lucentezza aurea ed il sole vi splendeva al di sopra come un ornamento di ottone brunito, sgargiante, increspandosi e danzando allorche il vento alitava sullo specchio dell’acqua. Quel pomeriggio Marsh lo aveva passato a letto per una leggera indisposizione, ma si alzo di botto quando senti l’urlo della sirena, in risposta al richiamo di un altro battello che avanzava sul fiume, calmo e sicuro. Si stavano parlando. Marsh ne capiva il linguaggio; un battello in salita e uno in discesa che s’incrociavano dovevano decidere chi sarebbe passato a destra e chi a sinistra quando si sarebbero affiancati. Una simile occorrenza si verificava almeno una dozzina di volte ogni giorno. Ma questa volta c’era qualcosa nella voce dell’altro battello che lo attiro, che lo tiro via dalle lenzuola sudate, ed egli scese dalla sua cabina appena in tempo per vederlo passare; l’Eclipse, rapido ed altero, l’orpello dorato tra i fumaioli che luccicava nel sole, una folla di passeggeri radunata sui ponte, volute di fumo che si dipanavano e rotolavano dietro di esso. Gli occhi di Marsh lo seguirono mentre risaliva la corrente fino a che solo il fumo resto visibile, e durante quella rapita contemplazione una strana tensione gli serro le budella.

Quando l’Eclipse fu svanito come un sogno si perde al mattino, Marsh si volto, e c’era Natchez davanti a loro. Senti lo scampanio che annunciava l’approdo, e la sirena del Fevre Dream ululo ancora.

Un groviglio di battelli assembrava il molo, e di la da essi due citta attendevano il Fevre Dream. Lassu, abbarbicata sulle sue rupi a strapiombo c’era Natchez-sulla-collina, la citta vera e propria, con le sue larghe vie, gli alberi e i fiori, e le sue magnifiche costruzioni. Ciascuna di esse recava un nome. Monmouth. Linden. Auburn. Ravenna. Concord, Belfast, Windy Hill. The Burn. Nei giorni della sua giovinezza Marsh era stato a Natchez almeno sei volte, prima che divenisse egli stesso armatore, e da allora si era ripromesso di salire sulla citta superiore ed errare tra quelle strade per vedere quelle mitiche costruzioni. Palazzi maledettamente imponenti, tutti quanti, e Marsh non si sentiva a proprio agio in quel posto. Le vecchie famiglie che vi dimoravano tenevano una condotta da re; superbi e arroganti, gli abitatori di quei palazzi bevevano giulebbe di menta, sherry cobbler e vino ghiacciato, si divertivano a far gareggiare i loro cavalli purosangue e a dar caccia agli orsi, a sfidarsi a duello con rivoltelle e coltelli da caccia per riparare ogni affronto scaturito dalle inezie piu insulse. I nababbi, era cosi che Marsh aveva sentito chiamarli. Gente sofisticata, altroche, ed ognuno di loro sembrava fosse un colonnello. A volte si facevano vivi al molo ed allora era doveroso invitarli a bordo ed offrir loro sigari e liquori, indipendentemente da quale fosse il loro comportamento.

Quell’accolita di signorotti era pero stranamente cieca. Dalle loro magnifiche abitazioni sul costone roccioso, i nababbi si affacciavano sulla scintillante maestosita del fiume, ma in un certo qual modo non riuscivano a vedere le cose che avevano proprio sotto il loro naso.

Perche sottostante alle sontuose residenze, annidata tra le rocce ed il fiume, pulsava la vita di un’altra citta: Natchez-sotto-la-collina. Laggiu non sorgevano colonne di marmo, ed i fiori preziosi erano pochissimi. Le strade erano polvere e fango. Intorno al molo si concentravano i bordelli che si allineavano lungo Silver Street, o cio che di essa sopravviveva. Buona parte di quella via era franata nel fiume venti anni prima, ed i marciapiedi praticabili erano mezzi sprofondati sotto il piano della strada ed erano piantonati da donne sguaiate e da giovanotti pericolosi, fatui e spietati. Main Street era tutta una sequela di saloon, di sale da gioco e sale da biliardo, ed ogni notte la citta bassa fumava e gorgogliava. Risse, smargiassate e sangue, losche partite a poker, prostitute pronte a qualsiasi prestazione e uomini che ti sorridevano e intanto ti rubavano la borsa e ti sgozzavano, tutto questo era Natchez-sotto-la-collina. Whiskey, carne e carte, luci rosse, canzoni roche e gin annacquato, cosi si viveva lungo il fiume. I battellieri amavano e odiavano Natchez-sotto-la-collina e la sua vorticosa popolazione fatta di donne a buon mercato, tagliagole, giocatori, neri liberi e mulatti. I vecchi, invece, giuravano che la citta sotto la scogliera non raggiungeva neppure lontanamente i livelli di depravazione che la infestava quarant’anni prima, o gia prima del 1840 quando Dio le scaglio contro il tornado per ripulirla del suo lerciume morale. Marsh di questo non sapeva nulla; per lui era abbastanza sfrenata cosi com’era e vi aveva trascorso notti memorabili, anni prima. Ma stavolta la citta selvaggia suscito in lui sentimenti inquietanti.

Marsh accarezzo brevemente l’idea di superarla senza sostarvi, di salire alla cabina di pilotaggio e dire ad Albright di proseguire. Ma avevano dei passeggeri da far sbarcare, merci da caricare a bordo, e l’equipaggio non vedeva l’ora di trascorrere una notte nella leggendaria Natchez, e cosi Marsh non fece nulla per dissipare le sue apprensioni. Il Fevre Dream entro nel porto ed ogni cosa fu accomodata alla svelta per la notte. Fu ridotto al silenzio, il vapore abbattuto, i fuochi spenti nei forni, e subito la ciurma si riverso a terra come sangue da una ferita aperta. Pochi si fermarono sul molo per comprare sorbetti ghiacciati alla panna o alla frutta dagli ambulanti negri coi loro carretti, ma i piu sciamarono dritti in direzione di Silver Street, verso il caldo splendore delle sue luci.

Abner Marsh si attardo sulla veranda antistante il gruppo di cabine degli ufficiali finche le stelle non cominciarono a far capolino dalla volta del cielo. Un canto aleggio nell’aria, errando sull’acqua dalle finestre di una delle case di piacere, ma non valse ad alleggerire il suo malumore. Finalmente Joshua York apri la porta della sua cabina ed usci nella notte. «Scendete a terra, Joshua?» gli chiese Marsh.

York sorrise con indifferenza. «Si, Abner.»

«Quanto tempo starete via stavolta?»

Joshua York si strinse nelle spalle in un gesto elegante. «Non posso saperlo. Ritornero appena possibile. Aspettatemi.»

«Permettete che vi accompagni, Joshua,» si offri Marsh. «Quella laggiu e Natchez. Natchez-sotto-la-collina. E una citta violenta. Potremmo star qui un mese ad aspettarvi mentre voi giacete in qualche vicolo con la gola tagliata. Lasciate che venga con voi, che vi faccia da guida. Io appartengo alla gente del fiume, voi no.»

«No,» rispose York. «Ho un affare da concludere a terra, Abner.»

«Noi due siamo soci, no? I vostri affari sono i miei affari, fintantoche coinvolgano il Fevre Dream.»

«Io ho degli interessi che vanno oltre il nostro battello, amico mio. Cose per le quali voi non potete aiutarmi. Cose che devo fare da solo.»

«Simon pero viene con voi, non e forse vero?»

«A volte. Ma con lui e diverso. Io e Simon condividiamo… certi interessi che io e voi non abbiamo in comune.»

«Una volta avete accennato a dei nemici, Joshua. Se si tratta di questo, se andate a regolare i conti con chi vi ha oltraggiato, ditemelo dunque. Vi aiutero.»

Joshua York scosse il capo. «No, Abner. I miei nemici potrebbero non esserlo per voi.»

«Lasciate che sia io a decidere, Joshua. Voi siete stato onesto con me finora. Abbiate fiducia nella mia lealta nei vostri confronti.»

«Non posso,» replico York, con aria dolente. «Abner, tra noi c’e un patto. Non fatemi domande, ve ne prego. Ed ora, se volete lasciarmi passare.»

Abner Marsh assenti con un cenno del capo e si fece da parte. Joshua York gli passo accanto e comincio a discendere la scaletta. «Joshua,» lo chiamo Marsh quand’era giunto quasi in fondo. L’altro si giro. «State attento, Joshua,» disse Marsh. «Natchez puo essere… sanguinosa.»

York resto a lungo a fissarlo, gli occhi grigi ed impenetrabili come fumo. «Si,» disse infine. «Staro attento.» Poi si volse e se ne ando.

Abner Marsh lo vide scendere a terra e sparire tra le viuzze di Natchez-sotto-la-collina, la snella figura proiettante lunghe ombre sotto i lampioni fumosi. Quando lo perse completamente di vista, Marsh si giro e si diresse avanti, verso la cabina del Capitano York. La porta era chiusa a chiave, come gia sapeva che l’avrebbe trovata. Marsh infilo una mano nella tasca capiente e ne tiro fuori la chiave.

Titubo prima di inserirla nella serratura. Disporre di doppioni delle chiavi, custoditi nella cassaforte del battello, non era da considerarsi un tradimento, ma soltanto una ragionevole precauzione. Dopotutto si poteva anche morire in una cabina chiusa, ed era meglio possedere un duplicato della chiave piuttosto che sfondare la porta. Ma usare la chiave, beh, quella era un’altra cosa. D’altronde Marsh e York avevano stretto un patto, e due soci dovevano fidarsi l’uno dell’altro. Ora, se Joshua York non voleva fidarsi di lui, come poteva pretendere la fiducia da parte sua? Determinato, Marsh apri la porta, e varco la soglia della cabina di York.

Entrato, accese un lume ad olio e chiuse a chiave la porta dietro di lui. Rimase li impalato, paralizzato dall’incertezza, per pochi istanti, a guardarsi intorno, domandando a se stesso cosa sperasse di trovare. La cabina di York era tale e quale come l’aveva veduta durante le altre sue visite — una cabina molto grande. Cio nondimeno, doveva esserci qualcosa che gli avrebbe parlato di York, un indizio che avrebbe fatto un po’ di luce sulla natura delle stranezze che rendevano la condotta del suo socio cosi peculiare.

Marsh si avvicino alla scrivania, che gli parve il posto migliore da cui iniziare, si sedette adagio sulla poltrona di York e prese a scartabellare tra i giornali. Li tocco con molta cautela, badando bene alla posizione di ciascuno

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