggio, oppure erano state annientate. Impossibile saperlo, a meno che tornassero indietro. E non dovevano tornare, se i taurani erano ancora padroni del 'loro' territorio: quella era 'diserzione davanti al nemico', il che significava la pena capitale per tutti gli ufficiali (anche se correva voce che venivano semplicemente sottoposti al lavaggio del cervello, ricondizionati e ributtati nella mischia).

— Useremo il campo di stasi, signore? — chiese Riland.

— Probabilmente. Non all’inizio, a meno che i taurani non siano gia la. Non mi affascina l’idea di vivere dentro a uno scafandro. — E non mi andava neanche l’idea di usare spada, zagaglia e coltello da lancio, anche se con quelle armi avevo spedito nel Valhalla una notevole quantita di illusioni elettroniche.

Diedi un’occhiata all’orologio. — Be’, sara meglio che scendiamo nelle vasche, capitano, ad assicurarci che siano tutti sistemati. — Avevamo ancora due ore, prima che cominciasse la sequenza dell’inserzione.

La sala delle vasche sembrava un’enorme fabbrica chimica. Aveva un diametro di cento metri abbondanti ed era piena zeppa di ingombranti apparecchiature dipinte di un uniforme grigioscuro. Le otto vasche erano disposte quasi simmetricamente intorno all’ascensore centrale, e la simmetria era guastata dal fatto che una di esse era grande circa il doppio delle altre. Era destinata al comando, per tutti gli ufficiali superiori e gli specialisti.

Il sergente Blazynski usci da dietro una delle vasche e saluto. Non ricambiai il saluto.

— Cosa diavolo e quello? — In quell’universo grigio, avevo visto una macchia di colore.

Вы читаете Guerra eterna
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату