Billy provava un sottile piacere nel pensare al suo prossimo futuro. Ma col trascorrere del tempo — minuti, ore, chissa, ormai non ne aveva piu la cognizione — comincio a dubitare della certezza di quel luminoso futuro. Continuo, invece, a pensare al dolore atroce che non cessava di torturarlo, specie quando respirava. Eppure, penso, era ora che cominciasse a diminuire. Ma esso infieriva, con la stessa implacabile intensita. Ne l’emorragia accennava a ridursi. Il sangue fiottava e fiottava trascinandolo in un progressivo stordimento. Se stava guarendo, come mai seguitava a perdere sangue? Tutt’ad un tratto Billy Tipton si senti afferrare nella morsa della paura. Forse non era ancora pronto per superare quella prova. Forse non stava guarendo affatto, non sarebbe ritornato sano come prima, e non avrebbe mai potuto colpire Abner Marsh con la lama della sua vendetta. Forse stava morendo dissanguato. Un grido disperato gli sorti dalla gola, «Julian.» Fece appello a tutte le sue forze per imprimere alla voce il massimo della potenza. Julian avrebbe completato la trasformazione, lo avrebbe reso piu forte, piu potente. Se solo fosse riuscito a raggiungerlo in qualche modo, allora tutto sarebbe andato per il meglio. Julian gli avrebbe portato del sangue per ridargli vigore, Billy ne era certo. Cos’avrebbe mai potuto fare Julian senza di lui? Chiamo ancora, urlando con una forza tale che la gola quasi gli scoppio dal dolore.

Nulla. Il silenzio. Tese l’orecchio, sperando di riconoscere il rumore di passi, sperando nell’arrivo di Julian o di uno qualsiasi degli altri che venisse ad aiutarlo. Nulla. Tranne… si concentro al massimo nell’ascolto. Gli parve allora di udire delle voci. E una di esse era quella di Damon Julian. Si, lo senti. Il sollievo di quella scoperta lo fiacco ulteriormente.

Solo che Julian non poteva sentire lui. E seppure avesse potuto, non sarebbe potuto andare a soccorrerlo, non col sole alto nel cielo. Quel pensiero terrorizzo Billy. Julian sarebbe venuto dopo il tramonto, sarebbe venuto a completare la sua trasformazione. Ma allora sarebbe stato troppo tardi.

Non c’era alternativa: era lui che doveva andare da Julian. Fu questo che Billy decise mentre giaceva in un bagno di sangue, folle di dolore. Doveva muoversi da li, andare dov’era Julian, cosi Julian lo avrebbe aiutato.

Billy si morse il labbro, raccolse tutte le sue forze e tento di alzarsi.

Ed urlo.

Il dolore che lo fulmino quando cerco di muoversi fu il morso feroce di un pugnale rovente, uno spasimo fulminante che gli squarcio il corpo fugando ogni pensiero, ogni speranza, ogni paura, finche in lui non rimase che il dolore. Strillo e giacque immoto, ed il corpo tutto vibrava di strazianti pulsazioni. Sentiva il cuore martellargli in petto ad un ritmo selvaggio, e il dolore, la feroce agonia, smorzarsi lentamente. Fu allora che Billy Tipton si rese conto di non sentire piu le gambe. Cerco di muovere le dita dei piedi. Nulla. La parte bassa del suo corpo sfuggiva ormai alla sua percezione.

Stava morendo. Non era giusto, penso Billy, proprio ora che ci era arrivato cosi vicino. Per tredici anni aveva bevuto il sangue ed era diventato sempre piu forte, ogni volta piu forte di prima, ed era cambiato, profondi mutamenti erano avvenuti in lui, trasformandolo. Ed ora era cosi vicino. Ad un passo da lui c’era la possibilita di una vita senza fine, ed invece gliela stavano portando via, lo stavano derubando, lo avevano sempre derubato, non aveva mai avuto niente lui. Un inganno. L’ennesimo. Il mondo lo aveva sempre ingannato, i negri, i ricchi damerini, i creoli, lo avevano sempre ingannato e deriso. E ora, l’inganno estremo: gli stavano strappando la vita, la vendetta, tutto.

Doveva andare da Julian. Se soltanto fosse riuscito a compiere quell’atto finale, la definitiva mutazione, allora sarebbe andato tutto per il meglio. Altrimenti sarebbe morto li, e avrebbero riso di lui, lo avrebbero considerato un idiota, un rifiuto umano, come sempre avevano fatto. Avrebbero detto di lui tutte le spregevoli cose che avevano sempre detto, avrebbero oltraggiato la sua tomba con le piu turpi azioni e avrebbero, ancora una volta, riso di lui. Doveva andare da Julian. Allora sarebbe stato lui a ridere, oh, se avrebbe riso!

Billy trasse un profondo respiro. Sentiva la dura consistenza del coltello ancora stretto nella mano. Sollevo il braccio e tremando prese il coltello tra i denti. Ecco! non gli aveva fatto poi tanto male, penso. Le braccia gli obbedivano ancora. Le dita si tesero e lottarono per guadagnare un solido appiglio sulle tavole bagnate del ponte, viscido di sangue e melma. Poi giovandosi della massima trazione che mani e braccia potessero assicurargli, si trascino in avanti. Lingue di fuoco gli arroventavano il petto e lame acuminate gli pugnalavano la schiena. Scosso da brividi possenti serro selvaggiamente i denti sulla lama d’acciaio. Estenuato dall’atroce sofferenza, crollo. Ma quando il dolore scemo un poco, Billy apri gli occhi e le labbra s’incurvarono in un disperato sorriso intorno alla lama del coltello. Si era mosso! Era avanzato di buoni trenta centimetri. Ancora cinque o sei di quegli strappi, e si sarebbe trovato ai piedi della grande scalinata. Giuntovi, si sarebbe aggrappato alle sontuose colonne della balaustra e si sarebbe arrampicato fino in cima. Le voci provenivano di lassu, penso. Poteva raggiungerle. Sapeva di poterlo fare. Doveva farlo!

Billy Tipton distese le braccia, affondo le lunghe unghie nel legno e di nuovo i denti morsero la lama del coltello.

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

A bordo del Fevre Dream Maggio 1870

Le ore scivolarono in silenzio, un silenzio ingemmato dalla paura.

Abner Marsh sedeva a pochissima distanza da Damon Julian, la schiena appoggiata al banco di marmo nero, e, madido di sudore, si teneva delicatamente il braccio rotto. Julian gli aveva permesso di sollevarsi dalla dolorosa posizione in cui era stato fino a poco prima, disteso bocconi sul pavimento, quando il dolore al braccio s’era fatto intollerabile e il Capitano aveva preso a lamentarsi. Sembrava che in questa posizione gli dolesse di meno, sapeva, pero, che sarebbe bastato il minimo movimento a scatenare una nuova, spaventosa esplosione di dolore. E cosi il Capitano Marsh sedeva immobile, reggendosi il braccio, e pensava.

Marsh non era mai stato un grande giocatore di scacchi, come Jonathan Jeffers gli aveva clamorosamente dimostrato almeno una mezza dozzina di volte. A volte, tra una partita e l’altra, dimenticava persino come si muovessero quelle dannate pedine. Ma quando un giocatore era allo stallo, questo si era in grado di riconoscerlo.

Joshua York sedeva rigido sulla sedia, gli occhi tenebrosi e impenetrabili da quella distanza, il corpo stretto nelle maglie di una tangibile tensione. Il sole, inflessibile, lo trafiggeva con le sue lame roventi, bruciando la vita ch’era in lui, divorando la sua forza cosi come all’alba d’ogni nuovo giorno divorava col suo alito di fuoco le fitte nebbie adagiate sullo specchio del fiume. Ma Joshua non si muoveva. Per Marsh. Perche sapeva che nell’istante stesso in cui avrebbe attaccato, Abner Marsh sarebbe stato strozzato dal suo stesso sangue ancor prima che York avesse potuto raggiungere fisicamente Julian. Forse allora sarebbe riuscito ad uccidere Damon Julian, o forse no; beh, in un caso o nell’altro per Marsh non sarebbe cambiato nulla.

In quel finale di partita, pero, anche Julian era allo stallo. Se avesse ucciso Marsh, avrebbe perso la protezione che questi gli garantiva. Morto Marsh, Joshua non avrebbe avuto piu alcun freno, piu nulla gli avrebbe impedito di affrontarlo. Ed era chiaro che Damon Julian temesse questa eventualita. Abner Marsh capiva cosa significasse. La sconfitta era un boccone amaro da mandar giu per un uomo, persino per un essere che si chiamasse Damon Julian. Julian aveva battuto Joshua York dozzine di volte, e a suggellare la sottomissione inflitta lo aveva derubato del suo stesso sangue. York aveva trionfato una sola volta. Ma era stato abbastanza. Julian aveva perduto un’arma fondamentale: la certezza. La paura s’annidava in lui, come un verme in un cadavere.

Marsh si sentiva debole, inerme. Il braccio gli faceva un male d’inferno, ed era completamente immobilizzato, non aveva una sola mossa da giocare. Nei momenti in cui cessava di studiare con lo sguardo i due grandi antagonisti, York e Julian, gli occhi tornavano ripetutamente a posarsi sul fucile da caccia. Troppo lontano, si diceva allora. Troppo lontano. Quando si era tirato su a sedere lo aveva inavvertitamente allontanato ulteriormente da se. Almeno due metri lo separavano dall’arma. Impossibile. Marsh sapeva che non avrebbe mai potuto farcela. Neanche col piu fulmineo degli scatti. Con un braccio rotto poi… si morse il labbro rabbiosamente e cerco di dirottare i suoi pensieri verso altri approdi. Se seduto al posto di Marsh ci fosse stato Jonathan Jeffers, probabilmente sarebbe riuscito ad escogitare una qualche soluzione. Un’astuta sortita, una manovra a sorpresa, un sottile escamotage. Ma Jeffers era morto, e Marsh doveva far affidamento unicamente su se stesso. E la sola idea che gli veniva in mente era quel semplice gesto, cosi stupido, cosi inutile — afferrare il maledetto fucile. Cosa che, se l’avesse fatta, avrebbe decretato la sua morte immediata.

Вы читаете Il battello del delirio
Добавить отзыв
ВСЕ ОТЗЫВЫ О КНИГЕ В ИЗБРАННОЕ

0

Вы можете отметить интересные вам фрагменты текста, которые будут доступны по уникальной ссылке в адресной строке браузера.

Отметить Добавить цитату