movimento, perennemente tremante e instabile. Osservai le montagne prender forma per poi essere nuovamente erose dall’impeto dei secoli. Ma non potevo vedere le molecole formarsi e riformarsi, crescere e moltiplicarsi, minuscoli colloidi impalpabili che trovavano segreti dell’immortalita e della metamorfosi.

Aspettai da solo, o almeno cosi mi sembro.

Vidi il mondo cosi come avrebbe potuto vederlo un dio, ma non ero dio perche ero impotente, e nessun dio puo essere impotente se e destinato ad avere un significato al di la di se stesso.

Non avevo altra alternativa se non quella di imparare l’umilta e rendermi conto che, anche se il Fato non era una forza attiva e vitale, costituiva uno stato mentale che concepiva accuratamente il modo in cui si presentava la realta. In pochi secondi mi fu trasmessa una vasta gamma di esperienze, ma non rinunciai a quella transitorieta che poteva conferire un significato all’ambiente intorno a me. Cio che vedevo significava qualcosa, anche se in pratica non vedevo quasi nulla.

Piu tardi, non so quanto piu tardi, riuscii finalmente a individuare degli esseri viventi. Mi imbattei nei fragili organismi trasparenti che vivevano nei ruscelli e negli stagni, e che talvolta mi scorrevano accanto o si formavano intorno a me. Spesso ebbi l’impressione di essere sull’acqua e non sulla terra, altre volte, quando il suolo si muoveva, avevo la sensazione di fluttuare a mezz’aria. Ma la mia posizione non mi sembro mai precaria. Io restavo fermo e il tempo mi passava accanto.

Poi comparvero delle creature corazzate, alcune con duri gusci a spirale, altre con gusci appuntiti o spesse scaglie dentellate. Ma in un certo qual modo avevano ancora un aspetto fragile, come se le parti vitali si nascondessero in un bozzolo al minimo disturbo.

Non mi abituai mai completamente alla presenza della vita e di tutto cio che essa implicava, ovvero un flusso continuo, un incessante cambiamento. Inizialmente vidi la vita come una corsa precipitosa, un inesauribile caos di competizione, speranza, estinzione. Ma ben presto percepii uno schema differente, un’immagine profonda e radicata che andava al di la della turbolenza superficiale.

Vedevo in quella vita qualcosa di calmo e pacato, qualcosa che sapeva dove stava andando e avanzava con circospezione, un conquistatore sereno che avanzava con una strategia sicura, trascinando nella propria scia svariate escrezioni. Un unico filo, pero in qualche modo parte e funzione del tutto. La corrente primaria dell’evoluzione.

Ormai la terraferma era stata invasa e i mari completamente conquistati. Gli organismi primitivi uscivano tranquillamente e senza fretta da quel confortevole grembo per approdare al duro mondo dell’aria e della roccia. E la dove andavano le piante, seguivano gli animali. Appena un modo di vita era pronto per loro sulla terraferma, essi cominciavano a lasciare il mare.

Tuttavia per molto tempo la fucina della vita rimase il mare. La vita sulla terraferma era troppo ardua e troppo difficile perche le creature riuscissero ad adattarsi subito. Per un lungo periodo, che a me sembro durare un minuto o poco piu, ogni nuovo essere usci dal mare. Il sistema di vita terrestre comincio a muoversi in armonia e nella stessa direzione precisa solo dopo l’installazione di un migliaio di componenti di specie diverse. I nematodi uscirono dal mare, cosi come gli artropodi e infine i pesci. Gli osteolepidi privi di mandibola e muniti di esoscheletro salirono faticosamente sulla terraferma trasferendo la corrente primaria dell’evoluzione in questo nuovo habitat.

E cosi di seguito, procedendo con una precisione sempre evidente e visibile, mai confusa o nascosta.

Ormai mi ero completamente adeguato a questo nuovo modo di percepire il mondo. Penso che fossero passate solo quattro o cinque ore di tempo soggettivo. Ora non avevo piu difficolta a vedere cose, la cui durata media della vita poteva essere misurata solo in nanosecondi, costituirsi in un’immagine collettiva. Vedevo piu con la mente che con gli occhi, ma entrambi registravano gli eventi e si predisponevano alla contemplazione.

Giunsi a comprendere intimamente il senso della vita, ma non tentai di divinizzarla o attribuirle qualita mistiche o magiche. Parlo di “senso della vita” perche si muoveva in una direzione ben precisa, aveva uno scopo, non si limitava a esistere. Costituiva un vero processo e non una proprieta. Lo scopo era l’ordine, la conquista dell’intero universo. L’intento era chiaramente quello di sovvertire il principio entropico e portare ordine nell’intera esistenza.

Grandi foreste di felci e di calamitacee consumavano il terreno spoglio, trasformando i raggi di sole in energia che generava nuova vita nell’aria e nell’acqua. Le lumache di terra e gli insetti erano ovunque ma, per quel che riguardava la linea principale, era il giorno dei rettili, che rifluirono subito in varie direzioni: alcuni tornarono al mare, come tartarughe e ittiosauri, altri salirono sugli alberi, come l’archeopterige, il primo rettile-uccello. In quanto a dimensioni, i dinosauri erano impressionanti, ma non facevano parte della linea principale. Quando raggiunsero il pieno sviluppo, gia era sceso il crepuscolo dell’epoca dei rettili. Stavano arrivando i mammiferi. I rettili avevano inventato l’uovo protetto da un guscio solido, ma il ricordo a cui tenevo maggiormente era quello legato al brontosauro. Non si puo immaginare la commozione nel vedere la disperata maestosita dell’animale, sconcertato dalla sua stessa stazza e dalla sua debolezza, durante la breve vita della sua specie destinata a estinguersi.

I mammiferi sembravano animali nocivi, mentre erano ancora in vita i loro parenti, ma i piccoli insettivori furono i mansueti che ereditarono la Terra. Ormai mancava solo un soffio alla venuta dell’uomo. Virtualmente la sequenza era completa. Appena me ne resi conto, provai un brivido di sollievo. Poiche ormai mancavano solo pochi secondi, tentai nuovamente di prevedere cio che sarebbe avvenuto invece di esaminare cio che era stato.

Mentre l’uintaterio e il megaterio mi passavano accanto con andatura impettita e maestosa, mi rilassai per la prima volta da quando avevo bevuto l’elisir. Giunsero i cavalli, e i lupi e gli ippopotami, ma mi chiedevo se non fosse tutto un sogno, se Leon e l’uomo che viaggiava nel tempo non si fossero sbagliati, se dopotutto si potesse veramente tornare nel passato.

Cominciai a cercare di nuovo la linea principale, l’Uomo e gli antenati dell’Uomo. Vidi il mastodonte, il rinoceronte lanoso e la tigre dai denti a sciabola.

Ma non vidi l’Uomo. Era insignificante, si nascondeva tra gli alberi. Se avessi davvero guardato con attenzione avrei potuto scorgerlo, ma c’erano troppe cose da vedere e la mia attenzione veniva continuamente sviata.

Mi baleno in testa che, se John fosse stato li, lui si che avrebbe visto l’Uomo. Lui non si sarebbe fatto distrarre.

Poi tutto fini. L’intera storia passo in una manciata di microsecondi. Penso di poter dire che la vidi, ma solo come immagine fuggevole, la piu effimera delle illusioni.

John mi tocco la spalla.

— Credevo di sognare — dissi.

— No — intervenne Joaz. — Non era un sogno. Era una visione, una visione reale. Lo abbiamo visto davvero con i nostri occhi. — Joaz era alto e spettrale, aveva occhi scuri e una voce esile e acuta.

— Ma possiamo solo andare avanti nel tempo — insistetti.

— Non possiamo andare nel passato — disse John, e mi accorsi che c’era del rammarico nella sua voce per quell’Eta dell’Oro che era scivolata via in un istante senza che avessimo la possibilita di conoscerla meglio. — Pero lo abbiamo visto, e ora e dietro di noi, immobile e irraggiungibile. Ma c’e, e reale. Potevamo vederlo, e cosi e stato. Ma c’era troppo da vedere, e troppo poco tempo.

— Dove siamo? — si lamento Xavier. Xavier era basso e tarchiato, e aveva costantemente un tremito nella voce, ma non per paura. Xavier era soprattutto un uomo buono: uno che piangeva per i problemi altrui e rimproverava se stesso per i propri.

Mi guardai attorno. Era buio ma c’erano le stelle, le sagge, immobili stelle. Eravamo sulla stessa collina, i nostri sandali calpestavano la stessa erba. Scrutai nell’oscurita alla ricerca del monastero.

— Guardale — disse Xavier indicando davanti a se. — E ancora li, non ci siamo mossi neanche un po’. La droga non ha fatto effetto.

— Non e lo stesso — disse John pacatamente. Era fiducioso e stava assumendo il comando della missione. Dopotutto era la sua ricerca, la sua missione. — E disabitato, Xavier. Forse e anche in rovina. Non ci sono luci, Fratello. Non ci sono luci.

— Ma non lo avrebbero mai abbandonato! — protesto Xavier.

— Neppure in cent’anni — disse Joaz, ambiguo.

Restammo in contemplazione. Avevamo viaggiato nel tempo. Il passato era trascorso, per sempre. Vi fu un lungo silenzio.

Вы читаете Il giogo del tempo
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату