che conosco.
— Li conoscevo tutti… un tempo — sussurro il cantore di sogni. Mentre ci immergevamo sempre di piu in quel caos di colori, la nebbia divenne cosi fitta che la sagoma del vecchio a prua ando sempre piu confondendosi con un pulviscolo luminoso che si muoveva lentamente ora illuminandolo, ora facendolo sprofondare nell’oscurita piu cupa, mantenendo pero sempre quell’effetto cangiante e caleidoscopico che mi confondeva e mi spaventava piu di tutti gli strani fenomeni legati al cantore di sogni.
— Quanta strada dobbiamo percorrere ancora? — chiesi infine.
— Non piu del necessario — rispose il vecchio dall’oscurita. Di sicuro aveva colto la paura nelle mie parole poiche soggiunse: — Dimenticate che vi sia un uomo in queste ombre colorate. Non cercate di vedermi perche piu ci provate piu sara facile che mi perdiate.
Ero felice della presenza di John accanto a me, potevo sentirlo e vederlo senza pericolo di perderlo nella nebbia; ma anche i suoi lineamenti cominciarono a tremolare e a cambiare, quando la luce inizio a modificare in modo bizzarro quei tratti che sapevo essere reali e concreti: immaginai che fossero semplicemente illusioni.
Talvolta il cantore di sogni scompariva quasi del tutto, assumendo delle pseudo forme, come quella di una scimmia o di un grosso uccello. Una volta si trasformo in un’arpa, e io sentii quasi le corde vibrare, ma il silenzio prevalse e l’illusione scomparve in un istante. Mi chiesi quali strane forme plasmate dalla nebbia i suoi occhi vedessero in noi.
Alla fine fu la confusione ad avere la meglio. — Non riesco piu a distinguere nulla — dissi.
— Nemmeno io — mi fece eco John. — Ma se vuoi, puoi chiudere gli occhi e affidarti agli altri sensi. Io sono qui, accanto a te.
— Hai gli occhi chiusi? — volli sapere.
— Si.
Lo imitai. Potevo sentire il solido legno della barca sotto i piedi e le natiche. Potevo sentire i miei vestiti a contatto con quelli di John lungo tutto il lato sinistro. Mi sembro di riuscire a sentire anche il suo respiro.
— E reale — dissi. — E reale.
— Nulla e reale, eccetto una sola cosa, e questa cosa e piu di voi, di me o del lago di luce — disse il cantore di sogni.
Non gli badai.
— L’arpa e reale, vero? — domando John.
— Una parte. L’intero universo ne e una parte.
— E cos’e questa cosa?
— Lo vedrai a tempo debito. La nostra traversata e quasi finita.
Entrambi ricaddero nel silenzio e io rivolsi l’attenzione alla luce che ci avvolgeva, pronto a richiudere gli occhi nel caso mi fossi sentito nuovamente confuso o spaventato. Il mio mondo sembrava una lastra di vetro crepata qua e la, argentata per formare specchi in miniatura e trasparente al punto che riuscivo a vedervi l’eternita. A volte la luce echeggiava, risuonava e fluttuava, come se in quello schema ci fosse una logica che mi sfuggiva. Sembrava che tutte le proprieta ascrivibili alla materia, allo spazio e al tempo intesi come entita ben distinte, fossero qui riunite in un’unica forma basilare.
Lentamente la nebbia comincio a diradarsi. I contorni del cantore di sogni sfumarono nelle stesse forme abbozzate in precedenza, in un tormentoso chiaroscuro, poi infine nelle sue sembianze originarie.
Dall’aria scomparvero gradatamente mosaici di colori, e le facce svanirono in lontananza. Eravamo soli.
— La — indico il cantore di sogni.
Sembrava una citta: minareti e pagode, guglie e spigoli vivi, tutti di una sostanza simile a una luce colloidale, come se il lago si fosse rappreso in una serie di dipinti tridimensionali.
Per un istante capii qualcosa dell’affinita tra il lago e l’arpa che il cantore di sogni portava sempre con se. Nel lago c’era tutto quello che si poteva “vedere” nel mondo. Nell’arpa c’era tutto quello che si poteva “sentire”. Un diversivo dei sogni, ecco cos’era.
— Hai creato anche questo! — lo accusai.
— Sto cercando di farlo — disse lui. — Ma e molto difficile. Sto tentando di completare la mia opera ma ci sono talmente tante cose da fare. Un giorno pero costruiro molto piu di questa citta. Costruiro l’intero universo. Creero qualcosa di cui l’universo sara solo una parte.
— Cos’e questo posto? — domando John, che contemplava la schiera di torri e cupole.
— E mio — rispose semplicemente il vecchio cantore di sogni.
— Ma cosa dovrebbe essere? — insistette John, in tono pressante, come se fosse sul punto di scoprire qualcosa di importante. Non avevo certo bisogno di chiedere cosa fosse.
— E tutto me stesso. Il mio sapere, i miei ricordi, le mie emozioni, le mie molteplici forme. E ogni mio pensiero espresso in un’entita singola, ogni mio sogno realizzato. E il limite della mia creazione.
— Il limite? — domando John amaramente. — Non potra esserci altro? Sei vecchio, ma non stai per morire.
— Non ho piu tempo.
— No — disse John con un accenno di rassegnazione.
Rimasi in silenzio, seguendo le infinite rotondita della citta.
— Non sei l’Uomo Futuro, vero? — continuo John. Ora aveva un tono triste, non accusatorio. Aveva smesso di prendersela con il cantore di sogni per cio che non era. — Sei solo un’altra tappa sul cammino. Sei piu di noi ma non sei ancora abbastanza.
— Le cose non cambiano cosi in fretta, John — gli ricordai. — Ci vuole tempo.
— Non c’e tempo. Tutti i cambiamenti sono qui.
— Ma ci sono ancora delle tappe, dei livelli intermedi. L’Uomo Futuro deve svilupparsi, John.
— Ma e qui, da qualche parte.
Mi chiesi se lo fosse veramente.
Guardai il cantore di sogni che avvolgeva le sue dita contorte intorno all’arpa e la stringeva a se. E se lui fosse davvero divenuto l’Uomo Futuro, cosa sarebbe accaduto adesso?
Proprio cosi, cosa sarebbe accaduto?
— Mi dispiace — disse il cantore di sogni risvegliando le corde dell’arpa e riempiendo con una melodia maestosa e trionfale quel silenzio opprimente. — Sono solo quello che sono.
23. L’ultimo uomo
L’uomo risali la collina e ci venne incontro. Il cantore di sogni canterellava a bocca chiusa, seguendo la dolce melodia dell’arpa, ma senza mai distogliere lo sguardo dallo straniero. L’uomo alto, bruno, cadaverico aveva capelli corti e braccia anormalmente lunghe.
— Io ti conosco — disse al cantore di sogni.
Il vecchio fermo le corde dell’arpa. — Sono il cantore di sogni.
— E io sono l’ultimo uomo — sentenzio lo straniero con pretenziosita. Mi guardo come per sfidarmi a contraddirlo, e io non riuscii a sostenere il suo sguardo. John invece lo sostenne, ma non apri bocca.
— Cosa vuoi da me? — gli domando il cantore di sogni.
— Voglio viaggiare con te per un po’. Penso che tu mi possa portare la dove devo andare.
— Hai una meta? — chiese il vecchio appoggiandosi all’arpa. — Di quale meta puo aver bisogno l’ultimo uomo? Dov’e questo posto in cui devi andare?
Gli occhi scuri dell’uomo si chiusero. — Allora non mi ci condurrai?
Il cantore di sogni rise sommessamente. — Ma certo.
— Ma certo — gli fece eco l’altro. — Non puoi dirmi di no, vero?
— Perche dovrei farlo? Sono vecchio, ho vissuto novecento anni e in me vivono e scorrono innumerevoli secoli precedenti. E ora tu sei l’ultimo uomo, a parte i viaggiatori nel tempo. Ti portero ovunque tu voglia andare.
L’ultimo uomo scosse lentamente la testa. — Novecento anni — ripete, ma non lo disse con reverenza,