«Affrontero Julian sul mio battello, quando vorro, con voi e con il meglio dei vostri uomini alle mie spalle. State attento, quando ne parlerete con Jeffers e Dunne. Non dobbiamo commettere nessun errore». Poi York guardo Valerie. «Soddisfatta?»
«No».
Joshua sorrise. «Non posso fare di piu.» Poi si volto verso Marsh. «Abner, sono felice che non siate mio nemico. Ce l’ho quasi fatta: la realizzazione dei miei sogni e a portata di mano. Sconfiggendo la Sete, ho conquistato il mio primo grande trofeo. Mi piacerebbe pensare che proprio qui, stanotte, voi ed io abbiamo forgiato il secondo dei miei trionfi: l’inizio dell’amicizia e della fiducia tra le nostre razze. Il Fevre Dream navighera sul filo del rasoio tra la notte e il giorno, bandendo lo spettro della vecchia paura dovunque vada. Compiremo grandi imprese insieme, amico.»
Marsh non amava troppo l’eloquio fiorito, ma, nondimeno, l’entusiasmo di Joshua smosse qualcosa nel suo animo ed il Capitano gli rivolse un incerto sorriso, quasi di malavoglia. «Abbiamo un bel po’ di lavoro da fare prima di ottenere un qualsiasi dannato risultato», disse Marsh, afferrando il suo bastone ed alzandosi in piedi. «Vado, allora.»
«Bene,» disse Joshua sorridendo. «Adesso vado a riposare. Ci rivedremo al crepuscolo. Assicuratevi che la nave sia pronta a partire. Cercheremo di portare a termine tutto questo prima possibile.»
«Il battello sara pronto,» disse Marsh mentre stava lasciando la cabina. Fuori, era spuntato il giorno. Sembravano circa le nove del mattino, penso Abner Marsh mentre sbatteva le palpebre, all’esterno della cabina, dopo che Joshua aveva richiuso la porta dietro di lui. Il mattino era lugubre: caldo e afoso, con una pesante coltre grigia che oscurava il sole. Fumo e fuliggine si sollevavano dai battelli che navigavano lungo il fiume. Sta per arrivare una tempesta, penso Marsh e quella prospettiva lo scoraggio. Improvvisamente, si rese conto di quanto poco avesse dormito, e si senti terribilmente stanco. Ma c’erano cosi tante cose da fare che non oso neppure pensare a schiacciare un pisolino. Scese nel salone principale, immaginando che la colazione gli avrebbe restituito parte delle sue energie. Trangugio un gallone di caffe nero e bollente mentre Toby gli preparava un pasticcio di carne e delle cialde, con contorno di mirtilli. Mentre stava mangiando, Jonathan Jeffers entro nel salone, lo vide e si diresse a grandi passi verso il suo tavolo. «Sedetevi e mangiate qualcosa,» disse Marsh. «Voglio avere un lungo colloquio con voi, Mister Jeffers. Non qui, comunque. Sara meglio che aspettiate che abbia finito e poi andremo nella mia cabina.»
«Va bene,» replico Jeffers, con un fare distratto. «Capitano, dove siete stato? Vi ho cercato per ore. Non eravate nella vostra cabina.»
«Joshua ed io stavamo chiacchierando. Ma perche mi cercavate…?»
«C’e un uomo che e venuto qui per vedervi, e arrivato nel bel mezzo della notte. Ha molto insistito.»
«Non mi piace che mi si faccia aspettare, come se fossi un’immondizia qualunque,» proruppe lo sconosciuto. Marsh non lo aveva neanche visto entrare. Senza neppure chiedere il permesso, l’uomo prese una sedia e si sedette. Era un tipo sgradevole, macilento, con il lungo viso scavato dalle cicatrici del vaiolo. Sottili e lisci capelli scuri gli ricadevano in ciuffi sulla fronte. Il colorito era quello di una persona malata e tratti di capelli e di pelle erano ricoperti di squame biancastre, come se si fosse imbattuto in una nevicata limitata alla sua persona. Inoltre, indossava un abito di fine e costoso tessuto nero, uno sparato bianco arricciato ed un anello con un cammeo. Abner Marsh non si curo del suo aspetto, del suo tono, delle labbra schiacciate e degli occhi color ghiaccio. «Chi siete voi, dannazione?» chiese con voce aspra. «E meglio che abbiate una ragione dannatamente buona per disturbarmi a colazione, o vi faro gettare fuoribordo.» Bastarono queste parole a far sentir meglio Marsh. Aveva sempre pensato che era inutile essere un capitano di un battello se poi, una volta ogni tanto, non si poteva mandare qualcuno all’inferno. L’espressione acida dello straniero non muto per nulla, ma i suoi occhi di ghiaccio si misero a fissare Marsh con una specie di malizia beffarda.
«Sto per prendere un passaggio su questa vostra stravagante zattera.»
«Che mi pigli un colpo, se e cosi», replico Marsh.
«Devo chiamare Mike il Peloso affinche si occupi di questa canaglia?» intervenne prontamente Jeffers. L’uomo guardo il commissario di bordo con disprezzo. Poi, rivolto a Marsh, disse, «Capitano Marsh, sono venuto la scorsa notte per porgere un invito, a voi e al vostro socio. Immaginavo che almeno uno di voi due fosse pienamente a suo agio, di notte. Bene, adesso e mattina, cosi dovra essere per questa notte. Cena al St. Louis, un’ora circa dopo il tramonto, voi e il Capitano York.»
«Non vi conosco e non mi importa di voi,» rispose Marsh. «Sono sicuro che non cenero con voi. Inoltre, il Fevre Dream prendera il largo stanotte.»
«Lo so e so anche per dove.» Marsh corrugo la fronte. «Cosa state dicendo?»
«Deduco, da quel che avete appena detto, che voi non conosciate i negri. Un negro non puo sentire qualcosa, senza che, poco tempo dopo, tutti i negri di questa citta ne vengano a conoscenza. Ed io, io ci sento molto bene. Voi non vorrete di certo condurre questo vecchio e grosso battello nel bayou, dove avete deciso di andare. Sicuramente vi incagliereste e forse provochereste una falla. Io posso risparmiarvi la fatica. Vedete, l’uomo che state cercando e proprio qui che vi aspetta. Cosi, quando scendera la notte, avvertite il vostro signore, mi sono spiegato? Ditegli che Damon Julian lo attende all’Hotel St. Louis. Mister Julian e ansioso di fare la sua conoscenza.»
CAPITOLO SEDICESIMO
Billy Tipton la Serpe ritorno all’Hotel St. Louis quella sera. Era piu che spaventato. Julian non avrebbe gradito il messaggio che portava dal Fevre Dream e Julian era pericoloso e imprevedibile, quando era scontento.
Nel buio salottino della loro fastosa suite, soltanto una piccola candela era stata accesa. La sua fiamma si rifletteva negli occhi neri di Julian mentre se ne stava sprofondato sulla poltrona di velluto accanto alla finestra, sorseggiando un sazerac. La stanza era permeata di silenzio. Billy la Serpe si senti addosso tutto il peso delle scale. Il chiavistello produsse un leggero, sinistro scricchiolio quando la porta si richiuse dietro di lui.
«E allora, Billy?», chiese sottovoce Damon Julian.
«Non vogliono venire, Mister Julian,» rispose Billy la Serpe un po’ troppo in fretta, un po’ troppo ansiosamente. Nella penombra che avvolgeva la suite, non pote vedere la reazione di Julian. «Dice che dovete essere voi ad andare da lui.»
«Dice,» ripete Julian. «Ma chi e questo lui, Billy?»
«Lui, l’…l’altro Signore del Sangue. Joshua York, si fa chiamare. Quello di cui vi ha scritto Raymond. L’altro Capitano, Marsh, quello grasso con le verruche e le basette, nemmeno lui vuole venire. Ed e anche dannatamente sgarbato. Ma io ho aspettato che facesse buio, ho atteso che il Signore del Sangue si svegliasse. E finalmente mi hanno condotto da lui.» Billy la Serpe provo ancora una sensazione di freddo, ricordando il modo in cui gli occhi grigi di York avevano scrutato i suoi, scoprendo che era affamato. Aveva percepito un disprezzo talmente amaro da costringerlo a distogliere immediatamente lo sguardo. «Dicci, Billy, a chi somiglia quest’altro? Questo Joshua York. Questo Signore del Sangue.»
«E…» comincio Billy, annaspando per trovare le parole giuste, «e… bianco, cioe la sua carnagione e tutto il resto sono davvero pallidi e i capelli sono incolori. Persino l’abito che indossa e bianco. E l’argento, indossa molti oggetti d’argento. Il modo in cui si muove… come uno di quei dannati Creoli, Mister Julian, altezzoso e signorile. E… vi somiglia, Mister Julian. I suoi occhi…»
«Pallido e forte» mormoro Cynthia dall’angolo piu lontano della stanza. «E con il vino che sconfigge la Sete. E lui, Damon? Deve esserlo. Deve essere vero. Valerie aveva sempre creduto a quelle storie e io l’ho presa in giro, ma deve essere cosi. Ci riunira tutti insieme, per condurci alla citta perduta, la Citta delle Tenebre. Il nostro regno, il nostro. E vero, non e cosi? E il Signore tra i signori del sangue, il Re che abbiamo atteso.» Guardava Julian per avere una risposta.
Damon Julian gusto il suo sazerac e sorrise, un subdolo, felino sorriso. «Un re,» riflette. «E cosa ti ha detto questo re, Billy? Raccontaci.»