Poi John — non “poteva” che essere lui — scoppio a ridere. — Siamo qui. Stiamo viaggiando nel tempo. Avanti Matthew, prendimi per mano. Prendiamoci tutti per mano e andiamo. Andiamo!

In tanti anni era la prima volta che lo vedevo cosi esultante, cosi pieno di gioia. Ci diede una gomitata e ci spinse tutti e tre. Lo seguimmo, non avendo piu la forza di volonta per opporre resistenza.

Marciammo.

Continuammo a marciare e il tempo ci scorreva accanto sempre piu veloce, sempre piu veloce.

15. La danza

Sostammo ai piedi di una collina lunga e bassa. Eravamo molto stanchi. Avevamo camminato troppo pensando, insensatamente, che forse, poiche adesso controllavamo il passare del tempo, non avremmo piu avuto bisogno di dormire o riposare. Il giorno e la notte si susseguivano a nostro piacimento, ma l’orologio interno del nostro metabolismo continuava a mantenere un orario perfetto.

L’erba era scura e ruvida quella sera, il tempo umido e nebbioso. Il paesaggio appariva cupo, quasi deprimente, come un acquerello dipinto con colori pallidi e indefiniti.

— Questo non e un posto dove passare la notte — ci fece notare Joaz. — Dovremo andare avanti almeno un altro po’.

— Non riesco piu a fare un passo — disse Xavier, deciso. — Qui ci siamo fermati e qui intendo restare per almeno dieci minuti.

— Domani potrebbe andare molto meglio e non dev’essere lontano — intervenni.

— Sei proprio sicuro di raggiungere il domani? — domando Xavier. — In quest’ultima ora ho cercato spesso di fermarmi ogniqualvolta vedevo qualcosa per cui valeva la pena farlo, ma la mia mente non e ancora cosi raffinata. Forse con la pratica riusciremo a scegliere i luoghi con esattezza. Ma adesso, in questo momento, ho bisogno di riposo.

John aveva ascoltato la conversazione in silenzio, con grande serieta; non disse niente, accontentandosi di aspettare.

— Siamo legati in qualche modo gli uni agli altri — disse Joaz. — Ecco perche abbiamo difficolta a fermarci in un dato posto. Dobbiamo concentrarci tutti sullo stesso luogo.

— In che modo siamo legati gli uni agli altri? — domandai.

Joaz si strinse nelle spalle. — Non ne sono sicuro, ma suppongo attraverso uno stato mentale. Ci consideriamo come un gruppo e quindi restiamo insieme. In fin dei conti il viaggio nel tempo e solo una questione di percezione personale. Quello che pensiamo condiziona, se non cio che vediamo, perlomeno il modo in cui vediamo.

Non avevo voglia di cercare di capire dove voleva arrivare con i suoi discorsi. Mi accontentai di non capire. Quel continuo dialogo metafisico mi stava logorando. Che importava perche stavamo insieme finche vi restavamo? Di certo quella era l’unica cosa che contava, fino a quando uno di noi non si fosse ritrovato da solo e in difficolta, impossibilitato a ritornare dai compagni. Con un po’ di esitazione feci qualche passo, impaurito all’idea di poter scivolare nel tempo, sebbene sia Joaz sia John si muovessero con una certa liberta. Poi, preso coraggio, mi incamminai per la salita. — Niente in contrario se vado su e do un’occhiata intorno finche c’e luce? — domandai.

Mi ero rivolto a Joaz, che sembrava quello piu a suo agio, ma fu John a rispondermi. — Qualche minuto — disse. — Non di piu. E resta in vista. — Mi avviai verso la sommita della collina, affrettandomi per arrivare prima che la luce del tramonto svanisse.

Raggiunta la cima vidi, sull’altro versante, due figure che se ne stavano immobili mentre i loro vestiti fluttuavano nel vento. Esitai domandandomi se chiamare gli altri a dare un’occhiata, ma da un semplice sguardo mi resi conto che ne Xavier ne John sarebbero stati interessati, mentre Joaz mi dava le spalle. Mi voltai nuovamente a guardare trattenendo il respiro, ma non mi avvicinai.

Le due figure fissavano intensamente qualcosa che non riuscivo a vedere, non perche fosse nascosto, ma semplicemente perche non c’era. I due non parlavano… osservavano solamente. Erano rivolti quasi nella direzione opposta alla mia e ovviamente non potevano vedermi.

Dopo qualche istante dall’erba umida comincio a salire, lenta e irregolare, una nebbiolina iridescente. Strisciava pian piano, come fumo vivo, incurante del vento. Si levo proprio dal punto dove i due guardavano, a riprova del fatto che lo stavano aspettando.

Gradatamente l’iridescenza formo un pergolato di vividi colori.

Non riuscivo nemmeno a immaginare che tipo di sostanza fosse. Sembrava trarre energia da qualche parte, ma non avrei saputo dire se dall’aria o dal suolo. Comincio a espandersi in modo uniforme fino a circa due metri d’altezza. Poi smise di crescere e inizio a ruotare sul suo asse verticale. Non si riusciva ancora a scorgere una forma ben definita, anche se la rotazione imponeva alle particelle, sempre ammesso che si trattasse di particelle, una distribuzione discoidale.

Senza smettere di vorticare, l’aria colorata comincio a danzare. Volteggiando in modo ritmico e armonioso, dava l’impressione di seguire una melodia.

Una delle figure, alle quali finora avevo prestato ben poca attenzione, era una donna vestita di pizzo nero. Era immobile, fredda e irraggiungibile, e guardava con apparente indifferenza la nebbia colorata. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, ma il petto era proteso fieramente in avanti e la testa leggermente inclinata all’indietro, come se la donna cercasse di guardare dall’alto quella luce danzante. Teneva le braccia abbandonate lungo il corpo. Aveva un certo atteggiamento aristocratico.

La seconda figura, appena dietro alla donna, era un uomo. Teneva le braccia incrociate sul petto. Era piu basso di lei e vestito tutto di nero. Non riuscii a capire se fosse un suo compagno, un servo o una guardia.

Cominciai a spostarmi un poco, cercando un punto di vista migliore per osservare la coppia, ma ricordai l’ammonimento di John. Mi voltai a dare un’occhiata. Dietro a me Joaz stava salendo lentamente la collina. Riuscii a incrociare il suo sguardo e lo chiamai con un gesto. Joaz annui ma non affretto il passo.

Il disco iridescente cambio sagoma allungandosi e arrotondandosi per poi ondeggiare e tremolare assumendo un aspetto piu intricato. Lo osservai con attenzione, tentando di cogliere le complessita di quella nuova forma vagamente umanoide, ma il turbinio dei colori rendeva difficile individuare dei tratti precisi.

Joaz mi raggiunse, guardo la scena e si volto verso di me. — Che cos’e? — domando.

— E uscita dal terreno. La stavano aspettando. Non so perche.

Joaz ritorno a guardare la nube danzante che ora si muoveva piu lentamente, mentre i suoi colori parevano protendersi e pizzicare qualcosa nella mia mente.

— Mi fa male — dissi, e mi accorsi che non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla cosa. Provai un improvviso brivido di paura e cominciai a pensare che quella cosa mi provocasse, che ci fosse un che di osceno nel modo in cui si muoveva. Sapevo che anche Joaz ne era affascinato. Piu che vedere o sentire, percepivo la sua immobilita.

— Mi fa male — ripetei, felice di riuscire finalmente a parlare.

— Fa male anche a lei — disse Joaz, senza la minima emozione.

Era come se fosse iniziata una battaglia. La donna aveva stretto i pugni, continuava a serrarli. Il vento le premeva addosso il vestito e riuscii a vedere in risalto contro la stoffa sottile i muscoli della schiena irrigiditi.

Il buio stava calando in fretta e ora quella luce vivente era la sola fonte di illuminazione. Le stelle erano coperte da una spessa coltre di nubi. Sapevo che ormai John e Xavier dovevano essersi accorti della luce, ma non riuscivo a sentirli. Avrei voluto voltarmi per vedere se stavano salendo.

Il ritmo della danza accelero nuovamente.

Sentii la bocca tirarsi in una smorfia, ma era come se fossero stati i colori a farlo, non i miei muscoli. Sentivo la pelle pizzicarmi come per il freddo, e avevo la sensazione che gli occhi fossero stati trasformati in due palle di ghiaccio.

Sembrava che i colori stessero sottraendo calore al mio corpo.

Sentii una mano sulla spalla, una mano che gentilmente, ma fermamente, mi volto la testa. Non feci resistenza. La mia visuale passo dalla luce al viso di John.

La testa mi ronzava e tutte le sensazioni svanirono.

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